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AMORE VIAGGIO e LENTEZZA

AMORE VIAGGIO e LENTEZZA

 

Austrian composer Gustav Mahler (1860 - 1911). He attended the Vienna Conservatory where he studied composition and conducting. He composed nine symphonies with a tenth unfinished. Original Publication: People Disc - HN0077 (Photo by Erich Auerbach/Getty Images)
Gustav Mahler

Dame di granito, Principesse che ho sedotto, con gentilezza, con intelligenza, perché, a quei tempi, la “violenza” tecnica, in alpinismo, non esisteva ancora – del tutto – e si saliva, in purezza, a volte slegati, senza protezione, a mille metri da terra, e queste bellissime, altere, Principesse di Granito – potenzialmente vendicative – se avvertivano il tuo Amore, la tua dolcezza, nei loro riguardi, ti risparmiavano, non ti tagliavano la testa.
Ho amato le montagne, tanto quanto poi le donne, e la pelle delle donne, il suo odore, la sua consistenza, è sempre diversa, come diversa, è sempre la roccia, che avverti sotto il palmo delle mani, o la pianta dei piedi, se ti arrischi ad arrampicare scalzo, per raggiungere una fusione completa, con la Dea, in una sorta, di amplesso tantrico.

 

 

Ivan Guerini (insieme a M. Villa), difatti, giustamente, chiamò una delle sue Vie, uno dei suoi tanti Capolavori, nel 1976, “Il risveglio di Kundalini”.

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Qui, siamo in Val Bregaglia (e Masino), dove – peraltro – viveva il grande scultore Alberto Giacometti, al quale, successivamente, mi appassionai (magnifica coincidenza), dalla cui biografia, venni a sapere che suo zio, o cugino, o padre (purtroppo non ricordo) era addetto alla funivia di Vicosoprano, la quale, diverse volte, mi portò all’attacco di vie spettacolari, nel possente Teatro d’Azione dell’Albigna.

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Alberto Giacometti ai piedi dello spigolo nord del Badile, a sinistra nell’immagine la parte occidentale del Pizzo Cengalo

 

Qui, in Val Bregaglia, si può assaporare, vivere, impaurirsi, di un sentimento che, i Romantici, chiamarono “Sublime”, il quale non esclude il brutto, il terrifico. Ma siamo – anche – a due passi, subito dopo aver superato il Maloja, da un altro ambiente, più arioso, aperto, sereno, fatto di pascoli distesi, e diademi di neve, che brillano, lontani, ovvero, la Valle Engadina, tanto amata da Friedrich Nietzsche.

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La Val Bregaglia (Bergell in Tedesco; Val Bargaja in Lombardo) è una valle attraversata dal fiume Mera (in Svizzera chiamato Maira) che sfocia nel Lago di Como. La valle incomincia dal Passo del Maloja o Passo del Maloggia (1.815 m) e finisce alla confluenza del Liro nel Mera; è per la maggior parte svizzera e solo l’ultima parte è italiana. (Wikipedia)

AMORE VIAGGIO e LENTEZZA

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E se la Val Bregaglia potrebbe essere paragonata alla “Sinfonia n. 2 in Do minore – Resurrezione” (dai toni inizialmente ferrigni e cupi) di Gustav Mahler (anche lui, amava l’Engadina, ma sua moglie, che vi si aggirava nuda, in cerca di solari estasi erotiche, lo fece quasi impazzire), l’adiacente Engadina, invece, potrebbe suscitare l’ascolto della
“Sinfonia n. 6 Pastorale” di Beethoven.

Come a dire, nella “Nascita della Tragedia” (Nietzsche): Dionisiaco e Apollineo.
COROLLARIO

 AMORE VIAGGIO e LENTEZZA

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due ceramiche di Lucio Fontana
Partire dall’assunto di Charles Baudelaire: nel viaggio, non è importante la meta, ma il viaggiare. E giungere alla conclusione: nel rapporto sessuale, non è importante l’orgasmo, ma il gioco stesso, tanto che all’orgasmo il gioco potrebbe portare, ma in una ottica tantrica sarebbe meglio non vi portasse. Se da un lato, lo svogliato percorre le strade della vita senza alcuna meta precisa, ma raccogliendo a 360 gradi materiale estetico, umano, poetico, in gran quantità, godendosi – per così dire – il paesaggio dal “finestrino”, il determinato alla “meta”, non raccoglie nulla, perché ha i paraocchi, che lo costringono a una mancanza di visione esterna, laterale.

