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L’IDENTITA’ OCCIDENTALE TRA ISLAMISMO E CRISTIANESIMO I RINNEGATI

L’IDENTITA’ OCCIDENTALE TRA ISLAMISMO E CRISTIANESIMO I RINNEGATI
Introduzione:
Nel 1453 Mehemet II, sultano turco, conquista Costantinopoli. Inizia così la fine del sogno di un ininterrotto impero cristiano, erede dell’impero romano. Per il sultano, importante fu l’aiuto “cristiano” dei rinnegati, ossia dei convertiti cristiani all’Islam. Nel 1571, la battaglia di Lepanto sancisce la fine dell’egemonia dell’Islam sul Mediterraneo. Ancora oggi come allora, gli islamici combattono sempre contro l’Occidente in un clima di tensione sfociato nella Guerra del Golfo, che ha rivelato un legame profondo tra due culture e società contrapposte per ideali, valori e religione. Gli eserciti occidentali intervengono contro l’esercito musulmano che, in realtà, è armato e assistito tecnicamente da esperti occidentali, ossia “cristiani”. Da questo quadro emerge la figura del “rinnegato”: il convertito cristiano all’Islam. Perché il cristiano in passato si convertiva più facilmente all’Islam? Le varie risposte possibili si riscontrano nell’identità cristiana più duttile e complessa, maggiormente predisposta all’inserimento in culture diverse e disposta a forme di dissimulazione e travestimento.
L’esperienza dei “rinnegati” si rivela la via principale per cogliere sul nascere la formazione di un’identità cristiana occidentale di tipo moderno.[1]
Il confronto con l’”altro”: le conversioni
In età moderna avviene la divisione del Mediterraneo in una parte cristiana e musulmana. Il fenomeno dei rinnegati coinvolse 300.000 individui fra il ‘500 ed il ‘600, e diverse migliaia di persone nel ‘700. I rinnegati erano, per la maggior parte, schiavi che, con l’apostasia dal cristianesimo, volevano ottenere la libertà.
Dal XVI secolo, con i rinnegati, vengono diffuse nuove tecnologie occidentali nei paesi ottomani (islamici). I rinnegati venivano utilizzati nelle guerre contro l’occidente e quindi contro i loro ex compatrioti, per la loro conoscenza dei luoghi e delle abitudini occidentali. Così, questi convertiti ottenevano ricchezze ed avanzamenti sociali. Le fonti più importanti su cui studiare il fenomeno di conversione dei cristiani occidentali all’Islam sono gli archivi dell’Inquisizione, in cui si trovano i processi di riconciliazione dei rinnegati con la società cristiana. Anche le donne, una volta rese schiave, abbandonavano e rinnegavano facilmente il cristianesimo a favore dell’Islam, diventando concubine apprezzate dai sultani islamici. Dunque i rinnegati non sono solo uomini e donne schiavi in occidente ma anche persone libere, abitanti delle zone costiere maggiormente abituati, per la collocazione logistica, al contatto con le flotte islamiche. Il XVI secolo è l’”epoca d’oro” dei rinnegati, e ad Algeri costituivano la maggioranza della popolazione, di cui facevano parte i “rais”, ossia i comandanti delle flotte e i “caid”, i governatori dei territori interni. Lo status sociale dei rinnegati non si trasmetteva automaticamente ai figli (chiamati kouloughi) che erano titolari di privilegi inferiori e costituivano una casta inferiore. Dal 1600 il fenomeno dell’apostasia dal cristianesimo diminuisce per diversi fattori economici, come la decadenza dei traffici mediterranei per cui vi erano un numero inferiore di prigionieri e schiavi, ma anche per conseguenze politiche, come il ruolo attivo di ordini religiosi cristiani (trinitari e mercedari) in terre islamiche che convertivano e riscattavano gli schiavi ottomani.
A Lampedusa vi era a quei tempi uno strano luogo di culto, una grotta dedicata alla Madonna, dove vi depositavano sia cimeli cristiani che musulmani, a cui si rivolgevano in preghiera pescatori, naviganti, marinai, corsari, appartenenti a entrambe le religioni. Era un luogo di culto “doppio” appartenente contemporaneamente all’islamismo ed al cristianesimo. Secondo la leggenda, il compito di accendere il lume per i naviganti era affidato ad un romito che si presentava a seconda del bisogno o cristiano o musulmano: questo rappresentava un modello di sincretismo religioso, fino alla fine del XVI secolo.
