extreme drift ghiaccio 5
La forza di gravità lo tirava verso il basso
Non c’è giovinezza senza incoscienza. Non c’è giovinezza senza spreco. Lo spreco di una salute che non ti ritrovi più negli anni a venire, e che può trasformare la tua vecchiaia in una tragedia. Ma non c’è giovinezza senza questa incapacità, senza questa non volontà di prevenire e prevedere. Non c’è giovinezza senza una oscura voglia di farla finita, di vivere tutto, tutto e subito, di esaurire tutte le scorte, di sparare i colpi, tutti, sino all’ultimo.
Non c’è giovinezza senza Poesia, ma questo vale per i poeti, gli scapestrati e incoscienti viaggiatori di mete sconosciute, al termine della notte, e del mondo.
Per i poeti c’è questo destino, e solo la Poesia resisterà alla loro sparizione fisica.
Per tutti gli altri, se disperazione e sperpero ci son stati, senza la Poesia la loro sparizione sarà totale, e senza revoche. Sarà come se non fossero transitati su questa terra, e non avranno lasciato alcun segno, alcun indizio del loro passaggio.
Corrado Diamante si sentiva incerto, eppure trionfante, nel fare quello che stava facendo. La Poesia lo aveva lasciato, cosiccome la giovinezza. Non aveva più molti colpi da sparare. Eppure, si sentiva trionfante. Ma, al tempo stesso, sapeva che la Morte era sotto di lui, pronta ad inghiottirlo. Un errore, una manovra sbagliata, non aveva più molta forza nelle braccia, e quella Poesia che lo aveva sempre sostenuto e salvato, che aveva dato lui piedi e braccia alate, mercuriali, ora, forse non l’avrebbe sostenuto in questa sua impresa dell’età matura.
La forza di gravità lo tirava verso il basso, con una sua cupa insistenza quando le braccia cercavano, invece, di farlo salire. Ma i muscoli gli dolevano per lo sforzo, e il ghiaccio era un fronte verticale, che corazzava la roccia, imponendo manovre di auto assicurazione molto elaborate e difficoltose, di cui non aveva più precisa memoria e padronanza.
Doveva legare tra di loro i chiodi di un triplice ancoraggio. Faceva e rifaceva gli incroci del cordino, ma questo continuava a sciogliersi. Era come essere rappreso in un sogno, un maledetto sogno che gli stava per costare la vita. Le nuvole salivano dalla vallata, e a un certo punto lo avvolsero. Non vedeva più niente, né sopra né sotto di sé. A uno dei chiodi decise di assicurarsi e, coi piedi poggianti su di una piccola cengia, estrasse il pacchetto di sigarette dalla tasca della giaccavento, e ne fumò una. Intanto che le nuvole, sperabilmente, si fossero dissolte.
Fu preso da lontanissimi ricordi. Stranamente, assurdamente, ricordò una accanita partita a flipper, una sera, al mare. E poi il primo whisky che assaggiò. Gli diede alla testa, e quasi svenne.
Un libro, di Dylan Thomas, con la prefazione di Roberto Sanesi, letto quando i muscoli gli reggevano ancora, e non avrebbe sbagliato una manovra come questa. Poesia e roccia sono in fondo la stessa cosa. E piantare un chiodo, non è diverso che scrivere un sonetto.
Il tram lo stava portando verso il Giambellino, una notte piena di nebbia… era solo sulla lunga vettura che traballava e sferragliava, e Milano scorreva come in una visione alla Paul Delvaux.
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