AMORE VIAGGIO e LENTEZZA

L’alta velocità è la negazione del “Viaggio” baudelaireiano, e il prevalere dell’infimo concetto di “spostamento” da una meta all’altra, che ha ridotto la nostra penisola in una unica, grande metropoli, dove è sparito il senso dell’ignoto, della sorpresa, dell’attesa. In spostamenti che hanno il sapore senza sapore di un panino scipito.
In Ricordi di palestina, Matilde Serao invoca la lentezza per poter godere delle bellezze della Terra Santa, ma non può sottrarsi alla fuggevolezza e alla “volgarità” (sue parole) di quel viaggio in treno da Jaffa a Gerusalemme, in cui “Il treno è troppo rapido” e “voi sapete tutto ma non vedete nulla, voi non afferrate nè una linea nè una tinta, voi non capite più niente” (…) “Voi sapetre bene di passare, correndo, fuggendo, per quella pianura di Saron, dove i Filistei vinsero i figliuoli d’Israele e presero loro persino l’arca della Santa Alleanza; che il treno lascia indietro la valle di Saron dove Dalila sedusse Sansone e lo mandò prigioniero cieco, ma vinto, a Gaza: che, dopo, più in alto, voi vedete o non vedete la valle dei Giganti, dove Davide vinse i Filistei. Più avanti, forse, non vi è la tomba del vecchio e fedele Simeone, che tenne nelle sue braccia il Divino Fanciullo e chiese umilmente al Signore di richiamare a sè il proprio servo, giacchè aveva vissuto abbastanza per vedere il Messia: non è forse quello, lassù, il monte del Cattivo Consiglio, dove i farisei si riunirono con Caiphas, per deliberare la morte di Gesù?”

 

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Nel “Pranzo di Babette”, la Blixen ci racconta tutto, fuorché il pranzo – subito consumato – ma la sua lunga, lenta, estenuante, preparazione.

 

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Ma torniamo ai miei Amori, alle Montagne. Mi sentivo spesso dire: “Giunto in cima, chissà che bel panorama si deve godere!”. Cosa rispondere? Stavo zitto, al limite, assentivo scoraggiato, di fronte alla mole di spiegazioni che avrei dovuto dare, tentando, sempre senza molto successo, di spiegare che, del panorama, a un alpinista, non gliene frega niente. Rischiare la vita, realmente, per un panorama? Salire una parete sul versante alpinistico, per godersi il panorama, quando, dal versante opposto, ci sarebbe una comoda funivia, che porterebbe ugualmente in vetta? Assurdo. … AMORE VIAGGIO e LENTEZZA …
AMORE VIAGGIO e LENTEZZA
Karen Christentze Dinesen, baronessa von Blixen-Finecke (Rungsted, 17 aprile 1885 – Rungsted, 7 settembre 1962), è stata una scrittrice danese, nota con vari pseudonimi, il più famoso dei quali è Karen Blixen; pubblicò Opere anche con il nome di Isak Dinesen (suo cognome di nascita), Tania Blixen, Pierre Andrèzel e Osceola. Usando lo pseudonimo di Isak Dinesen, scrisse il primo lavoro che le avrebbe portato il successo: Sette storie gotiche, una raccolta di sette racconti pubblicata sia negli Stati Uniti che in Inghilterra nel 1934. Tre anni dopo, nel 1937, scrisse quello che sarebbe rimasto il suo capolavoro e per il quale resterà famosa nel panorama letterario del XX secolo: La mia Africa, una sorta di diario dove racconta i suoi anni passati in Kenya e i suoi rapporti con la natura e con i nativi del posto, dei quali ammirava il modo di vivere. Negli anni che trascorse in Danimarca la sua salute fu molto cagionevole e passò lunghi periodi in ospedale a causa di una grave malattia venerea, la sifilide. Negli ultimi anni di vita fu costretta a dettare i suoi romanzi alla segretaria a causa della malattia, che non le consentiva più di lavorare alla scrivania. Morì il 7 settembre 1962, all’età di settantasette anni. I suoi ricordi africani, le fotografie e le lettere del suo amato Denys Finch Hatton, compagno dopo la separazione dal marito, la sua scrivania e molti oggetti personali sono conservati nella sua casa, divenuta museo nel 1991 grazie agli introiti del film La mia Africa, tratto dal romanzo omonimo. Nel museo si possono ammirare anche diversi quadri dipinti dalla stessa Blixen. Nonostante diverse candidature al Premio Nobel per la letteratura, Karen non lo vinse mai; dopo che sono stati resi pubblici gli archivi della commissione fino al 1960, all’inizio del 2010 è emerso che i giurati preferirono scegliere altri scrittori piuttosto che la Blixen, per non suscitare polemiche su presunti favoritismi verso autori scandinavi. (Wikipedia)

