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PEDAGOGIA DELLA MEMORIA

PEDAGOGIA DELLA MEMORIA
LABORATORI DI EDUCABILITA’ COGNITIVA SUL TERRITORIO DI MONZA: LA “PEDAGOGIA DELLA MEMORIA”, PER SE STESSI CON GLI ALTRI.
(2003)
L’assenza di cultura e i tradizionali pregiudizi in tale settore (la pedagogia) sostengono la convinzione che l’adulto sia in grado di autopromuoversi in quanto tale, per cui, desiderando arricchirsi culturalmente e vivere esperienze educative, non ha bisogno di essere tutelato dall’iniziativa pubblica, che dovrebbe, a sua volta, promuovere le condizioni che trasformino ogni territorio in area di educazione permanente (territorio e pedagogia) [1]. “Una teoria locale dell’educazione degli adulti nel quadro delle scienze dell’educazione intende costruire un progetto di formazione che parte dal particolare. ‘Locale’ sta per particolare, come aspetto specifico del singolo soggetto, parte dal suo punto di vista: ‘locale’ è inteso sia dal punto di vista dell’individuo, sia dal punto di vista della collettività specifica, dei gruppi di riferimento cui gli individui fanno capo, i gruppi di socializzazione primaria e secondaria nella famiglia, nel quartiere, nel territorio. Il territorio è la base del locale. In questo senso si può parlare di processo formativo (pedagogia) locale”. Le offerte educative per l’età adulta necessitano che l’esperienza di cambiamento venga vissuta collettivamente.
Da tempo il Comune di Monza ha istituito un Osservatorio di Area- Gruppo di Ricerca didattica e di Educazione Permanente, afferente all’Assessorato Pubblica Istruzione, per attuare, in collaborazione con gli insegnanti delle scuole locali, supportati dal relativo Ministero, un progetto di indagine, rivolto a gruppi campione di studenti, per la verifica delle modalità di apprendimento, tramite la prestazione professionale del Prof. Duccio DEMETRIO, docente di Educazione degli Adulti presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università statale di Milano II Bicocca.
Tale organo, istituito con la disponibilità dell’Ente Locale, ha favorito la comunicazione tra scuole, perché in un ambito educativo globale e permanente non è possibile separare la dimensione scolastica dal tempo libero, dalla famiglia, dalla vita professionale e personale, dal contesto territoriale. [2]“La nozione di territorio, tradotta in termini operativi, assume dei significati. Innanzitutto il territorio come luogo dell’azione: si deve delimitare un’unità territoriale economicamente, socialmente e culturalmente circoscritta, che presenta problemi concreti e specifici e che tenta di definire le linee di uno sviluppo possibile. Va da sé che l’azione di formazione si deve riferire a queste situazioni e contribuire alla loro evoluzione. In secondo luogo il territorio come luogo di partecipazione, soprattutto all’impianto delle attività di formazione. Si parte dal presupposto che nessuno meglio di chi vive in una determinata zona conosce i problemi che vi si pongono e i bisogni della popolazione, anche quelli formativi e culturali. Si è convinti inoltre che l’azione non possa riuscire se tutto l’ambiente non vi è coinvolto. In terzo luogo il territorio come contenuto del programma di formazione. Gli adulti si impegnano in un’attività di formazione solo se hanno la speranza di trovarvi una risposta ai loro problemi, nella loro situazione. Ciò richiede che si parta dai problemi di vita e di lavoro e che l’attività di formazione (pedagogia) assuma l’aspetto di un approfondimento di tali problemi attraverso tutte le conoscenze necessarie. Il territorio, come ambito della vita produttiva e residenziale, diventa l’oggetto, il contenuto della formazione. D’altra parte soltanto se si fa del territorio il contenuto della formazione si possono ‘incontrare’ quei nuovi soggetti che, nella situazione di oggi, diventano sociologicamente e politicamente sempre più rilevanti: i giovani, le donne, i lavoratori precari, i sottooccupati, gli immigrati. La nozione da utilizzare è quella di formazione secondo momento rispetto ad un primo che è il territorio, la vita quotidiana”.
