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Raimon Panikkar, nome completo Raimon Panikkar Alemany (Barcellona, 2 novembre 1918 – Tavertet, 26 agosto 2010), è stato un filosofo, teologo, presbitero e scrittore spagnolo, di cultura indiana e catalana, è stato una guida spirituale del XX secolo e innovatore del pensiero, teorizzatore e testimone del dialogo interculturale e dell'incontro tra le religioni. Sacerdote cattolico, autore di più di sessanta libri e di diverse centinaia di articoli su religioni comparate e dialogo interreligioso. Docente, guru e mistico. (Wikipedia)
LE IEROFANIE DIVINE La fenomenologia delle divinità
LE IEROFANIE DIVINE La fenomenologia delle divinità
Ierofania (dal greco antico hierós, “sacro”, e phainein, “mostrare”) è un termine proprio della scienza delle religioni, della storia delle religioni, della fenomenologia della religione e dell’antropologia del sacro, della divinità, che designa la “manifestazione del sacro”. Il termine “Ierofania” fu introdotto dallo storico delle religioni rumeno Mircea Eliade (1907-1986)risultando essere un concetto cardine della sua ricerca. (Wikipedia).
Relazione di ricerca al libro di R. Panikkar, Divinità, EMI con introduzione di B. Salvarani.
L’autore Raimon Panikkar ricerca, con questo libro, l’immagine che le divinità rappresentano per l’uomo, in pluriculture sacrali di ierofanie del divino. L’uomo si sente solidale con i ritmi cosmici; la storia sacra viene trasmessa dai miti ed è indefinitamente ripetibile. I modelli delle istituzioni, le norme di condotta si ritengono rivelati dall’inizio dei tempi e di origine sovrumana e tramandati da miti, ossia archetipi e ripetizioni del sacro, mondo della divinità. Il simbolo, il mito, il rito costituiscono un complesso sistema di affermazione ultima delle cose, una vera metafisica. L’oggetto o l’azione sacra, tesa verso la divinità, acquistano un valore reale perché partecipano di una realtà che li trascende. Per esempio, una pietra diventa sacra perché costituisce una ierofania oppure perché ricorda un atto mitico, o perché la forma ha un simbolismo. L’oggetto diviene ricettacolo di una forza esterna, che lo differenzia dall’ambiente per senso e valore. L’uomo arcaico compie atti e azioni già compiuti da archetipi mitici. La sua vita è ripetizione di gesti inaugurati da altri. Il rituale è ricordo, di un evento mitico, e ripetizione dell’evento stesso, al contempo. L’evento rivive e ripete ciò che è avvenuto in “illo tempore”, in un passato fuori dal tempo. L’evento sacro originario diviene un modello, un archetipo. Le nostre azioni sono ripetizioni archetipiche. Il tema della ripetizione dell’archetipo è già presente in Platone, infatti egli è il filosofo della mentalità primitiva.
L’”eterno ritorno” non va inteso nel senso di ciclicità come per Eraclito, ma l’eterno ritorno a modelli, azioni esemplari, archetipi, in una globale valorizzazione della metafisica dell’esistenza umana, non in quanto individualità e temporalità, ma perché connessa a radici che ne prescindono, ossia trascendenti.
La ripetizione caratterizza l’ontologia dell’uomo arcaico. Tutta la vita arcaica è immersa nella sacralità e di conseguenza, noi, traiamo da questa affermazione, il significato che tutta la vita arcaica è immersa nella ripetizione, la quale ha funzione di segregare e isolare la temporalità altra dell’evento esemplare, dall’inserimento nella realtà quotidiana. L’autore ha un’ idea del sacro che si esprime in diverse forme, tutte legittime, per cui rende illogico ogni tipo di lotte confessionali e di particolarismi religiosi, mettendo in guardia riguardo ad un futuro in cui la ripetizione dovesse riguardare non solo il sacro, ma altri ambiti. La ripetizione si presenta a livello sociale nei movimenti totalitari per esempio il comunismo rumeno o il nazifascismo, in cui il capo costituiva l’archetipo e la ripetizione si traduce nella regola.
Il simbolo del “centro”
La realtà è conferita dalla partecipazione al simbolismo del centro, per cui tutto è reale in quanto assimilato al centro del mondo, in cui si trovano la montagna sacra, su cui avviene l’incontro tra cielo e terra, il tempio- palazzo-città sacra, considerati punti di incontro tra cielo- terra- inferno.