Le isole del mediterraneo furono spesso zone franche nella contrapposizione tra le due civiltà. Per esempio, anche l’isola di Tabarca fu ottenuta dal comandante genovese Giannettino Doria in cambio della liberazione del corsaro Dragut nel 1540. L’aristocratica famiglia dei Lomellini, di origine genovese, fondò proprio a Tabarca una colonia che diventò una potente base commerciale. I Lomellini vi costruirono robuste fortificazioni e nel XVIII secolo cominciarono a perdere interesse per l’isola di Tabarca, accettando offerte d’acquisto dell’isola. I governatori tunisini diventarono i nuovi padroni e si comportarono da conquistatori, saccheggiando ed incatenando gli abitanti dell’isola: i tabarchini.
L’occupazione genovese durò duecento anni: dal 1540 al 1741. Dopo i genovesi, i tunisini spadroneggiarono ed il massimo valore economico dell’isola proveniva dai contatti tra governatori e rinnegati dell’alta gerarchia musulmana tunisina. Tabarca svolgeva un ruolo insostituibile per lo scambio dei prigionieri cristiani sotto il controllo del governatore tunisino: riscatto e scambio di schiavi ed il commercio con i rinnegati. Queste attività costituirono il punto forte dell’economia di Tabarca.
L’esistenza di luoghi/confine e persone/confine che costituivano una sorta di “spazio neutro”, di mediazione tra i due mondi, in contrapposizione nel mediterraneo, coincide con una fase di profondo cambiamento per i rapporti tra la cultura occidentale e “l’altro” islamico. Questa contrapposizione con l’alterità musulmana in occidente si stempera con la scoperta delle Americhe, del nuovo mondo, ossia, con culture lontanissime dalle rivelazioni religiose. Con i “selvaggi”, per la cultura cristiana si amplia il concetto di alterità. La religione protestante nutre una certa simpatia nei confronti del mondo islamico, perché ancorata al rigido monoteismo senza il clero ed in cui erano proibite le immagini sacre. L’unica differenza consiste nel fatto che i musulmani legano la fede alla pratica quotidiana dettata dal corano, diversamente rispetto ai protestanti più intimisti nel rapporto con Dio.
Tradizioni letterarie del Mediterraneo
Una certa tradizione letteraria mediterranea, si alimenta con la presenza del fenomeno dell’apostasia, di cui sono protagonisti i rinnegati, con persone e luoghi situati ai confini tra due mondi contrapposti: cristiano e musulmano. Nel 500 le avventure degli schiavi rinnegati e quindi il fenomeno dell’apostasia, diventeranno soggetto di un vero e proprio genere letterario.
La trama di questi romanzi si articola tra vari episodi, per esempio, la cattura, la schiavitù, il ritorno in libertà. Il modello più celebre di questo tipo di narrativa è proprio l’episodio dello schiavo nel Don Chisciotte di Cervantes, dove ricorre l’elemento erotico, l’avventura con una donna musulmana che diventa il tramite per la liberazione dello schiavo. Probabilmente l’ultimo rinnegato nella letteratura mediterranea è il padre di Carlino, il protagonista delle “Confessioni di un Italiano” di Ippolito Nievo.
Fino alla metà del XVII secolo l’istituzione ecclesiastica si limita a combattere il pericolo islamico in terra cristiana, invece di operare in islam, inviando religiosi e confraternite con il compito di assistere i cristiani prigionieri, per arginare le apostasie. I religiosi nel mondo islamico, se non fortemente motivati, erano attratti dalla religione mussulmana. Infatti il senato veneziano nel 1630 chiede al “Bailo” un più attento controllo per evitare le apostasie dei religiosi, per cui l’istituzione ecclesiastica organizza una migliore e peculiare selezione dei fedeli inviati in terra mussulmana. Il gesuita Vincent De Paul, poi fatto santo, fonda un nuovo ordine per il sostegno dei cristiani nel mondo ottomano: i missionari lazzaristi. Il loro principale obbiettivo era impedire le apostasie degli schiavi e dei religiosi stessi. Il progetto spirituale di Vincent De Paul si realizza con successo, mentre si presentano difficoltà sul piano politico-economico.
