PHILIP K. DICK TUTTI I RACCONTI di fantascienza 1947 1953
Philip K. Dick non ha bisogno di presentazioni, credo. Da quando Ridley Scott ha adattato per il cinema Blade Runner, Philip K. Dick è diventato una sorta di icona non solo della fantascienza, ma della letteratura in generale, con la sua enorme portata visionaria e, potremmo anche dire, anticipatoria. Dire che Philip K. Dick sia stato solo un Autore di fantascienza mi sembra riduttivo, e credo che questa mia opinione sia condivisa da molti lettori e critici. Al tempo stesso un Orwell non è solo letterario in senso tradizionale, ma è anche fantascientifico, nel tratteggiare Mondi e modi di percepire non dissimili dal Nostro, ma con forti elementi di alterità al loro interno, che distorcono e assottigliano il Nostro modo di sentire/percepire la realtà. Quanto in comune vi è tra questi due Autori, nel mettere in guardia dalla possibilità di un controllo totale delle coscienze?! Per non dire poi di W. S. Burroughs. Tutti e tre legati, nel loro mondo interiore, da una sorta di visione paranoica della realtà, che, a mio avviso, è l’unica visione sensata nell’era dei mezzi tecnologici di massa.
Philip K. Dick si è formato, in età giovanile, sui romanzi di Frank Baum, che formano il ciclo de Il Mago di Oz.
In PHILIP K. DICK TUTTI I RACCONTI di fantascienza la vena fantastica e quella più strettamente fantascientifica si sono sempre intrecciate. Eppure Philip K. Dick non ha mai rinunciato a dare – nei suoi libri – una descrizione precisa e realistica del mondo, con le sue cittadine americane a misura d’uomo e personaggi presi dalla vita quotidiana. Si potrebbe dire che, in questo, abbia anticipato, se non ispirato, Stephen King, con le sue descrizioni di vite e cittadine del tutto comuni, che a un tratto vengono travolte da fatti misteriosi, da forze oscure, che poi questi elementi perturbatori provengano dal sottosuolo, o dalla psiche degli individui, poco importa. La narrativa di Philip K. Dick, al contrario di Asimov (vedi Io robot) o di Clarke, non è pervasa da uno stile divulgazionista, ma è invece percorsa da una forte valenza simbolica, come nella tradizione del romance americano ottocentesco di Poe e Nathaniel Hawthorne (Carlo Pagetti). A questo punto sarebbe bene citare da Wikipedia.org un passo dedicato a Philip K. Dick a mio avviso molto importante e esemplificativo:
Le sue Opere sono caratterizzate da un senso della realtà costantemente eroso, con protagonisti che spesso scoprono che i loro cari (o anche loro stessi) sono segretamente robot, alieni, esseri soprannaturali, sottoposti a lavaggio del cervello, spie, morti o una combinazione di queste possibilità.
Le Opere realistiche di Dick, dapprima ignorate o incomprese dai fan della fantascienza, sono comunque degne della massima attenzione, e alcune di loro, come L’uomo dai denti tutti uguali, In questo piccolo mondo e l’ultimo, La trasmigrazione di Timothy Archer, tengono testa ai suoi migliori romanzi fantascientifici. Dick contribuisce alla costruzione dell’immagine letteraria della California a pari dignità con i suoi predecessori John Steinbeck e Raymond Chandler, spianando la strada alla produzione di Jonathan Lethem e di altri autori avantpop, come Steve Erikson.
©, 2007
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