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Presso la Grande Azienda il lavoro per Adamant era una ripetitiva, rassicurante fonte di certezze. Bollette che ogni bimestre venivano pagate, spese condominiali che, non una volta, fossero finite in protesto, due volte la settimana una spesa decente, e di tanto in tanto una capatina in pizzeria. Quanto appena elencato era il ménage di Adamant, non dissimile da quello di milioni di altri individui simili a lui, a Milano e in Italia in genere, e forse nel mondo occidentale. Un ménage che gli era garantito dal lavoro, certo e ripetitivo, presso la Grande Azienda.
La Grande Azienda era un edificio di forma cubica, grigio, con una schiera di finestre allineate come quelle di un penitenziario. Era un penitenziario. In senso lato. Ma anche in senso proprio. Lo smog di Milano era depositato sui vetri delle finestre, che solo raramente venivano puliti, e la luce del giorno, nel Reparto Trascrizione, cui faceva capo Adamant quattro ore al dì tre volte alla settimana, era cupa, giallastra, filtrata da un dito di smog più che ventennale. Le ore passavano in maniera quasi indolore, lì dentro, scandite dal ticchettare dei tasti del pc, nel lavoro di trascrizione, cui Adamant era addetto. Adamant era preciso, metodico, non perdeva mai la pazienza. Così il lavoro quasi quasi gli piaceva, e il tempo gli scorreva veloce.
Nessuno era mai riuscito a scovare la presenza di un’emozione sui tratti del suo volto. L’unica che si potesse definire tale, era la sua gentilezza, espressa in sorrisi, in movenze pacate, in gesti di massima disponibilità. Per questo, era considerato un tipo molto strano. Certi, preferivano stargli alla larga, temendo celasse qualche losco secondo fine.
Così non era. Adamant amava semplicemente la vita, e i propri simili, di un amore forse troppo astratto. Amava i rapporti armoniosi, l’aiuto reciproco, una forma d’amore senza implicazioni. Se qualcuno, però, voleva approfittarsi di lui, Adamant aveva buone antenne, e rifiutava di sottomettersi con la melvilleiana frase, letta su un libro, “preferisco di no”. Di libri gliene capitavano spesso per le mani, essendo amico di un libraio che, invece di darli al macero, per amore del non-spreco in buona parte li passava a lui. E lui li passava ad altri. Era stato, Adamant, un precursore del book-crossing.
Oltre a lavorare al Reparto Trascrizione presso la Grande Azienda, Adamant si era ritagliato un lavoro di Trovarobe. Trovava di tutto, su commissione, a coloro che avevano bisogno di un oggetto difficilmente reperibile sul mercato. Allo scopo, grazie alle sue buone maniere, Adamant si era costruito una rete solida di fornitori di Robe. Con il lavoro di Trovarobe guadagnava il doppio che con lo stipendietto fisso della Grande Azienda. In totale, si portava a casa un bel gruzzolo ogni mese. Lavorava come Trovarobe anche sul posto di lavoro nella Grande Azienda. A lui bastava un cellulare sempre connesso e un auricolare. Il suo tono di voce era sommesso, nessuno si accorgeva che parlava al cellulare e svolgeva un doppio lavoro.
Una sera una coppia di clienti lo invitarono a cena, per proporgli di trovare una certa Roba.
Adamant andò a quella cena.
La donna aveva una trentina d’anni, per lo più sfioriti in un matrimonio infelice e pieno di privazioni. Il marito era un rassegnato operaio specializzato, che aveva deciso di non occuparsi più della moglie, soprattutto a letto, avendo intrapreso la carriera del depresso cronico. Entrambi, però, si volevano ancora molto bene, e non volevano separarsi. A questo scopo, avevano bisogno, estremo bisogno di un certo Articolo
2)
Venne portato in tavola il dolce. Una torta confezionata, del supermercato. Luisa ed Enrico, malgrado i pochi mezzi economici, ci tenevano ancora alla forma. E malgrado i pochi mezzi economici, ci tenevano che Adamant reperisse loro quell’articolo, a qualsiasi prezzo (entro certi limiti, però) perché sennò ne andava del loro amore. Luisa posò in tavola anche il vassoio con le tazzine fumanti di caffè e la bottiglia dell’amaro per la correzione.
«L’abbiamo chiamata, invitata a cena, perché avremmo bisogno di un articolo… umano», disse, titubante, ma anche pieno di enfasi, Enrico.
Adamant, come suo solito, non si scompose, afferrò una fetta di torta, la portò alla bocca, si pulì le labbra col tovagliolo, poi passò al caffè. Aveva un’espressione accigliata, non guardava in faccia Enrico, tecnica che aveva appreso da un manuale di psicologia per non mettere in imbarazzo il cliente, e facilitarlo nella formulazione della richiesta.
«Mi dica, che genere di articolo… umano?»
«Che dia delle… prestazioni…»
«Ehm… che genere di… prestazioni?»
«Economiche, soprattutto economiche, in cambio di quelle… sessuali di Luisa, mia moglie »
«Vorrebbe far prostituire sua moglie? Ma non farlo sembrare meretricio, sbaglio?»
«Siamo in una brutta situazione. Vede? Io non posso più dare le mie attenzioni a Luisa, sono invalido all’ottantacinque per cento… poi c’è da dire che, a fine mese, non sempre ci arriviamo… abbiamo da parte, una piccola risorsa economica per le emergenze, volevamo rifarci il bagno… ma ci rinunciamo per pagare lei… Vero Luisa?»
«Sì sì…», fa lei, scuotendo in su e in giù il capo più volte.
«Di che età lo volete?»
«…mah…qualsiasi…, no, Luisa?»
«…caro, in verità lo vorrei un po’ giovane, e magari un po’… palestrato…»
«Ma così il campo si restringe.»
Adamant fece il suo intervento, tecnico: «E’ da stabilire se sia Luisa ad avere bisogno delle prestazioni di lui, ovvero, del suo membro e della sua prestanza, in quanto donna insoddisfatta, ma in tal caso verrebbe in secondo piano e di difficile applicazione il piano di farsi pagare dal prestante, o se sia il prestante, magari anziano, ad avere bisogno di una donna ancora giovane e piacente, e per questo sia anche disposto a pagare… ma in tal caso Luisa deve accontentarsi di un amante, diciamo, poco prestante, in declino…insomma, più fallo, meno soldi, più soldi… meno fallo.»
«Luisa, tu che dici…»
«Dico…»
Rimase muta, con un’espressione stupita sul volto. Luisa avrebbe voluto sia i soldi che il fallo.
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