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IL BAMBINO PSICOANALITICO – Il complesso edipico
Con il saggio “Le mie opinioni sul ruolo della sessualità nell’etiologia delle nevrosi”, Freud ritratta la vecchia dottrina secondo cui, all’origine delle nevrosi, si trova un trauma reale, e spiega che si tratta di avvenimenti sessuali della prima infanzia, dove è determinante l’elemento fantastico, poi allucinatorio, come ricordo reale. Dimostra che la sessualità tradizionalmente, equiparata alla generatività, è anticipata da una sessualità infantile relativamente autonoma, sterile, finalizzata al piacere autoerotico. Già dalla nascita il bambino è dotato di una precisa organizzazione sessuale e di una energia sessuata. Le pulsioni sessuali infantili sono destinate a retrocedere di fronte alle barriere del pudore, del disgusto, della normalità, della moralità, che la società innalza nei loro confronti. Esse sono avvertite come il maggior ostacolo all’educabilità e all’ingresso in società. Ciò che appare patologico nell’adulto, trovando i presupposti nello sviluppo infantile, costituisce la normalità, per il bambino, perversa e polimorfa. Durante un percorso di maturazione, che conduce alla genitalità e vitalità, i residui di sessualità infantili, che sono sfuggiti al processo evolutivo, saranno organizzati sotto il primato della genitalità. Nel caso che la sessualità infantile abbia resistito ai processi inibitori, si esprimerà attraverso la perversione, ove invece la rimozione sia stata eccessiva, emergerà sotto forma di nevrosi. La nevrosi è quindi il contrario della perversione. Il sintomo è l’enigmatica trascrizione di impulsi ideativi ed affettivi rimossi da riportare con l’interpretazione alla coscienza. Nell’isteria, il sintomo di conversione (disturbo somatico) rappresenta un tentativo di fuga dal conflitto che insorge tra un bisogno sessuale eccessivo ed un esagerato rifiuto della sessualità. Si tratta di smascherare il suo travestimento e di riportarlo agli elementi costitutivi: le pulsioni. La pulsione è la rappresentazione psichica di una fonte di stimolo in continuo flusso endosomatico, a differenza dello stimolo che è prodotto da eccitamenti isolati e provenienti dall’esterno. Un vissuto ai limiti dello psichico e del corporeo. Le pulsioni si distinguono tra loro per le fonti di provenienza, ossia, dal processo di eccitazione che si produce in un determinato organo, mentre la meta è comune a tutte: abolizione dello stato di eccitazione. L’oggetto della pulsione è estremamente variabile, può essere interno ed esterno al corpo, ed è quello mediante il quale essa raggiunge il suo scopo. Esistono delle parti del corpo che si presentano, in un determinato momento, con un alto indice di investimento energetico (eccitazione), che si susseguono secondo un ordine costante, che ammette però movimenti contrastanti di fissazione e regressione, di zone erogene. Ma lo studio delle pulsioni non rientra nel campo della psicologia. La libido è una definizione quantitativa, seppure non misurabile, dell’energia psicofisica di natura sessuale: è un elemento intermedio di cui Freud ha bisogno per descrivere la continuità delle pulsioni. Ogni parte del corpo può essere elevata al rango di zona erogena, anche se vi sono zone predestinate, perché caratterizzate dalla pelle mucosa, permeabile e sensibile, la bocca, l’ano, l’uretra, i genitali. Normalmente, neghiamo l’esistenza di una sessualità infantile, nonostante, per Freud, essa sia già presente nel neonato in un primo tempo per sostegno ai processi vitali, che presto ricerca il piacere per se stesso. Il piacere inizia al di là del bisogno, quando, a questo, subentra il desiderio, che è legato a tracce mnestiche lasciate da precedenti esperienze di soddisfazione, che vengono rievocate in modo allucinatorio. Un dito in bocca ripresentifica l’oggetto primario della soddisfazione, il seno. Il bambino ricerca un piacere autoerotico, e il tramite verso la soddisfazione è costituito dal proprio corpo.
La libido orale organizza un primo rapporto affettivo col mondo, secondo cui ciò che è buono deve essere incorporato e ciò che è cattivo espulso e sputato. Successivamente la libido si concentra intorno alla zona anale. Il bambino deve trattenere le feci, che solleticano la mucosa anale, per espellerle a tempo debito e per offrirle alla madre come primo scambio amoroso. Questo fenomeno è conflittuale anche per il bambino, per l’ambivalenza dell’oggetto. È qualcosa di buono da trattenere e di cattivo e di sporco da espellere. Le feci sono, per il bambino, una parte di sé, un oggetto d’amore completo ed esterno al proprio corpo, che prende forma solo con il concentrarsi della libido in zone genitali. Abbiamo una completa esperienza d’amore del tutto prematura, rispetto alla maturità organica dei bambini, che risulta inaccettabile dagli adulti, che provocheranno, con interdizioni e divieti, il suo inabissamento.