Nelle varie civiltà la montagna sacra assume connotati topologici e geografici reali. Per esempio per gli indù esiste il monte Meru, in Palestina il monte Thabor, che significa in ebraico “ombelico”= tabbur. Per i Cristiani il Golgota è il luogo in cui Abramo fu creato e poi sepolto e redento dal sangue di Cristo, ivi crocefisso. Per l’Islam la montagna sacra per antonomasia è la KA’aba. La sommità della montagna cosmica è l’ombelico della terra in cui ha avuto origine la terra e la creazione divina. Questi termini specifici sono improntati sull’embriologia trilogica di Dio-Madre-Origine connotati dal simbolismo del “centro” sopravvissuto nei tempi moderni, attraverso l’immagine del templio, imago mundi che si ripresenta nella basilica cristiana, ossia la Gerusalemme Celeste. Il centro è lo spazio limitato, la zona del sacro, quale realtà assoluta per cui la via che vi conduce è difficile come i pellegrinaggi, le peregrinazioni (argonauti), i labirinti, le difficoltà del cammino dentro di sé, al centro dell’essere, quali riti di passaggio dal profano al sacro, dalla realtà all’eternità che preludono l’iniziazione e la consacrazione.
Ogni creazione umana ripete l’atto cosmogonico per eccellenza come creazione; tutto ciò che è fondato si trova al centro del mondo, perché la creazione avviene a partire da un centro. In India, per esempio, per fondare una città o costruire una casa, l’astrologo indica il centro del mondo sopra cui si trova il serpente Vrtra che rappresenta il Caos, amorfo, non manifestato. Lo stregone in seguito pianta il palo nella testa del serpente come gesto primordiale di creazione di Soma e Indra, al fine di assicurare Realtà e Durata (spazio trascendente che corrisponde con il centro) di una costruzione: così è ripetuto l’atto divino della creazione esemplare, con la ripetizione dell’atto cosmogonico, per cui il tempo concreto è proiettato in un tempo mitico.
Rituali e gesti profani ripetono atti posti ab origine dagli dei.
Ogni rituale ha un modello divino, un archetipo paradigmatico. Si suppone che tutti gli atti religiosi fondati da dei, eroi civilizzatori, antenati mitici, ma anche ogni azione umana, hanno significato perché ripetono l’azione mitica compiuta dal dio, eroe, antenato, per cui l’uomo ripete l’atto della creazione.
Il calendario religioso commemora tutte le fasi cosmogoniche ab origine, per esempio il sabato giudaico, quale imitatio dei.
La liturgia ecclesiastica è la totale ripetizione della vita e della passione di Gesù.
I riti matrimoniali riproducono la ierogamia, come unione delle divinità cielo e terra. Il mito cosmogonico risulta un modello essenziale per tutte le cerimonie con scopo di restaurazione della pienezza integrale originaria. Si recita il mito cosmogonico della creazione per tutti i seguenti eventi suffragati, nelle varie tradizioni, da cerimonie rimemorative di uno status originario: la guarigione, la fecondità, la nascita, i lavori agricoli.
Si può anche affermare che il mondo arcaico ignora le attività profane, infatti molti riti legati ad esso, hanno subito un processo di desacralizzazione.
Oggi sono considerati profani diversi rituali come per esempio la danza, che ha origine da un’attività sacra, con riferimento ad un modello extraumano, quale l’animale totemico o emblematico, la divinità, l’eroe. Lo scopo precipuo della danza è rendere onore ai morti e propiziare un buon ordine del cosmo, attraverso movimenti e cadenze che imitano il gesto archetipico o il momento mitico. Dunque la ripetizione è la riattualizzazione e ritualizzazione di “quel tempo”. I rituali del duello, della lotta-conflitto richiamano l’imitazione di modelli archetipici. Per esempio, nella tradizione nordica il primo duello tra il dio Thorr e il gigante Hurungnir prelude a gestualità e movenze che vengono ripetute anche nell’iniziazione militare. Secondo le società tradizionali tutti gli atti importanti della vita quotidiana sono rivelati ab origine da dei o eroi: gli uomini ripetono quei gesti paradigmatici.
L’oggetto o l’atto mitici sono reali solo se imitano o ripetono un archetipo. L’uomo arcaico si riconosce reale quando cessa di essere “se stesso” e ripete i gesti di un altro. Questa ontologia primitiva presenta una struttura platonica, ossia arcaica, per l’abolizione del tempo con l’imitazione di archetipi e ripetizione di gesti paradigmatici. Quando l’atto acquista realtà per la ripetizione di modelli archetipici, subentra l’abolizione del tempo profano, della sua durata e della storia, così l’azione è trasportata in epoca mitica.
