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Intervista a Diego Parassole attore comico zelig monologhi
Zelig, le belle serate milanesi, il naviglio, quella girandola di nottambuli e belle donne che animano Viale Monza 140, anche per la presenza, al secondo piano, della celebre milonga, il Tangoy, nel cui ricordo affonda la mia vita di parecchi anni fa. Ora lo Zelig si è spostato di qualche metro, lasciando il vecchio e più piccolo locale attualmente occupato da un bar serale tutto musica, atmosfera glamour e tacchi a spillo. E si è ingrandito, non solo nei metri quadri, ma nella stessa risonanza mediatica grazie alla sua solida impalcatura organizzativa, alla professionalità dei suoi attori, all’appoggio di Mediaset, che l’hanno reso un fenomeno non più solo milanese, ma nazionale. A Mediaset un attore – mi spiega Diego Parassole – che voglia fare della comicità un po’ impegnata anche su temi sociali e politici, ha un buon spazio di manovra, non ha la vita difficile come in altre reti. La buona comicità, in questo caso rappresentata dal lavoro degli attori di Zelig, non è detto debba essere disgiunta da contenuti impegnati. Una risata, sana e liberatoria, può ben accompagnarsi a spunti di riflessione, politici, economici, ambientalistici. L’arte di Diego Parassole sembra essere proprio quella di indurre nello spettatore degli ottimi spunti di riflessione sulla Nostra società, nel momento stesso in cui gode per le sue battute più mordaci.
Che sia satira questa? Lo chiedo a Diego. “No”, mi risponde Parassole, al quale non interessa il messaggio politico in sé, ma far ridere e – se possibile – dare anche informazioni alla gente.
E’ proprio quello che, durante lo spettacolo, ho potuto constatare. Tanti sono i messaggi informativi, infilati con discrezione e arguzia, tra una battuta e l’altra, di tipo sociale e ambientalista, proprio come un po’ di salsa piccante in un panino al prosciutto: il fatto che ci sia la salsa piccante (la critica, il sociale, l’ambiente) non toglie per nulla gusto al prosciutto (la comicità) e, anzi, ne potenzia il sapore, lo rafforza, lo rende più convincente.
Penso ad altre forme di “comicità”, se così le possiamo chiamare: penso al Bagaglino, alla sua totale assenza di trasgressione, alla sua totale mancanza di dialogo e interazione col pubblico, e poi lo confronto con quanto si vede a Zelig, alla sua vitalità fatta anche di improvvisazione, con un sapore vagamente jazz, di rischio e azzardo; e mi dico: può esserci della comicità senza una dose di rischio? Di scambio e reciprocità col pubblico? Può ridursi, la comicità, a una “lezione frontale”, in cui il pubblico ha il solo compito di ridere a applaudire a comando?
La risata, per un attore di cabaret, è un premio – difatti – ma lo è ancora di più quando in sala serpeggia la maretta di una certa diffidenza, che ti schiaffeggia come la schiuma delle onde, e ti fa sudare freddo, ti fa temere di aver sbagliato, ti impone di correre ai ripari, di trovare soluzioni improvvise e immediate, come in una navigazione solitaria, altrimenti la tua barca viene sommersa dai marosi. E tu, attore dalla solida preparazione, sai come volgere la tempesta a tuo favore, cogli quel guizzo nello sguardo di un tipo che ti può essere alleato, stuzzichi la ragazza che ha al suo fianco, crei un improvviso vaudeville, e la risata arriva, piena, liberatoria, e rassicurante: ma a quel punto te la sei veramente meritata, ancora una volta hai portato a casa la pelle.
Sì, perché le serate di Diego Parassole sembrano delle battaglie: uno contro tutti. Piccolino, apparentemente indifeso, sorridente, scattante e gesticolante, Diego Parassole calca la scena con sicurezza, avendo alle spalle la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassie – forse soprattutto – una dura gavetta nei locali da battaglia, nei night, nelle taverne dove, se non lo facevi ridere, il pubblico ti insultava, e forse anche ti aggrediva. Questo è ciò che mi ha raccontato, nel camerino, Diego Parassole, mentre raccoglieva i suo “ammennicoli” alla Pistolazzi nelle sue quattro borse, e si disponeva a far scemare l’adrenalina della serata. Ma l’adrenalina non scemava, anzi, Diego parlava con piacere della sua vita, della sua formazione. Spensi il registratore, e ci andammo a mescolare alla ressa del locale attiguo, dove il padrone ci offrì due birre. E continuammo a chiacchierare. Su temi soprattutto sociali e ambientalistici. Ciò che potei notare in Diego, era la grande passione per la parola. La parola che si fa voce di un malcontento comune, senza diventare però populismo. Perché i suoi monologhi non fanno leva semplicemente su una forma di qualunquismo che potrebbe anche accomunarci, ma sono basati su una ampia, capillare documentazione. E così scopro che – per dare vita a uno spettacolo – Diego Parassole e i suoi Autori si preparano come se dovessero fare una inchiesta giornalistica; il modello è quello delle inchieste di Milena Gabanelli, molta documentazione, molto studio, enumerazione precisa di fatti e misfatti. E forse un po’ di preghiere, perché non sai mai a chi vai a pestare i calli. Anzi, lo sai, ma glieli pesti lo stesso, e se gli fanno male, è un problema suo.
Milano, 10 ottobre 2008
Intervista a Diego Parassole attore comico zelig monologhi
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