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ADOLESCENZA, EDUCAZIONE E AFFETTI
I ragazzi considerati “difficili” manifestano comportamenti percepiti come dissonanti rispetto ai modelli condivisi, e danno la percezione effettiva di un disagio interrelazionale all’interno del gruppo sociale. Per gran parte dell’approccio pedagogico, ma anche psicologico, il progetto rieducativo del ragazzo difficile parte dalla presa in considerazione della storia di vita personale, collegata agli affetti, alle figure primarie di riferimento, ai codici comunicativi della prima infanzia, alle dinamiche affettive che si sviluppano all’interno del contesto familiare.
Il paradigma pedagogico teoretico individua il contributo del soggetto nella costruzione del proprio modello d’interpretazione del mondo e di azione sullo stesso.
Con il paradigma fenomenologico si individua il comportamento deviante come la parte di un tutto complesso ed individuale: il soggetto.
Dal tutto si può comprendere la parte. Il “ragazzo difficile”, nella sua globalità di persona, fornisce indizi per cogliere il comportamento deviato.
Una relazione educativa, per essere autentica, deve fondarsi sul presupposto di una reale comunicazione con l’altro, in un interscambio che provochi una rivisitazione e rielaborazione personale.
Spesso, negli adolescenti, si avverte un profondo disadattamento interiore, ossia, assenza di intenzionalità, per cui il soggetto risulta incapace di attribuire senso e significato alla realtà. Subentra una svalutazione del sé affidata spesso ad un altro coetaneo o ad un adulto, inseguendo una inutile fuga dal proprio sé, che a volte raggiunge gli estremi del suicidio e dell’abuso di sostanze.
Con la distorsione dell’intenzionalità si verifica un eccesso dell’io, una volontà assoluta di affermare se stessi, con un posto centrale ed esclusivo nella costruzione della realtà, che paradossalmente rivela una fondamentale incapacità di comunicare con l’altro. L’”altro” diviene un esclusivo mezzo di affermazione di sé, come spettatore del proprio esibizionismo narcisista.
Lo scopo pedagogico mira ad una strutturazione dell’intenzionalità, ossia la capacità, anche creativa, di attribuire senso e significato al mondo e alla realtà, giungendo così ad una riappropriazione soggettiva, all’adattamento sociale, al reinserimento, all’entropatia.
L’intervento educativo, ed anche psicologico, sono volti ad ampliare l’orizzonte qualitativo del mondo relazionale del ragazzo, al fine di costruire condizioni di ripensamento della realtà, con l’obiettivo di rieducare e condurre all’ottimismo esistenziale, e colmare le carenze con pratiche di restituzione, come attraverso l’educazione al bello, al difficile, all’impegno, al senso di responsabilità.
Esistono livelli importanti su cui operare: il livello della formazione, ereditato da Franco Fornari, che lasciò ai suoi allievi il compito di portare un’ottica psicanalitica al di fuori del setting, ma di utilizzare la teoria psicanalitica dei codici affettivi nei contesti gruppali ed istituzionali. Questa è l’anima originaria del Minotauro, nato intorno al 1985, con l’obiettivo di cimentarsi in progetti più ampi ed in qualche modo di portare il soccorso, la consolazione e la comprensione che la figura psicanalitica può dare, in un ambito culturale più ampio e non prettamente duale e clinico.
Non si può praticare formazione se non si conosce il gruppo, l’istituzione, il problema di cui si tratta. Quindi la ricerca è a sostegno del lavoro istituzionale, ma essa ha assunto anche un significato diverso, di sostegno alla clinica. In un’ottica psicanalitica classica, quando si tratta di adolescenza, si considera la riedizione di tematiche critiche della prima infanzia. In questo senso, si reperiscono dei meccanismi così originari, e così antichi, in qualche modo fondanti la concezione e costruzione stessa del soggetto infantile che, se si rivede l’adolescenza come riedizione, non è così importante conoscerla nella propria fenomenologia attuale, perché, se i meccanismi osservabili sono relativamente invarianti, riguardando la psiche profonda, in un certo senso si può credere, nella ricerca, all’interno del setting psicoanalitico, di conoscere già ciò che non si conosce, in quanto, nei soggetti analizzati, si ritroveranno dispositivi affettivi, modalità di ripetizione, comportamenti relativi alle difficoltà nel rapporto con le figure primarie di riferimento.
La comprensione e la visione del futuro, passa attraverso una competenza anche fenomenologica, per cui risulta indispensabile conoscere le culture adolescenziali, come si declinano attualmente le rappresentazioni del sé degli adolescenti, attraverso quali mode e modalità. Quando, di fronte ad un taglio clinico, che presenta un nuovo problema, la mente del gruppo spesso si attiva, iniziando una ricerca, il nuovo paziente può porre un ulteriore quesito. Con la clinica classica si potrebbe comprendere , capire e analizzare quel paziente, svelando le regole di appartenenza ad un determinato contesto sociale, o ad un certo carattere culturale.
Una conoscenza preliminare di affetti sociologici, di rappresentazioni culturali tramite cui gli adolescenti esprimono il loro disagio e l’identità confusa, è un passaggio davvero cruciale e fondamentale.
©, 2003
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