 

Ci sono Vie di salita, aperte negli anni ’70, che si risolvono ben prima della vetta, a sconfermare il vecchio, Vittoriano, ideale eroico della conquista della cima. Quello che conta, è il Gesto. Così, fu per Lucio Fontana, giunto a maturazione di un percorso iniziato dal figurativo, tagliare la tela col temperino. Gesto. Il Gesto, se ne frega di ogni finalità, di ogni meta, ha valore, in sé.

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Per Cavalcare la Tigre, e volare nelle immensità del Tantra:

 

Leni Riefenstahl nacque a Berlino nel 1902. Il padre, Alfred Theodor Paul Riefenstahl, era un imprenditore di successo e avrebbe voluto per lei un futuro nell’azienda di famiglia. La madre, Bertha Scherlach, ne intuì presto il talento artistico e l’avviò alla danza, alla pittura e al teatro di nascosto dal marito, che non riteneva l’arte e lo spettacolo dei “mestieri seri”. A 16 anni la Riefenstahl si iscrisse alla Grimm-Reiter School di Berlino: la sua passione non poté più essere nascosta, causando una grave crisi coniugale. Il padre non credeva nel talento della figlia e la iscrisse alla Kunstakademie (Accademia di belle arti) di Berlino, una delle più prestigiose della città, sperando che ne mettesse in luce le lacune, inducendola a seguire la volontà paterna. Al contrario, la Riefenstahl si rivelò una delle allieve più promettenti e nel 1921 decise di lasciare la sua casa a causa dei contrasti con il padre. Studiò il balletto russo con Eugenie Eduardova e la danza contemporanea sotto la direzione di Mary Wigman. (…)

Tornata a Berlino per visite mediche, la Riefenstahl assistette alla proiezione del film Der Berg des Schicksals (“La montagna del destino”), un film sulle Dolomiti del regista tedesco Arnold Fanck, un pioniere del “cinema di montagna”. Rimase affascinata dalle possibilità di questo genere cinematografico[2] che all’epoca riscuoteva un buon successo. Per circa un anno fece un lungo viaggio sulle Alpi nella speranza di incontrare Fanck e ottenere un ruolo nel suo successivo film. Incontrò invece Luis Trenker, un attore italiano altoatesino che aveva lavorato con Fanck e che la segnalò al regista.

Nel 1926 ottenne il suo primo ruolo da protagonista nel film La montagna dell’amore (Der Heilige Berg) e divenne rapidamente la star di numerosi film diretti da Fanck, presentandosi come una giovane donna atletica e avventurosa dotata di un suggestivo appeal. La sua carriera di attrice di film muti fu prolifica, tanto da guadagnarle in Germania una discreta fama e la considerazione di registi e appassionati di cinema. Nel 1930 concorse al ruolo di protagonista per L’angelo azzurro (Der Blaue Engel), ma il regista Josef von Sternberg le preferì Marlene Dietrich.(Wikipedia)

 

©, 2013

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