I consolati si indebitano e non tengono testa alle prepotenze delle autorità locali mussulmane. Da una lettera ricevuta da Vincent De Paul, si può avanzare l’opinione che proprio le apostasie che il santo in questione cercava di evitare, con l’intervento dei suoi missionari, si possono considerare come un momento positivo di apertura e dialogo con il mondo musulmano. Infatti i rinnegati assunsero funzione di interpreti linguistici e culturali tra i due mondi: nascevano così sbocchi di libertà e riconversioni in terra cristiana.
Le ritualità quotidiane nel mondo islamico
Sussistono vari esempi in cui i rinnegati rivelano la facilità con cui si sono integrati rispetto alle abitudini rituali islamiche.
La circoncisione era un rito di passaggio, perché segnava l’appartenenza alla religione e la transizione da bambino a uomo adulto. Questa pratica costituiva per i cristiani rinnegati l’unica vera paura, per cui rinunciano a mangiare il maiale, a bere vino ed accettano la circoncisione. Comunque la facilità dimostrata dai cristiani a mimetizzarsi in una cultura diversa si contrappone alla difficoltà dei musulmani di convertirsi al cristianesimo. Le maggiori difficoltà di integrazione da parte dei musulmani avvengono proprio sul campo delle abitudini alimentari e della cura del corpo. Le ritualità alimentari permettevano ai musulmani di mantenere i legami con la storia antica del loro popolo, di costruire la loro comunità, rifiutandosi di fonderla con quella dei cristiani.
Per i cristiani, i musulmani rappresentavano lo stereotipo di una fisicità diversa, che è fatta risalire, nella cultura cristiana, alla completa interiorizzazione del male, dell’impurità e di un potere contaminante del “diverso”, dell’”altro”.
I rinnegati, cioè i convertiti all’islam, si trovano di fronte ad un tabù, quello relativo al maiale, che si contrapponeva alla tradizione cristiana europea.
Gli antropologi sostengono che le differenze alimentari tra le due religioni, marcano, segnano, identificano le individualità e identità differenti delle stesse: sono diversità alimentari volute e indotte per differenziarsi. La contrapposizione cristiana tra cibi grassi e magri, si oppone alle regole alimentari della tradizione ebraico/islamica che vede la contrapposizione tra cibi puri e impuri: il “casher”. La proibizione delle bevande alcoliche, presente nel Corano, non ha la stessa valenza nella Bibbia. Per i musulmani il vino e le altre sostanze inebrianti sono considerate impure perché appannano la coscienza dell’uomo: l’uomo deve essere sobrio quando prega. Tale proibizione veniva rispettata soprattutto nell’esercito e nelle classi musulmane più povere, provocando l’ammirazione degli occidentali. Ma nella polemica religiosa tra occidente cristiano ed oriente islamico, all’ammirazione per la sobrietà si sostituisce la solita condanna.
Un celebre gesuita, pur condividendo la riprovazione per l’ubriachezza proclamata dai musulmani, contrappone la fiducia nella responsabilità individuale e nell’autoregolazione propria del vero cristiano. Nella cultura cristiana, il vino è molto più di una bevanda inebriante. Sussiste uno stretto legame analogico tra vino e sangue, intesi come sostanze vitali e sacre.
Il sangue versato da Cristo, infatti, cancella tutti i peccati dell’uomo. Bevendo il vino eucaristico, dunque il cristiano contravviene a due proibizioni islamiche perché beve vino ed esso è considerato sacro in quanto sangue di Dio. Attraverso questo passaggio, il vino si trasforma da simbolo di ubriachezza e di perdita di coscienza nella preghiera, a figura dello spirito, ossia rappresentazione del sangue purificatore versato dal Cristo. Per i cristiani il vino e il sangue costituiscono sostanze elevate al più alto livello simbolico tramite il rito eucaristico, perché sono fonte di purificazione. A questo si aggiunge l’importanza del sangue come segno di appartenenza a ceti sociali più elevati, garantendo una buona regolazione delle differenze sociali, mentre sussiste una differenza nella cultura islamica dove il vino è fonte di ebbrezza che inebria, invece l’uomo deve essere sobrio in preghiera, ed il sangue a cui è negato il potere di definizione sociale, perché i sudditi sono tutti uguali di fronte al sultano.
