Piero Chiara Saluti Notturni dal Passo della Cisa
Saluti notturni dal passo della Cisa di Piero Chiara è un bellissimo libro. Non tanto per quello che dice, ma per come lo dice. Le storie narrate da Piero Chiara risentono profondamente e positivamente della tradizione orale, come molti critici ebbero a dire, tra cui Luigi Baldacci nell’introduzione a Il balordo.
Grande novellatore italico, Piero Chiara ha preso il meglio della cerebralità pirandelliana e l’ha saputa travasare in una scrittura più densa e più concreta, più viva e più vitale, fatta di personaggi fortemente caratterizzati e vicende dove il chiaroscuro detta il ritmo del paesaggio interiore. Con Saluti notturni dal passo della Cisa di Piero Chiara siamo di fronte a un capolavoro e a un notevole esempio di scrittura giudiziaria.
Chiara – con la maestria del commediografo scaltro – traccia una cartina di strade e di sentimenti che si intrecciano nel cuore del lettore e lo portano a vedere e a sognare i bellissimi paesaggi chiaroscurali di Fornovo, di Bocche di Magra, di quei paraggi nascosti dell’Appennino tra Liguria e Emilia con apprensione. Si legge questo libro col fiato sospeso, aspettandosi qualche colpo di scena diabolico sapendo di avere a che fare con Piero Chiara, un maestro del paradosso e dell’assurdo. Ma a leggerlo bene, tanto assurdo non ci pare, piuttosto, ci pare lucidamente calato negli umori della piccola borghesia italica, per la quale sembra non vi siano slanci ideali ma soltanto interessi personali e materiali.
Il paesaggio che fa da sfondo alla storia, che pure meriterebbe qualche accenno in più – basti pensare alla maestosità del Golfo di Lerici a vista delle Alpi Apuane a picco sul mare – è tratteggiato in maniera didascalica, stenografica, quasi a voler togliere al lettore ogni godimento morale e ideale, a voler sottolineare e a volerci far concentrare sullo squallore e l’aridità dei personaggi. Chiara – in questa come in tutte le altre sue Opere – fa onore a una scrittura di tipo etico, ovvero, una scrittura misurata e priva di ogni tipo di abbellimento estetico, quasi a voler redigere un rapporto o un referto ufficiale, una sorta di richiamo alla Legge e alle Istituzioni, di cui Chiara fu funzionario ma anche voce critica. Tanto ci sarebbe da descrivere di un percorso automobilistico che prende le mosse da Bergamo Alta e giunge a Lerici, per campagne e vestigia storiche, attraversando Pontremoli e altre italiche bellezze. Tanto ci sarebbe da raccontare di una notte d’amore appassionato. Eppure, Piero Chiara preferisce accennare e passare oltre, e solcare il vivo di una storia fatta di indizi e fatti nudi e crudi, cui non serve la descrizione di sentimenti e bellezze, perché la storia ci vuole narrare e dare lo spessore dell’umano nella sua precisa e unica dimensione etica. Non ci sembra, in questo, tanto distante dal naturalismo francese, o dal verismo italiano alla Federico De Roberto, secondo uno stile freddo e documentario. A salvare Piero Chiara dalla totale freddezza, però, vi è la sua appartenenza alla cultura orale, alla vita sfaccendata di provincia fra bar e sale da gioco, che imprimono alla sua scrittura un tono umano, bonario, se non di perdono, di umana e fatalista accettazione.
Corruzione morale di un’Italia agiata, che Piero Chiara disegna con tratto lieve, ironico, destreggiando la punta della matita tra il sordidume e la sporcizia, senza sporcare il foglio.
©, 2020
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