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Dopo aver sorpreso molti ed ottenuto una serie di riconoscimenti con il film La schivata, il franco tunisino Abdellatif Kechiche ottiene il Gran Premio della Giuria al 64º festival del cinema di Venezia con il suo ultimo film: Cous Cous.
E’ la storia di Slimane, immigrato tunisino a Séte, nei pressi di Marsiglia che, compiuti i sessant’anni, si è fatto troppo vecchio per il lavoro di operaio marittimo al porto; decide, quindi, di ristrutturare una vecchia nave per farne un ristorante, sfruttando le doti culinarie della moglie Souad, con il sostegno di tutta la famiglia e, in particolare, di Rym, figlia della nuova compagna.
Il titolo originale è Le grain et le mulet (il grano e il muggine), un titolo, che più della sua versione italiana, va al cuore del film, perché questi sono gli ingredienti del cous cous di pesce, come il vincolo e la solidarietà familiare sono gli elementi fondanti di questa vicenda umanissima. Racconta di un uomo che non riesce più a stare al passo del suo vecchio lavoro e chiede ancora un’opportunità per sentirsi produttivo, vivo e della sua famiglia, allargata, doppiamente matriarcale, dopo la separazione del protagonista dalla moglie, unita e pulsante nel bene e nel male.
E’ proprio sull’insieme famiglia, piuttosto che sull’individuo, che l’occhio di Kechiche preferisce posarsi, e nei momenti in cui mostra le riunioni di famiglia- davanti ad un piatto di cous cous – che il film si fa vitale più che mai, che le inquadrature strette su volti e bocche, nell’atto di mangiare e di comunicare, si fanno più intense. Cous cous è un film corale in cui, però, ogni singolo personaggio ha il suo giusto spazio, al di là della sua funzionalità narrativa, in cui la quotidianità assurge a poesia, una poesia ben lontana dalla retorica del gesto.
Tutto questo anche grazie a tutti gli splendidi interpreti, ma specialmente ad Habib Boufares, il posato e schivo Slimane, e ad Hafsia Herzi, vincitrice del Premio Mastroianni per l’interpretazione della bellissima ed intraprendente Rym.
L’autore conferma il suo dono nel narrare la realtà con immediatezza e leggerezza, senza perdere mai la sua cifra stilistica, basti pensare al finale, lungo, sospirato, quasi un piccolo film nel film, in cui i due momenti paralleli inscenati: una sensualissima danza del ventre per ingannare l’attesa del cous cous, e la ricerca della moglie da parte di Slimane, sono sufficienti per fare di Kechiche un personalissimo cantore della vita.
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