L’organizzazione fallica della libido rappresenta il vertice delle vicende pulsionali dell’infanzia. Le prime curiosità sono suscitate dagli impulsi sessuali per l’esplorazione del proprio corpo, e di quello altrui, e si stabilisce così una stretta connessione tra pulsioni sessuali e processi intellettuali. Il desiderio di conoscere del bambino urge soprattutto sulla sessualità schermata dal riserbo degli adulti, in cui vi sperimenta la sua capacità di conoscere, organizzare, immaginare il mondo, dando libero sfogo alla sua fantasia, elaborando incredibili teorie, ossia “Le teorie sessuali dei bambini” (1908). Che esista un coinvolgimento funzionale tra energie pulsionali ed intellettuali, è dimostrato dal fatto che, spesso, i bambini reagiscono ad un compito troppo impegnativo con una scarica masturbatoria. La libido, nel bambino, costituisce una carica energetica difficilmente amministrabile, ed occorre mantenere basso il suo livello di eccitazione. Tra i comportamenti sicuramente nocivi vi è quello di picchiare i bambini sul sedere, perché si sollecita in loro l’erotismo anale, determinando un atteggiamento passivo e crudele di masochismo, ma soprattutto quello di considerare il bambino come un oggetto sessuale. Quando le isteriche ricordavano di aver subito, nei primi anni di vita, manovre di seduzione, si riferivano probabilmente alla manipolazione che i genitori compiono del corpo dei bambini durante l’allevamento, che acquista poi un significato erotico quando si sovrappongono le fantasie sessuali. Verso il terzo anno di età, nonostante l’immaturità organica, sorge una richiesta pulsionale genitale, che non può che riconoscere il suo oggetto nella madre, la persona più vicina, più cara, che a sua volta considera il bambino come il suo oggetto privilegiato. In questo esclusivo rapporto, il padre è vissuto come un ostacolo, come il divieto all’incesto, come rappresentante di una legge che lo sovrasta e sottomette e diviene oggetto di odio. È necessario che la figura paterna, nell’immaginario infantile, “muoia”, per far posto alla dimensione simbolica della legge. L’Edipo è, allo stesso tempo, una struttura universale e la vicenda personale irripetibile di ciascuno di noi. L’Edipo semplice è costituito dall’amore per il genitore del sesso opposto e dalla rivalità nei confronti di quello del proprio sesso, mentre Freud deporrà anche la forma inversa, solitamente più attenuata, consistente nell’amore per il genitore dello stesso sesso e nella rivalità con quello del sesso opposto. Mentre queste relazioni sono proibite dal divieto che colpisce l’omosessualità, l’Edipo semplice cade sotto la proibizione dell’incesto.
La tragedia di Edipo coinvolge ciascuno di noi. Se non nella realtà, almeno nell’immaginazione, ogni bambino ha sognato di uccidere il padre, e di prenderne il posto accanto alla madre. La libido è investita prevalentemente sul genitale, che diventa la parte privilegiata del corpo che rappresenta il tutto. Il bambino vive le sue fantasie erotiche con gravi sensi di colpa: teme che il padre lo punisca privandolo di ciò che ha di più caro, cioè del pene. Il processo di castrazione costituisce il prototipo di tutte le successive privazioni provocate nel bambino, tanto da spingerlo ad abbandonare l’impari contesa col padre. A tempo debito, il bambino abbandona i legami sessuali familiari, come esige il ritmo di sviluppo ereditariamente predisposto. Il complesso di Edipo perciò svanisce, perché l’interesse narcisistico, il timore di soggiacere alla castrazione, prevale sugli investimenti libidici, sugli oggetti parentali, a cui si sostituiscono le identificazioni e le proiezioni.
Di fronte all’impari contesa con il rivale adulto, il bambino reagisce identificandosi con l’aggressore, cioè lo introietta, lo assimila. Erede del conflitto edipico è appunto l’autorità paterna e parentale, fatta propria, che costituisce il nucleo del super-io, l’istanza psichica che rappresenterà, d’ora in poi, il sistema di valori e di divieti introiettato. Il super-io non si forma però tanto a immagine dei genitori, quanto a immagine del loro super-io, rappresentando, così, la continuità delle generazioni. Il superamento del complesso di Edipo è determinato anche dalla tacita promessa che, a tempo debito, il bambino otterrà di prendere il posto del padre. Il bambino diviene un soggetto sociale, solo dopo aver abbandonato il senso di onnipotenza, ed aver sottomesso i suoi desideri alla legge. Il tramonto del complesso edipico coincide con l’inizio del periodo di latenza,che va dal termine dell’infanzia sino alla pubertà,e costituisce una parentesi di tranquillità tra due tempeste emotive. Qui il bambino si può inserire nella società e nella civiltà ma, con la pubertà, gli impulsi sessuali latenti si risvegliano e l’adolescente, deluso dal padre che non sembra più abbastanza prestigioso per giustificare un completo investimento oggettivo, sposta sulle figure degli insegnanti gli antichi sentimenti. L’adolescenza è caratterizzata dalla capacità di stabilire una relazione con un oggetto totale, il partner sessuale, diverso dal genitore, amato nei primi mesi di vita, ma capace di riattivare le tracce di quell’arcaico legame. L’ Edipo, pertanto, benché sembri dissolversi, permane come struttura che organizza le istanze psichiche individuali, e le modalità di rapporto sociale. L’adolescente, quindi, messo a punto il suo patrimonio pulsionale, lo sottomette alle richieste della società, e lo organizza sotto il primato della genitalità, al servizio della riproduzione.