Molti grandi condottieri e sovrani del passato si consideravano imitatori di un eroe primordiale, con la trasformazione dell’uomo in archetipo con la ripetizione dell’atto sacro: tale memoria collettiva conserva il ricordo di un avvenimento storico.
L’imperatore Dario si riconosceva nell’eroe della mitologia persiana Traetaona che uccise un mostro.
I faraoni egizi si immedesimano nel dio RE vincitore del drago.
La storia è una ritualizzazione e riattualizzazione del mito primordiale. Per esempio San Giovanni di Rodi, celebre perché uccise il drago di Malpasso, è integrato in una categoria mitica, in un archetipo, in un modello esemplare, ossia il San Giorgio.
La mitizzazione dei prototipi storici dei canti epici popolari sono modellati sugli eroi dei miti antichi. Il ricordo di un avvenimento storico permane per breve durata nella memoria popolare che trasforma e assimila gli avvenimenti in categorie mitiche e i personaggi storici in archetipi: in questo senso la memoria popolare è antistorica.
La rigenerazione del tempo
In ogni civiltà è presente la concezione della fine e dell’inizio di un periodo temporale fondato sulle osservazioni dei ritmi biocosmici in un sistema di purificazioni periodiche (digiuni, confessioni) e di rigenerazione ciclica della vita e del tempo. Alla fine dell’anno subentra l’abolizione dell’anno passato e del tempo trascorso. Le cerimonie di purificazione racchiudono il significato della combustione delle colpe dell’individuo e della collettività, con una nuova nascita mediante la cacciata di presenze demoniache, malattie e peccati, nel tentativo di restaurazione del tempo mitico (puro) della creazione: ogni anno nuovo si ripete la cosmogonia. I rituali in attesa dell’anno nuovo ripetono il passaggio dal caos alla creazione, per esempio l’Akitu babilonese, in cui il dio Marduk combatte il mostro Tiamat e crea il cosmo, ossia l’ordine. L’Akitu comprende elementi drammatici per l’abolizione del tempo passato, la restaurazione del caos e la ripetizione dell’atto cosmogonico. Nel popolo ebraico la vittoria cosmogonica rappresenta la rivincita sugli dei pagani. L’antropologo Wensink studia la simmetria nei rituali del mondo semitico, in cui prevale il concetto di cosmogonia. Vi sono di questi esempi nelle popolazioni dell’Iran e dell’Iraq. Per esempio presso i Mandei, Nauroz riproduce il giorno della creazione in cui si seminano sette tipi di semi in un vaso, per cui traggono le conclusioni dal raccolto. Per i contadini europei i giorni tra Natale e l’Epifania prefigurano i mesi dell’anno.
Nel XIX secolo le tribù del nord America accellerano la fine del mondo invocando i morti e la chiusura del ciclo cosmico, come strumenti rituali di rigenerazione il cui scopo è annullare il tempo trascorso e abolire la storia con la ripetizione dell’atto cosmogonico, in un intento antistorico con la volontà di svalorizzazione del tempo, che svaluta gli avvenimenti senza modelli archetipici. Il primitivo vive in un continuo presente ripetendo le categorie mitiche, non registra l’irreversibilità della storia e del tempo che non sono interiorizzati e trasformati in coscienza collettiva. Il tempo ha una direzione ciclica nell’eterno ritorno. L’imitazione degli archetipi è uno sforzo disperato per non perdere il contatto con l’essere assoluto, il sacro, per cui la realtà si differenzia dal mondo profano che è irrealtà. L’uomo arcaico rifiuta di accettare e valorizzare la storia perché è impotente contro la sofferenza delle catastrofi, delle guerre e delle ingiustizie sociali, attribuendo sofferenze e dolore a influenze demoniache.
La storia come teofania
Per gli Ebrei ogni calamità storica era considerata punizione di Dio, Jhavè. I Profeti interpretavano le calamità come teofanie negative o positive. Per la prima volta i profeti valorizzano la storia, scoprendo il tempo a senso unico e non ciclico, quale volontà e personalità di Dio che interviene nella Storia (battaglie, assedi, calamità naturali) epifania divina. La nozione di rivelazione divina era implicita anche in altre religioni, ma avveniva in “illo tempore”, nel tempo mitico e imitata con i rituali della ripetizione. Al contrario la rivelazione monoteista avviene in un tempo con durata storica (per esempio le Leggi di Mosè) e implica l’accettazione della Storia come dialogo continuo con Dio, con la necessità di forte tensione spirituale.