L’adesione alla cultura musulmana, per i rinnegati, prevedeva l’adozione di nuove regole alimentari (proibizione del maiale, del vino e la negazione del sangue) e l’obbligo delle abluzioni quotidiane: abitudine sconosciuta in Europa. I viaggiatori cristiani manifestano il proprio stupore nei confronti della pratica delle abluzioni, rivelando ambivalenza etico-morale nel giudicarla. Per alcuni cristiani prevale l’ammirazione per il buon comportamento che i musulmani tengono nei bagni, scrupolosamente divisi tra uomini e donne, accessibili a prezzi molto esigui, e disponibili anche per ebrei e cristiani. Desta ammirazione anche la presenza di numerosi gabinetti pubblici, denominati “adelpkanas”, ma soprattutto nel XVI secolo ed oltre nei paesi europei il bagno era quasi sconosciuto. Nel mondo occidentale, la pulizia del corpo avveniva tramite strofinamenti a secco con biancheria pulita, profumi, polveri. Per effetto della riforma e della controriforma i bagni pubblici e le saune vennero rigorosamente vietati e chiusi, perché più che di luoghi di pulizia si trattava, in Europa, di luoghi di piacere e trasgressione. Infatti il termine stufa o bagno indicava spesso il significato di casa di tolleranza. In Europa, l’acqua era considerata, dalla scienza medica moderna, pericolosa perché poteva infiltrarsi nella pelle e insidiare le difese immunitarie dell’organismo. Il bagno e l’acqua erano considerati pericolosi, non solo per la cura del corpo ma anche per la purezza dell’anima. La posizione della chiesa rispetto alle abluzioni rituali era sempre critica, perché la frequenza del luogo bagno implicava soprattutto un diverso tipo di rapporto con il corpo e la nudità. Per i cristiani il bagno era una pericolosa occasione di pensieri impuri, stimolati dalla vista del corpo nudo.
Per evitare questa pericolosa situazione, ai cristiani era consigliato di astenersi da pratiche di pulizia corporale. I bagni, ed in particolare quelli pubblici ottomani, per l’opinione cristiana, diventano luoghi di corruzione e di lussuria. Eppure, anche nella tradizione cristiana, vi erano pratiche che prevedevano l’uso dell’acqua, per esempio ai fini della purificazione, come il battesimo (l’acqua cancella il peccato originale) e le rogazioni (rituale primaverile di benedizione annuale dei campi agricoli con acqua, per purificarli da epidemie e insetti nocivi).
Esistono molti punti di contatto tra le due differenti religioni e culture, ma sussistono anche differenze strutturali relativamente al rapporto con il corpo che, per i musulmani, è un dono di gratitudine a Dio, e per questo devono mantenerlo puro da sostanze contaminanti. Il loro “corpo legittimo” è quello che obbedisce alla legge coranica nella pratica religiosa quotidiana. Per i cristiani, invece, il “corpo legittimo” è indifferente alle pratiche esterne, ma è il vivo tramite di un’osservanza interiore ed individuale di pensieri, opere, intenzioni, desideri, senza azioni impure. Proprio questa indifferenza della cultura cristiana rispetto alle condizioni materiali di vita, favorisce l’adattamento dei rinnegati nella società islamica: e questa condizione ha sempre garantito diffusione al cristianesimo.
Il cristianesimo non esercita forti spinte verso l’uniformazione culturale, perché si sovrappone a diversi stili e modi di vita dei vari luoghi, culture e religioni.
Per quanto riguarda le pratiche quotidiane, l’alimentazione e la cura del corpo, il cristianesimo ha permesso ai fedeli di stabilirsi ovunque senza eccessivi disagi dovuti ai cambiamenti negli stili di vita.
L’inquisizione e i rinnegati
La Chiesa affrontò in ritardo il problema delle conversioni cristiane alla religione islamica (apostasia), in quanto si trattava di musulmani spagnoli convertiti forzatamente al cristianesimo, e perché si credeva in una sorta di eresia cristiana e non di un’altra effettiva religione come quella musulmana.
