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Leopold Von Sacher-Masochha, circa due secoli fa, descritto delle dinamiche psicologiche, attribuite a se medesimo, poi clinicamente classificate in una disfunzione comportamentale chiamata masochismo. Non ci sorprende, alla luce della Clinica psichiatrica moderna, quanto leggiamo in questo bellissimo e straziante romanzo, ovvero, che l’amore ossessivo-patologico per un Nostro simile si possa convertire nel suo opposto, in un odio altrettanto ossessivo e patologico che può sconfinare, in taluni casi, nell’omicidio.
Omicidio annunciato sin dall’inizio, in questo De profundis scritto dalla galera, in cui la protagonista Charlène riepiloga le vicende che l’hanno condotta – inevitabilmente – all’estremo atto. Un atto che si tinge doppiamente di tragedia, in quanto Charlène non contrae nessun senso di colpa. Un atto reso doppiamente tragico dalla connotazione priva di pentimento 1) della protagonista e dalla dinamica che, quasi come un meccanismo fatalmente deterministico, se non in partenza determinato 2), l’ha portata a diventare assassina. Non hanno giocato il caso, o un momentaneo e fatale attacco di follia, in questa vicenda; ma ha giocato un reiterato accumularsi di umiliazioni nella persona di Charlène, perpetrate a suo danno, se vogliamo deliberatamente e scientemente, dalla sua “migliore” amica, Sarah. Un legame sadomaso le ha unite sin dall’inizio, dove la parte sadica era esercitata da Sarah, e la parte di schiava sottomessa era interpretata magistralmente da Charlène.
Sin dall’infanzia Charlène si è trovata su un paio di binari che l’avrebbero lanciata verso l’autodissolvimento. Non uso il termine “autodistruzione”, perché ciò presupporrebbe l’esistenza di un soggetto vivente. Al contrario, Charlène non è mai arrivata alla costruzione del proprio Sé. Il soggetto Charlène non è mai giunto a maturazione, seni piccoli, corpo sgraziato, un carattere che non spicca mai in nessuna situazione, una ragazzina scialba e incolore, per non dire trasparente. Il confronto con gli altri l’ha sempre vista perdente, a partire dai rapporti all’interno della sua famiglia (una madre patologica e un padre assente, oberato dal lavoro). Charlène è cresciuta con la certezza di non contare nulla, di non valere nulla. In lei si fa via via strada la strutturazione di un Io non completamente formato, che però la fa ambire a qualcosa come il piacere, il piacersi, il contare qualcosa nella vita. Le parti sviluppate del suo Io sono quelle che, messe a confronto con quelle atrofizzate, le fanno avvertire la sua insufficienza di persona. Fatale, in questo stato di cose, è il confronto con Sarah, volitiva, ambiziosa, capace di concentrare su di sé l’attenzione di tutti, nonché quella di Charlène. Sarah proviene da una famiglia meno agiata, vive con una madre che si porta in casa uomini diversi ogni notte, una famiglia che ha imparato a vivere fregandosene. Una famiglia – quella di Sarah – che ha le stigmate di certa borghesia illuminata, evoluta, che ha fatto un passo-oltre le piccolezze meschine della piccola borghesia, che sembra essersi affrancata dai valori atrofizzati piccoloborghesi. Ma che, a mio avviso, nasconde in sé tanta più insicurezza e meschinità, a maggior ragione se nascosta dietro questa patina euforica, maniacale, di successo, che vorrebbe farci credere che essa appartenga a una sorta di borghesia baciata dalla nobiltà.
Sarah gioca col proprio fascino, ne fa un uso spregiudicato, sadomaso. Grazie al suo fascino è convinta di avere la vita spianata davanti a sé, una vita costellata di successo. A sua volta, Charlène si costruisce un Io sostitutivo con Sarah, vive la vita attraverso la sua amica. Ma i conti non tornano. Non possono tornare, perché in questo bilancio il passivo è sempre dalla parte di Charlène, costretta dalla sua dipendenza emotiva, e dalla sua innata insicurezza, a vivere nell’ombra dei successi di Sarah, che più volte la umilia pubblicamente, incolpandola di starle sempre dietro come un cagnolino, di non avere ambizioni, di non avere carattere, di non avere personalità. A questo punto sorge il dubbio, in chi legge, che – all’interno di questo legame sadomaso – sia maggiormente Sarah a dipendere da Charlène, ovvero, le insicurezze di quest’ultima permettono a Sarah di costruirsi in Io vittorioso e di successo, tanto più misero e insignificante è l’Io di Charlène. Nel Mondo, ovviamente, non poteva esserci spazio per entrambe. Una delle due doveva morire per permettere all’altra di scoprire il proprio vero Sé.
Concludo con le parole finali del romanzo, che parlano da sé: “(…) nonostante il dolore, l’odio e la vergogna, ero uscita per sempre vittoriosa da una vita detestata (… )”.
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