LARA KANT La barca senza porto abusi e adozioni
Le storie che si dichiarano vere in copertina, narrate in romanzi sia pur ben confezionati e in qualche modo edulcorati, lasciano sempre un retrogusto inqualificabile, in quanto in esse c’è quell’ambiguità di fondo che non le rende del tutto finzioni, né del tutto vere, e si rimane sempre con un dubbio sospeso rispetto alla natura di ciò che si è letto. Lara Kant (ma sarà proprio il nome della giovane scrittrice?) ci regala in queste pagine il dolore di una sua – vera? – compagna incontrata in un – vero? – lontano viaggio, il dolore di una donna che fu prima ragazza, e ancor prima adolescente. Una adolescente che fu spezzata come un fiore appena sbocciato, avendo subito lo stupro di un uomo, e gli abusi di una famiglia. Uno stupro che fu brutalmente consumato nella più cieca desolazione di un casolare abbandonato, alle porte di un paese dove la fanciulla viveva in una famiglia adottiva, che la tolse dall’orfanotrofio, forse in un’età troppo tarda – senza forse – perché la ragazzina potesse sentirsi veramente figlia, e non ospite, in una casa dove aleggiava ancora lo spettro della vera figlia defunta. Una casa in cui la madre era una pazza che infieriva sulla nuova venuta, e il padre era un debole, ma tenero, che la difendeva come poteva. Non è del tutto facilmente digeribile la storia di questa povera creatura che, in seguito a tanti traumi ripetuti, diventa anche anoressica. Il tono del racconto – abbastanza neutro, forse per volontà dell’Autrice – ce lo fa assomigliare a un Harmony al negativo, e forse questo lo rende meno impressionante. Facciamo i nostri auguri a Lara Kant, nella speranza che il suo cammino la conduca verso scritture più serene.
©, 2009
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