Nel 1542 si mette in moto l’inquisizione romana. Non sono pervenute informazioni precise sul comportamento dei vescovi inquisitori di fronte ai casi di riconciliazione dei rinnegati, che era trattata con molte incertezze procedurali soprattutto nel 1500. Non era chiaro  chi avesse il compito di conciliare i rinnegati, se vescovi o inquisitori. I manuali per gli inquisitori che affrontano il tema della riconciliazione, si rifacevano all’Eymerich pena che introduce un metro di valutazione processuale nell’apostasia. Le indulgenze si estendono anche allo status giuridico di schiavo del rinnegato: un rinnegato assolto, perché ininterrottamente cristiano, doveva essere liberato dalla schiavitù dai suoi padroni cristiani. Le tipologie dei rinnegati variano per diverse condizioni, ma gli schemi di interrogatorio degli inquisitori non differiscono da quelli proposti dal vescovo Masini nel 1621, che riproduceva schemi di domande già usate in precedenza. Gli inquisitori sembrano sminuire il problema delle divergenze tra le due religioni al fine di permettere al più alto numero di rinnegati di rientrare nella cristianità. L’islamismo, come religione, non suscita gran timore negli inquisitori che interpretano la conversione come un espediente per sopravvivere. L’atteggiamento della Chiesa si può sintetizzare così: i rinnegati si dovevano presentare al Santo Uffizio per un superficiale interrogatorio, venendo così di seguito riconciliati con il cristianesimo. L’importante era che si presentassero e che non avesse successo il tentativo di vivere a metà tra le due culture, tra i due mondi. Sembrano processi fatti apposta per aiutare spiritualmente il rinnegato più che condannarlo.
Dalle testimonianze dei rinnegati cristiani si evince che la loro conversione alla religione islamica era “sentimentalmente” incompleta. L’imputato rivelava che nel cuore della sua identità era rimasto legato al cristianesimo, non integrandosi completamente con la religione musulmana. Molti rinnegati protestano inconsapevolezza nel momento del loro ingresso rituale nella religione islamica, come un ingresso naturale, perfettamente avvicinabile alla religione cristiana e compatibile ad essa. I convertiti cristiani all’islamismo si rifacevano ad una tendenza della cultura occidentale e cristiana di attribuire una forte coloritura magica alla tradizione ottomana. La letteratura dei paesi mediterranei è ricca di esempi di interventi magici di musulmani nei confronti di cristiani, ma è pura fantasia, invece è sicuro che molto raramente i Turchi forzavano i cristiani alla conversione. Infatti nei resoconti di viaggiatori e prigionieri vi sono episodi di rinnegati convinti da musulmani a tornare alla fede cristiana.
A partire dal XII secolo la cultura cristiana ha spostato la sua attenzione dagli atti alle intenzioni che sottendono le azioni. Con il filosofo Abelardo, il peccato per essere tale, doveva essere intenzionale, ossia accompagnato dall’intenzione, cioè dal consenso interiore. Accanto a questa scissione interiore comincia a delinearsi la distinzione tra “culpa theologica” o “culpa moralis” o “culpa civilis” o “iuridica”, nella distinzione tra interiorità individuale e obblighi sociali. La scissione della soggettività individuale fra interno ed esterno trova una forma adeguata nel descrivere un’esperienza così complessa come l’apostasia e la riconciliazione e nel raccontare una sofferenza umana così abietta, come la schiavitù. La possibilità di sdoppiamento fra interno (cuore, interiorità) ed esterno (leggi, società, obblighi sociali), vede un’immediata applicazione in campo religioso. Nel 1500 Lutero e Calvino scrivono trattati contro la dissimulazione religiosa (nicodemismo). Per alcuni assertori della liceità della dissimulazione, l’indifferenza per le cerimonie cristiane (dissimulazione religiosa) si poteva poi spingere ed estendere anche ai rapporti con Turchi ed Ebrei (apostasie). Per questo motivo il cristianesimo proposto da alcuni assertori della dissimulazione, per esempio Brunfels, “tendeva ad una riunificazione delle religioni sulla base di un’unica fede, a prescindere da dogmi e istituzioni”. Il motivo della liceità della dissimulazione è legato al tema della tolleranza religiosa. Si giunge addirittura a sostenere di considerare come “fratelli” turchi e pagani che temono Dio e agiscono secondo giustizia: questo è l’importante. In piena coerenza con tale indebolimento delle “strutture forti” della verità si colloca il “pensiero debole” di Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata che diventa il “primo grande esempio di solidarietà con il nemico islamico e quindi pagano”, il musulmano. Il personaggio più emblematico di questo poema in versi è Clorinda che difende la purezza della religione musulmana, ma che poi si scopre figlia di cristiani e muore battezzata da Tancredi, come cristiana. E’ notorio come al successo del poema sia corrisposta la grave crisi dell’autore che dopo avere osato raffigurare in versi un mondo che non distingueva il vero dal falso, non riuscì a convivere con il dubbio…
