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[1]La memoria può perseguire il desiderio, il sogno, l’illusione che da sempre accompagna noi umani, ossia di soffermarsi nel tempo, di sopravvivere al nulla… Il sogno perseguito e rincorso nelle allucinazioni e nei desideri può trovare talvolta soltanto un rispecchiamento concreto laddove la memoria diventa autobiografia e si incontra con la scrittura ed è da essa catturata; dove gli eventi, i volti, i sogni, i desideri sono trattenuti dall’emozione dello scrivere. Tutto questo si oppone a ciò che è aleatorio, saltuario, passeggero, effimero come quando il ricordo ripropone alla mente i propri cari, gli eventi, le immagini, i fantasmi del passato. La scrittura è un atto di eroismo quotidiano nel tentativo di trattenere il ricordo e lottare contro l’oblio inesorabile, crudele che in realtà si incarica di lasciarci qualcosa. E’ il grande protagonista della nostra esistenza perché dona la possibilità di rimemorare nuovamente. Quando la memoria si trasforma in scrittura e autobiografia e ottempera al senso ed allo scopo della riflessione scritta, nata per lottare contro l’effimero, per aiutarci a trattenere più a lungo le tracce del nostro passaggio nell’esistenza, prende forma la scrittura di noi stessi che cerca di far riaffiorare le immagini perdute.
Nascono i diari intimi, gli epistolari, le autobiografie alla ricerca di un tempo perduto, di una traccia tangibile della nostra sosta nella realtà dell’essere.
Ogni vita meriterebbe un romanzo, una novella, una pagina di diario, una poesia e qualcuno dovrebbe poter raccogliere questo messaggio.
L’esperienza della scrittura di sé necessita di rituali e momenti imprescindibili senza cui non si compie la sfida contro l’oblio lancinante.
Una delle condizioni per scrivere è la solitudine.
La solitudine è la capacità di apprezzare e sopportare la relazione interiore, intima con il proprio sé, l’anima dei conflitti, le paure, le angosce, i travagli penosi del vivere, le narcisistiche aspirazioni patetiche di sopravvivenza al tempo, all’inesorabile trascorrere degli eventi, alla devastante dimenticanza che imperversa la realtà postmoderna. A volte ci si alza dalla scrivania, nella stanza dei ricordi e delle viscerali solitudini, con l’impressione che il mondo interiore abbia più significato di quello reale. Lo stare soli è condizione e convinzione per cui tutto il nostro lavoro creativo non è qualcosa che viene insegnato, ma tragicamente conquistato: la gente troppo spesso evita la solitudine che non viene considerata una necessaria pratica umana, un valore intenso. Chi non evita di stare solo, in rapporto con la propria interiorità, si incontra inevitabilmente con la scrittura, con l’esigenza di divenire altro da sé, di dare forme alle immagini di un passato spesso doloroso.
Il racconto, la nostra biografia nasce prestissimo, nell’infanzia, con l’eredità delle narrazioni altrui, delle nostre figure parentali di riferimento. Nessuno inizia la propria biografia potendo dimenticare gli altri. Ogni autobiografia si incrocia, si interconnette alle altrui storie di vita ed è fortunato chi stabilisce una connessione, un ponte tra questi mondi, nelle variopinte diversità individuali anche lontane fra loro.
La scrittura lascia una lettera, una pagina, un libro, un diario della storia del nostro io, alla ricerca di un’intima identità, di un vissuto. Quando incominciamo a scrivere e decidiamo di raccontare, accadono molteplici eventi non solo tipici di una scrittura volta all’infanzia, ai lontani ricordi, alle dolci malinconie quotidiane contrassegnate da tante figure. Cosa si cela dietro la miriade di frammenti, di racconti che giungono spontaneamente agli archivi della memoria che restano spesso purtroppo nei cassetti ed in certi casi distrutti anche dal tempo? Cosa si nasconde dietro questi racconti? Vi si trovano vari personaggi, spesso rappresentanti i poliedrici volti di un unico autore.
Quando decidiamo di scrivere tentiamo la via del desiderio di continuare ad essere ricordati e di lasciare traccia, memoria, ricordo ai posteri. E’ un intento di natura sociale, di matrice intergenerazionale per la trasmissione di valori impliciti in una storia, in una memoria, racchiuse in un inconscio collettivo ed individuale, proprio di ogni singola persona che si racconta e si eterna nelle pagine di un diario.
L’autobiografia racchiude anche impliciti intenti di cura di sé per affrontare il male, il male di vivere… La scrittura diaristica nasce nella solitudine a volte spasmodica, solipsistica per valorizzare l’interiorità personale, che diviene popolata di immagine figure, emblemi, simboli….di poeti estinti, di morte, di nulla, di male, di disperazione.
L’intento introspettivo sollecita all’autoanalisi per cogliere almeno un frammento di ciò che si è, che si è stati e si è ancora e non si è più.
Non abbiamo altra via per nobilitare la morte se non la trasformazione dei nostri ricordi sparsi, perduti, frammentari e sempre più rarefatti. Il coraggio autobiografico di dimenticare, scrivendo, paradossalmente, è la stessa volontà di Orfeo che non riuscì a trattenere lo sguardo, si voltò, contro il volere degli Inferi, nella sua incoscienza e trasgressione per vedere il volto dell’amata Euridice…perdendola per sempre….
[1] Ricordo dell’intervento “Memoria e vita” del Professor Demetrio- Convegno Vidas- La memoria; Milano centro S. Fedele, 9 Aprile 2001.
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