Ernst Jünger l’Operaio e il Guerriero
Ancora adesso ricordo con esattezza il rombo del fatale proiettile arrivare sulla nostra trincea: l’udii arrivare – e poi più niente. E’ così che la gente muore, talvolta: in un niente. In quell’attimo, non saprei dire quanto lungo, tutto attorno a me cambiò: nessuno rimase in vita – né fra i nostri, né fra i nemici; attorno, il campo di battaglia era cosparso di uomini e cavalli morti, dovunque si vedevano culatte di proiettili, cartuccere, pacchetti vuoti di tabacco; e la terra – quasi colpita da vaiolo – era cosparsa ovunque delle stesse buche che vedevo attorno a me (guerra russo-giapponese, 1904-ndr) (Michail Prišvin – Ginseng – Bompiani, 1987).
Lo si potrebbe considerare un visionario, che abbia vagato in quella terra di nessuno tra letteratura e filosofia formatasi nel corso della sua giovinezza, e poi solidificatasi in età matura nell’esperienza bellica delle “Tempeste d’Acciaio” e nella “Battaglia dei materiali”. Dapprima fu un ragazzo che si interessava di letteratura e di botanica. Si chiudeva nella serra dove il padre coltivava peperoni e cetrioli, e leggeva libri come il Robinson Crusoe di Daniel Defoe e Attraverso il Continente Nero di Henry Morton Stanley.
Inquieto e ribelle, si arruola nella Legione Straniera, dove vive una breve ma intensa avventura, che poi si travaserà nella sua Opera Ludi Africani. Ma a questo punto cui siamo giunti, non stiamo ancora facendo la conoscenza dello Jünger che la storia della Letteratura ci ha tramandato, ovvero, del Guerriero e dell’Operaio, anche se si stavano già gettando le basi della sua Metafisica e dei suoi vastissimi interessi in campo umanistico.
“Alain De Benoist ha giustamente scritto che il «XX secolo è il secolo in cui il Premio Nobel per la letteratura non è stato attribuito a Ernst Jünger. E’ un modo come un altro per definirlo»”, leggiamo nella prefazione di Luigi Iannone.
Le sue introspezioni, potremmo dire, erano forse troppo atletiche, in un certo qual modo allucinate, e anti borghesi, per poter aspirare a tale Premio? Ernst Jünger è stato erroneamente considerato un apologeta della guerra. Errato, molto errato. Per lui la guerra aveva una doppia valenza, una estetica e una metafisica. Per estetica, però, non si deve intendere di celebrazione del senso del bello.
Al contrario, l’estetica della guerra in Jünger è qualcosa di terrifico e orrorifico. Tuttavia, della stessa non ne vuole nemmeno tracciare un disvalore estetico, l’orrore che in essa si esprime, si comprime ed esplode, è funzionale al formarsi di quello spirito di corpo tra soldati, che sarebbe propedeutico al formarsi di una nuova classe di persone, anti borghesi, anti classiste e anti marxiste. Al formarsi dell’Elementare, quale Forza Metafisica che animerebbe lo spirito dell’Operaio, una nuova figura, o categoria, politica e sociale, vicina, molto vicina ad implicazioni marxiste, ma che non nasce come spirito di alienazione del mondo capitalista, ma dalle spoglie di una Borghesia demitizzata e destituita del suo Potere.
L’Operaio è colui che pratica l’esercizio della Resistenza, “in zone disabitate e nelle città, dove il Ribelle vive nascosto oppure si maschera dietro il paravento di una professione” (Trattato del Ribelle). La sua dimensione è l’Elementare (“L’Operaio”), per poi divenire Il Bosco. O la Terra Selvaggia.
Quella stessa Terra che, durante la Prima Guerra Mondiale, fu terreno della Battaglia condotta coi Materiali, allertando lo Spirito del Soldato a divenire Elementare, al fine di opporsi e porre rimedio “alla megamacchina del moderno” (Luigi Iannone).
Recensione del Volume:
Ernst Jünger – a cura di Luigi Iannone
Editore Solfanelli, 2015
©, 2019
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