Le testimonianze di molti rinnegati provano essere condivisa l’idea che il buon comportamento da solo potesse assicurare la salvezza eterna, indipendentemente dalla religione professata. In Calabria vi furono già stati personaggi di cui si diceva avessero predicato pubblicamente la religione musulmana. Alla fine del ‘500, la congiura calabrese vide implicato il filosofo Tommaso Campanella. Era noto per le sue posizioni di pensiero naturaliste di ispirazione telesiana (Telesio) ed aveva già subìto inchieste e processi per le sue opinioni eterodosse rispetto alla religione cristiana: da qui il passo verso una congiura contro le autorità spagnole ed ecclesiastiche, intesa ad instaurare in Calabria una Repubblica comunista e teocratica, di cui avrebbe dovuto lo stesso Campanella essere capo e legislatore. L’imputato Campanella venne accusato dalle autorità del regno delle due Sicilie, di avere contatti con la flotta turca. Campanella sfuggì alla pena di morte con la simulazione della pazzia. Nel trattato “La monarchia di Spagna”, Campanella fa un esplicito riconoscimento alla struttura sociale tendenzialmente egualitaria degli stati ottomani. Egli compie nei suoi trattati, ispirandosi ai testi di Giordano Bruno, una messa in discussione e in confutazione del pensiero cristiano su basi naturalistiche, parascientifiche, in senso sempre più radicale.
I percorsi di una nuova identità
Il fenomeno dei cristiani convertiti all’Islam, i cosiddetti rinnegati, le apostasie, risultano un fenomeno interpretabile con due modalità: la modalità della cultura alta (giudici ed inquisizione) e la modalità della cultura folclorica (sdoppiamento della tipologia tra rinnegati buoni e cattivi).
Questi modi diversi di giudicare il rinnegato svolgono una funzione positiva nella rielaborazione del trauma dell’apostasia.
La cultura alta determina la definizione giuridica, mentre la cultura folclorica offre la possibilità di rielaborare le emozioni sottese all’allontanamento del rinnegato. Colpisce immediatamente un dato di importanza decisiva: il senso di identità del cristiano che non risulta segnato da soglie materiali. Né nei rituali di iniziazione, né nelle pratiche quotidiane un cristiano può fare appello a segni concreti che lo definiscano. Per esempio la penitenza, sia da parte dei riformatori protestanti sia cattolici, fu sostituita dalla convinzione divulgata da Erasmo da Rotterdam per cui la liberazione dal peccato derivava da una trasformazione dell’io, dalla disciplina come processo interiore e non come ripristino oggettivo di certi rapporti esteriori.
La caduta della categoria della contaminazione materiale e l’interiorizzazione che ne consegue, libera potenzialmente il cristiano dai legami comunitari e lo candida alla scoperta del mondo, ma tutto quello che guadagna in libertà, il cristiano lo perde nella capacità di convivere con il “diverso” che, senza confini concreti, diventa ancora più difficile distinguere e tollerare. Per il cristiano conta solo l’intenzione, avviene la cancellazione dei tabù: se l’intenzione è buona non vi è peccato. Un’identità in cui “interno” ed “esterno” non comunicano più, implica una personalità matura e complessa, la cui base emotiva sia ben addestrata a nascondere, a dissimulare sentimenti improvvisi. Attraverso tali comportamenti doppi, individui e gruppi si conquistano spazi autonomi sottraendosi alla pressione sociale.[2]
L’esperienza di dissimulazione dei rinnegati e degli intellettuali “nicodemiti”, trovano le loro radici nella comune appartenenza cristiana, come insegna Sant’Agostino: ”solo nel cuore è riposta la verità”. Rousseau, nelle sue “Confessioni”, scrive :”Si deve sapere come analizzare in modo corretto il cuore umano, metro per giudicare e interpretare tutta la vita”. In nome di questa purezza di spirito e sincerità superiore, interna e nascosta, interiore, la cultura occidentale svaluta i segni materiali di comportamento, aprendo ad un altro cammino nel ‘900 che porterà a scandagliare l’inconscio attraverso la psicanalisi. I rinnegati scelgono di sdoppiarsi, pressati da esigenze di sopravvivenza, capaci di sdoppiarsi perché la loro cultura occidentale cristiana concede una flessibilità idonea a tale operazione di “mascheramento, di dissimulazione. Quindi in nome di tale tradizione, come potevano essere considerati? Traditori?