L’interazione tra enti (scuole, Comune di Monza, Università – entri preposti alla pedagogia) sottolinea il concetto pedagogico di educazione permanente rivolta al cittadino, nel suo ambito territoriale,  in tutto l’arco della sua vita e non suddiviso in segmenti scolastici, ma introdotto in un contesto sociale più ricco, che oggi si presenta multietnico e multiculturale. [3]“Quando parliamo di opportunità formative territoriali ci rifacciamo, inizialmente, al concetto di agenzia educativa (di educazione degli adulti scolastica ed extrascolastica) perché l’educazione degli adulti non è certamente un universo a sé stante; è un universo di relazione in un universo più generale, in cui troviamo il problema dell’adulto nel rapporto generazionale, nel rapporto tra scuola e mondo adulto”. Si tratta di riprogettare il tempo libero dei soggetti affinché i continua diventino esperienza capace di mettere l’adulto nella condizione di sperimentarsi. L’Osservatorio ha approntato due tipi di azione:
  • RICERCA QUANTITATIVA: il censimento di una popolazione in età scolare per fornire un quadro informativo sui sistemi di istruzione e analisi dei fenomeni scolastici ( abbandono, successo, distribuzione).
  • RICERCA QUALITATIVA: una strategia per rispondere a tali quesiti. L’obiettivo consiste nell’accrescere e distribuire informazioni e capacità gestionali dei soggetti e delle istituzioni coinvolte in tale ricerca di educazione del pensiero e dell’apprendimento, tramite il metodo di animazione autobiografica attuato nei laboratori, un percorso di transizione sulle diverse fasi di vita di ciascuno, tramite la reminiscenza (anamnesi) e la memoria introspettiva. Risulta possibile mettersi in gioco come persona ed istituzione senza conflitto, ma in equilibrio, nella gestione delle problematiche.
[4]“Gli sviluppi di una prospettiva di ‘educazione permanente’ (pedagogia) sono andati di pari passo con importanti contributi delle teorie della personalità. Più esattamente, gli studi di Lewin, Allport, Rogers, Maslow hanno offerto una più adeguata psicologia dello sviluppo personale, permettendo di cogliere quel continuo processo di autorealizzazione e di autovalorizzazione che sta alla base della prospettiva suddetta”. Tale indagine è basata sul presupposto epistemologico assunto come modello conoscitivo, secondo cui se non avviene il cambiamento non risulta possibile l’azione educativa[5]. [6]“La mente umana non ha potuto che prender atto della evidenza del cambiamento di fronte alle fasi dell’esistenza e alla inevitabilità della morte, ai cicli delle stagioni, agli sconvolgimenti naturali, ai conflitti etnici e sociali. Per questo la ‘fenomenologia del cambiamento’, nelle due accezioni accennate, rappresenta il punto di partenza nella sua evidenza assoluta e della quale occorre tener conto anche quando adesso ci si rapporti, da Parmenide in poi, in nome dell’immutabilità dell’Essere”. Il soggetto deve partecipare a tale esperienza di cambiamento perché persino in età adulta lo sviluppo non è definito in quanto processo “in-finito”, che non prevede una fine stabilita lungo il corso della vita, raggiungibile in una particolare fase esistenziale, a patto che il soggetto  riconosca la propria personalità come incompiuta, [7]“La personalità è una forma particolare di coscienza intellettuale e di coscienza morale, altrettanto distante dall’anomia propria dell’egocentrismo quanto dall’eteronomia delle pressioni esterne, perché tale coscienza realizza la propria autonomia attraverso la reciprocità. Più semplicemente, la personalità è al tempo stesso contraria all’anarchia e alla costrizione perché è autonoma, ed è evidente che due autonomie