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Carlo Sgorlon (Cassacco, 26 luglio 1930 – Udine, 25 dicembre 2009) è stato uno scrittore italiano.
I suoi romanzi hanno per tema specialmente la vita contadina friulana con i suoi miti, le sue leggende e la sua religiosità, il dramma delle guerre mondiali e delle foibe, le storie degli emigrati, le difficili convivenze delle varie etnie linguistiche; spesso proprio il passato e le radici rappresentano per Sgorlon gli unici elementi risananti del mondo.
L'autore ha vinto oltre quaranta premi letterari, tra cui: Il Supercampiello (due volte), Lo Strega, Il Napoli, Il Flaiano, Il Nonino, L'Isola d'Elba, L'Hemingway, Il Latina, Il Fiuggi, Le Palme D'oro, Il Tascabile, Il Basilicata, Il Penne, Il Taranto, Il Vallombrosa, Il Casentino, L'Enna, Il Rapallo, il Rosone d'oro, il Regium Julii e lo Scanno. (Wikipedia)
La si potrebbe definire una fiaba moderna, che si confronta col tema ostico dell’integrazione araba in Occidente. Tema che Carlo Sgorlon affronta con animo laico e distaccato, con quel tanto di delicatezza di linguaggio che ci rende la vicenda meno cruda di quanto non possa essere in realtà. Sì, perché Carlo Sgorlon ha il merito – o forse il difetto, dipende dai punti di vista – di rendere la crudezza della vita secondo le tinte diafane e delicate della cultura mitteleuropea, una vena che gli discende, probabilmente, dal vicino Danubio, e dai maestri yiddish – e non – da quella weltanschauung che si formò sotto l’impero asburgico, e sconfinò sino ai territori dei vicini Balcani. Altro tema caro a Carlo Sgorlon (ricordo un suo romanzo ormai non più recente, “Il Guaritore”), è quello dell’ecologia e dell’ambiente, delle risorse planetarie sempre più messe a rischio dall’incuranza dell’uomo. Si potrebbe aggiungere che ne “Lo stambecco bianco” anche il problema dell’integrazione tra culture tanto diverse abbia un’impronta ambientalista, in quanto l’integrazione evita – o potrebbe evitare – tanti sperperi di vite umane, tante guerre e tanto terrorismo. Carlo Sgorlon si conferma, in questo romanzo, un maestro dallo sguardo ampio e alto, venato da una saggezza contadina, la saggezza del popolo friulano, che lo guida da sempre nei meandri dell’essere umano con piglio sicuro e profondo. Non è distante, da queste pagine, la scuola dei maestri russi, di un Turgenev ne “Le memorie di un cacciatore”, mi viene da pensare, nel saper descrivere le anime dei boschi e le vicende dei viandanti, con quel lirismo luminoso e terso che è tipico dell’Est. Carlo Sgorlon ci incanta con la sua prosa semplice, quasi didattica, che sarebbe adatta alle giovani generazioni, una lezione di civiltà e cultura, di tolleranza ed ecumenismo.
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