I cristiani che divenivano l’altro, si esponevano a molte possibilità di tradire, per questo motivo il rinnegato veniva percepito come un personaggio inquietante. Sulla sua figura aleggiavano i peggiori sospetti, le leggende più oscure, ed allo stesso tempo storie di valore e di generosità. Gli occidentali li accusavano soprattutto di essere senza onore. Cambiando nome, infatti, si affrancavano dalle leggi che li condannavano ad un destino di mediocrità e di miseria. Più che l’apostasia, il maggior tradimento stava nella mobilità sociale, appena abbandonavano la società cristiana. I rinnegati potevano fare carriera nell’impero ottomano, cambiare ceto sociale. Del resto la Chiesa cattolica ha sempre manifestato indulgenza verso i traditori proprio perché fondata da Pietro, l’apostolo che tradì il Cristo. Lo stesso monoteismo cristiano si sdoppia nella natura umana e divina di Dio, si articola nella trinità contrapponendosi così al più rigido monoteismo ebraico ed islamico, fornendo così un concetto più articolato di identità.
L’identità cristiana è forte e non viene messa in crisi ed intaccata da queste apostasie seppur numerose. Non è la comunità cristiana nel suo complesso a sentirsi tradita, sono invece i membri della comunità d’origine dei rinnegati ad accusare il tradimento. Il traditore è colui che spezza il “noi”, venendo meno ad un’appartenenza e ponendosi fuori dal suo gruppo e classe sociale: incrina dall’interno l’unità del gruppo, mostrando così in concreto che il suo vincolo non è necessitante. Il rinnegato può decidere, di volta in volta, la sua appartenenza interna, perché sciolto da ogni appartenenza o riferimento, vicino così agli avventurieri del Rinascimento che Burckhardt definiva come “l’uomo moderno nascente”, un “uomo nuovo” che produce egli stesso i propri valori e norme, in base alle proprie scelte individuali: per lui è difficile accettare l’ortodossia religiosa.
I rinnegati avevano la precisa consapevolezza che, adottando le regole di vita islamiche, non tradivano veramente il cristianesimo: pensavano di salvarsi ugualmente grazie ad una “fedeltà interiore”. I rinnegati possono praticare questa originale posizione intermedia perché concepiscono uno sdoppiamento tra interno e esterno, tra anima e corpo, tra cuore e testa. Che permette loro di tenere scisse le due appartenenze e di farle convivere assegnando una gerarchia: l’identità interna, quella nascosta, diversa dall’esterna che è quella vera; e i giudici dell’Inquisizione mostrano di valutarla così, come vera.
I rinnegati gettano le basi per la costruzione di un nuovo tipo di identità. Quando questa identità viene messa in crisi da una situazione esterna, la reazione dei cristiani si differenzia dagli ebrei e musulmani. I cristiani rifiutano il concetto di contaminazione materiale come gli ebrei ed i musulmani per il cibo. Per un cristiano appartenere alla cristianità è una scelta interiore e se ha peccato continua a sentirsi fedele, mentre è più difficile per un musulmano o un ebreo continuare a sentirsi tale se trasgredisce le regole della purezza e della separazione. Proprio la rigidità islamica garantisce la maggiore resistenza che questa cultura ha dimostrato nei confronti della secolarizzazione: garantirsi un’identità definita e governata in ogni sua parte è la religione nella sua stessa essenza. Al contrario l’identità moderna occidentale di matrice cristiana, porta verso un individuo che fa capo a molteplici appartenenze e sfere sociali prive di una forte classificazione e gerarchia tra loro e che sceglie su quali segmenti di identità costruirsi. Il rinnegato ha perso ogni senso forte di appartenenza, diventando individuo solo, in dialogo con sé stesso. Così l’individuo moderno è sempre solo, riportato a sé stesso, imprigionato “nella solitudine del proprio cuore”[3].
[1] Cfr L. Scaraffia, Rinnegati: per una storia dell’identità occidentale, Laterza 1993
[2] cfr A. Biondi, La giustificazione della dissimulazione nel ‘500, 1974
[3] Cfr A. de Tocqueville, De l’individualisme dans les pays democratiques, 1840, Rizzoli, Milano 1982
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