non possono reggersi l’una rispetto all’altra, se non attraverso la reciprocità dei rapporti. Ammettiamo, in definitiva, che mirare al pieno sviluppo della personalità umana (pedagogia) e al potenziamento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, vuol dire formare (pedagogia) degli individui capaci di autonomia intellettuale e morale,  che rispettano tale autonomia negli altri precisamente in virtù della regola di reciprocità che la rende legittima per loro stessi”. Nel contesto attuale di rivoluzione massmediale e microelettronica di comunicazione e informatizzazione di massa, la “memoria” assume il significato di ricerca: abituare la mente a recuperare nuovi contenuti e categorie di vita (intelligenze, culture, etnie). L’istituzione comunale ha un ruolo innovativo di ricerca. [8] “Se poniamo territorio e comunità come i due poli di un continuum di cui stanno a testimoniare le dimensioni ‘oggettive’ e ‘soggettive’, possiamo sottolineare come nel corso del nostro decennio si possono individuare differenti linee di analisi che stanno a testimoniare la coscienza di ulteriori fenomeni emergenti. Da un lato gli Enti locali, pur mantenendo la funzione di ‘nodo di legittimazione’ delle politiche culturali, ne abbiano progressivamente perso il controllo sostanziale e decisionale a vantaggio del progressivo insorgere di nuove istanze e soggettività culturali extraistituzionali. Abbiamo la riscoperta e valorizzazione delle associazioni, movimenti, aggregazioni ( emergenti dalla società con sempre maggior ampiezza nel corso degli anni), in quanto portatori di una propria dimensione ‘ideologica’ e progettuale nei cui confronti con sempre maggiore difficoltà l’Ente locale riesce a mantenere un ruolo di controllo che non è più funzionale alla legittimazione culturale, quanto piuttosto orientato verso la delineazione di criteri di efficienza/efficacia oltre che di correttezza nella definizione ed articolazione delle proposte culturali”. [9]“Il sistema formativo regionale e locale si esprime in una rete di opportunità formative territoriali. In questo caso siamo direttamente nella dimensione territoriale, al contrario del modello scuolacentrico, che riduceva l’educazione degli adulti ad un’appendice della scuola: l’adulto che rientrava in formazione era un adulto che doveva recuperare la formazione scolastica. Nel dibattito, nelle politiche, nella ricerca l’approccio territoriale è ormai acquisito: esso postula l’attivazione di una rete locale di opportunità formative, dove è importante individuare la tipologia degli interventi”. La pubblica amministrazione con le ultime leggi  di svolta del 1990 la 241 e la 142 si presenta con un nuovo ruolo nella società dei servizi: un complesso di risorse e compiti per soddisfare i bisogni e garantire prestazioni alla collettività. Assistiamo ad un cambiamento di mentalità: da istituzione apparato ad istituzione servizio, da un sistema tolemaico (caratterizzato da accentramento, staticità, rigidità) ad un sistema copernicano dove prevale il concetto di decentramento, in cui risulta fondamentale la relazione fornitore/utente, basata su un’autonomia flessibile, dinamica, affidabile. Da un monologo si passa ad un dialogo, ad uno scambio interattivo orientato verso il futuro, perché dispiega tutte le potenzialità esistenti nella ricerca, dove si scopre che gli interlocutori sono carichi di risorse per eliminare le incrostazioni abitudinarie. Il ruolo dell’istituzione si traduce in un’agenda di obiettivi: incrementare la ricerca, individuare le esigenze, stimolare attività, piani, progetti, iniziative, coinvolgere le risorse,  attuare bilanci e approntare valutazioni finali.