La cultura ebraica sopporta la Storia nella speranza che cesserà per sempre, con il Giudizio Universale. Nella concezione Messianica la Storia ha funzione escatologica, in quanto rigenerazione periodica della creazione sostituita dalla rigenerazione unica in futuro
I cicli cosmici
Secondo Anassimandro tutto torna all’Apeiron
Per Empedocle esistono due principi opposti, eterne creazioni e distruzioni del cosmos simili alla dottrina Indù in cui il tempo è suddiviso in Yuga.
Eraclito sostiene una conflagrazione universale, ekpirosis. Il motivo dell’eterno ritorno caratterizza la cultura greco-romana. Subentra un atteggiamento antistorico di volontà di difesa contro la Storia e valorizzazione dell’Eterno Ritorno, quale statizzazione del divenire e annientamento dell’irreversibilità del tempo. Il mito dell’eterno ritorno è l’ultima variante del mito arcaico di ripetizione del gesto archetipo.
Nelle religioni Iranica, Giudaica e Cristiana viene limitata la durata del cosmo ad un certo numero di millenni. Ma la storia può essere annullata e abolita diverse volte prima dell’escaton finale, per esempio, l’anno liturgico cristiano, caratterizzato dalla ripetizione periodica della natività, passione, morte e resurrezione, nella rigenerazione individuale e cosmica.
Tali dottrine relative ai cicli cosmici costituiscono un modo per l’uomo di sopportare la Storia. Tratto comune di queste dottrine ellenistico-orientali è il momento storico contemporaneo, che presenta decadenza rispetto ai periodi storici precedenti, ma nell’aggravarsi della storia contemporanea subentrano segni seguenti di rigenerazione, per cui la storia è sopportata perché è necessaria alla futura rigenerazione.
Il popolo romano aveva due miti principali: la vita dell’Urbe, limitata ad un certo numero di anni e il Grande Anno, ossia la fine della storia di Roma con ekpirosis finale. Ma con Augusto si ripete l’età dell’oro cantata da Virgilio che evita l’ekpirosis, ma subentrano guerre e epidemie, segni di passaggio tra l’età del ferro e dell’oro, nel supremo tentativo di valorizzare la storia. Guerre, distruzioni, catastrofi non sono più segni premonitori di passaggio da un’età all’altra, ma esse stesse sono passaggio. Sant’Agostino diceva “una sola città eterna, ossia Dio”, infatti il pensiero cristiano supera gli schemi dell’eterna ripetizione e scopre l’importanza della fede e del rinnovamento personale.
La concezione arcaica del tempo è archetipica e antistorica e si distingue dalla concezione moderna, posthegeliana. La prospettiva storicistica permette all’uomo di sopportare le pressioni della storia? Come?
Hegel valorizza l’avvenimento storico in se stesso, tramite il concetto di necessità storica che giustifica le sofferenze con la necessità del “momento storico”, anche con il collegamento con la concezione giudeo-cristiana. Secondo Hegel la Storia è avvenimento e manifestazione dello spirito universale, simile a Dio e ripetizione di tesi-antitesi-sintesi. Per i Profeti l’avvenimento è valido e irreversibile perché è manifestazione della volontà di Dio, in una prospettiva rivoluzionaria nella società arcaica dominata dalla ripetizione degli archetipi.
Marx spoglia la storia di significati trascendenti, in quanto è epifania della lotta tra classi. Gli avvenimenti portano ad uno scopo preciso, l’eliminazione del terrore della Storia, con l’Età dell’oro, per cui abolito il male subentra la Giustizia. Anche lo storicismo e la filosofia della Storia sostengono l’idea della sopportazione della Storia, ma non è sufficiente se non subentra un significato trascendente, a cui attribuire colpe. Infatti la maggior parte della popolazione europea viveva nella prospettiva tradizionale antistoricistica. L’orizzonte degli archetipi non può essere superato con la prospettiva storicistica, ma è superato, per la prima volta nella storia, dalla religione giudeo-cristiana, che ha introdotto una nuova categoria: la fede, ossia la libertà creatrice per l’uomo che poggia su Dio. La fede può attribuire significato trans-storico alle tragedie storiche.
La teoria ciclica del tempo perdura fino al XVII secolo (Dante, Bacone, Campanella, Bruno), mentre dal XVII secolo in avanti subentra la teoria lineare della Storia (Pascal) con la fede nel progresso infinito con Leibniz nel secolo dei lumi. Nel 1900 con Nietzsche ritorna la concezione ciclica della Storia e del tempo.
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