Mentre, per molti autori, il concetto di genitalità diviene l’utopia della psicanalisi, inglobando in sintesi i valori di maturità, di affettività e socialità, Freud lo considera così una conquista necessaria ad una proficua coesistenza delle pulsioni con il sociale, ma non gli sfugge il sacrificio che essa richiede. Freud postula una originaria bisessualità psichica di tutti gli esseri umani, ma fa del bambino maschio l’oggetto privilegiato della sua osservazione, sia per lo sviluppo sessuale, che è volto al primato del fallo, sia come perno delle relazioni familiari nella triangolazione edipica. In un primo tempo ipotizza, per la femmina, un modello speculare a quello maschile; nei “Tre saggi”, infatti, la bambina è considerata un maschietto fino alla fase fallica e, con esso, condivide una sessualità orale, anale, e anche fallica, considerando il clitoride l’omologo imperfetto del pene. I bambini, infatti, attribuiscono il pene ad entrambi i sessi, finché non constatano la specificità dei propri corpi. Il maschio, vedendo la coetanea, ha la conferma dei propri timori di castrazione, mentre la femmina sperimenta, con vergogna, un senso di inferiorità organica. Il maschio si sente autorizzato a disprezzare la femminilità, mentre la bambina è spinta all’invidia del pene. Mentre il maschio è indotto – dal timore di perdere la propria integrità fisica – ad uscire dall’ Edipo, ad abbandonare la contesa con il padre, la bambina entra nell’ Edipo proprio nel momento in cui si sente biologicamente deprivata. Delusa dalla madre, a cui attribuisce la responsabilità della propria insufficienza somatica, se ne allontana per rivolgersi al padre, chiedendogli un figlio che la compensi dalla sua dolorosa inferiorità organica. Il figlio del padre è una produzione fantastica con cui, insieme alle feci, al pene, cerca di riparare la sua mancanza originaria. In questa fase, l’ Edipo allaccia padre e figlia in uno schema di inconscia reciprocità: desideri impossibili che ritroveremo sotto forma di ricordi di seduzioni isteriche, a cui s’oppone il divieto dell’incesto che il padre, in quanto figura sociale, rappresenta. Appunto l’oggetto d’amore coincide, per la bambina, con la forma del divieto, della legge. Per questa ambivalenza dell’oggetto d’amore e, perché non sussiste minaccia di castrazione, non può perdere ciò che non ha in lei, e i legami edipici non saranno mai spezzati del tutto. Rimarrà così dipendente dall’autorità, dice Freud, priva di iniziativa, con deboli interessi sociali e scarsa capacità di sublimazione: un’eterna bambina. Svilupperà una forte invidia del pene, a cui cercherà di reagire con una incolmabile richiesta di privilegi, trovando, però, una possibilità di appagamento nella maternità. Ma occorre che prima, ad un mutamento di oggetti dalla madre al padre, si accompagni la trasmigrazione della libido dal clitoride alla vagina, trasformandosi da attiva in passiva e ricettiva. Contemporaneamente, le pulsioni aggressive vengono distolte dall’oggetto e introiettate su di sé, dando origine alla disposizione masochistica femminile, indispensabile alle vicende riproduttive del coito, della gestazione, del parto, dell’allattamento. La donna materna troverà nel figlio l’appagamento ultimo del suo desiderio. Benché la psicanalisi nasca dal binomio sofferenza e insofferenza espresso dall’ isterica, il femminile rappresenta un enigma. Nel caso di Dora (1901) si scorge l’incomprensibile cecità della sua pura straordinaria penetrazione, come si possa guardare per non vedere, la complessità del transfert, il desiderio paradossale di ogni ricerca di verità, di non sapere. Freud non ci ha lasciato un’opera sistematica sulla psicologia femminile. Ma, nei suoi testi e studi, Freud fa coesistere la sua impresa scientifica, razionalista e positivista, con le forti suggestioni del clima culturale viennese, in cui la femminilità deve recuperare la parte passionale, oscura, irrazionale dell’uomo in rivolta contro la società borghese. Freud propone due tipi di femminilità: la madre, masochista, oblativa, realizzata nel suo oggetto e nella sua funzione, e l’amante, narcisistica, autoerotica, incapace d’amore, attesa solo ad essere amata, definita il tipo femminile più duro e autentico. La contrapposizione fra attività e passività, dove la prima è il polo maschile e la seconda il femminile, viene radicata da Freud nel processo di fecondazione, in cui l’elemento femminile (ovulo) appare inerte rispetto a quello maschile (spermatozoo), e solo ribadita come conseguenza nello psichico e nel sociale.
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