Dalla ricerca sul campo, insegnanti e studenti hanno maturato un percorso di formazione per riflettere su se stessi, al fine di conoscersi, confrontarsi nella storia personale, trovando comuni punti di forza. Solitamente nella scuola l’insegnante si limita ad essere tale, giudicando e valutando l’operato dell’allievo. Ne consegue un risultato didattico poco incoraggiante per il giovane, un’idea svalorizzante della scuola, perché il docente sembra essere disposto all’aiuto e alla comprensione solo quando si sveste del suo ruolo ed entra nei panni di un adulto comune, come nell’ambito dei gruppi di lavoro. I laboratori favoriscono l’interazione tra adulti e ragazzi tramite il racconto di sé, la ricerca autobiografica. Come sostiene il Prof. Duccio DEMETRIO dell’Università Statale di Milano – Bicocca, attuare un lavoro autobiografico richiede all’individuo di reagire contro l’ansia di dominare il presente, per osservare con la memoria il passato ed affrontare la transizione difficoltosa, la metamorfosi del cambiamento, metabletica naturale dell’esistenza. Sembra un concetto controcorrente perché da tutti i versanti sociali è raccomandato di fornire una percezione veloce e tempestiva per reagire al tempo. Il metodo autobiografico, per analizzare se stessi, richiede lentezza, al fine di recuperare il senso del sé come individuo. La Pedagogia della Memoria oggi è una provocazione, perché insegna a custodire il ricordo personale e del proprio luogo di vita come risorsa per il resto dell’esistenza. La didattica autobiografica (biografia) comprende un’attività logica o biografema e biotema (connettere esperienze esistenziali apicali e attuarne una sintesi costruttiva), un’attività analogica o biosemantema (intuizione, invenzione, creazione e attribuzione di significati) e un’attività alogica o biomitema (piacere di contemplare il passato con pensiero estatico-sospensivo, individuazione di personaggi e miti positivi o negativi nel percorso formativo). Tale metodo arricchisce e forma l’identità del giovane nel recupero del rapporto con il mondo adulto, in una nuova prospettiva di animazione. Tutto questo non è psicanalisi ma è elaborazione di filosofia, vale a dire, riflettere e discutere sui temi più importanti dell’esistenza, chiedendosi i valori e i problemi fondamentali, motivi che appartengono alla storia del pensiero umano. Il piacere di indagare se stessi risulta un’insostituibile componente educativa che il mondo della scuola dovrebbe utilizzare come metodo didattico basilare.
[1] Orefice P., Per una teoria locale dell’educazione degli adulti, in “Adultità” n.2, ottobre 1995
[2] Susi F., La domanda assente. Un’azione collettiva di formazione in un’area interna della Basilicata, NIS, Roma 1989, p. 58.
[3] Orefice P., Per una teoria locale dell’educazione degli adulti, in ‘Adultità’ n. 2, 1995, p.65
[4] Guidolin E., L’educazione permanente, Liviana, Padova 1981, p.85
[5] Cfr. Demetrio D., L’età adulta, NIS, Firenze 1990
[6] Demetrio D., L’educazione nella vita adulta. Per una teoria fenomenologica dei vissuti e delle origini, NIS, Roma 1995, p.42.
L’educazione degli adulti non è solo un problema sociale o una disciplina universitaria: essa rappresenta, anzitutto, una tradizione di pensiero molto antica, in cui le prospettive del mito, dell’arte, della religione, della filosofia si intrecciano e corrispondono in modo peculiare. Dopo una prima parte dedicata alla disamina del concetto di educazione degli adulti e alla presentazione di un modello interpretativo transculturale, il libro analizza le tradizioni antiche e moderne, le scuole, i movimenti ideali, che hanno concorso alla creazione di un interesse multidisciplinare, oggi sempre più presente anche in campo accademico.
[7] Piajet J., Dove va l’educazione, Armando, Roma 1974, p. 83.
L’autore dedica la sua ricerca alle tendenze cui occorre essere fedele per un miglior presente e avvenire dell’educazione (pedagogia). Afferma che non c’è solo un diritto allo studio, alla formazione intellettuale, ma un dovere alla formazione morale, non sempre riconosciuto nè sempre chiaramente compreso e realizzato dagli educatori e dai giovani.
[8] Bocca G., Educazione permanente. Realtà e prospettive, Vita e pensiero, Milano 1993, p. 83.  In questo trattato l’autore esamina come l’educazione permanente, tema di riflessione pedagogica, dopo il vasto dibattito degli anni ‘70, è stata eclissata da altre dimensioni più direttamente operative, quali la formazione continua e l’educazione degli adulti. oggi si assiste ad una ripresa di interesse nella ricerca di una teoria globale dell’età adulta, per l’emergere di una nuova temperie culturale per ‘l’insorgere di nuove istanze e soggettività culturali extraistituzionali’.
[9] Orefice P., In ‘Adultità’ n. 2, 1995, p. 65
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