La storia di Piero Ghiglione alpinista e esploratore
Si parte dalla Spedizione del 1954 al Monte Api (7140 mt) in Himalaya, costata la vita nel 1954 a Roberto Bignami e a due compagni di spedizione, per parlare dell’allora Capo Spedizione, Piero Ghiglione, della sua storia e di quegli Anni.
“Candido sognatore ma spirito riflessivo, alpinista dall’animo purissimo”, così Piero Ghiglione definì Roberto Bignami. La madre di Roberto Bignami, Clementina Agretti Bignami, volle costruire e donare nel 1957 – alla Sezione di Milano del Club Alpino Italiano – un rifugio in Valmalenco dedicato al figlio scomparso.
Lo sfortunato e coraggioso Roberto Bignami, precipitato nelle acque di un torrente, si lega nel suo destino anche alla morte di un altro compagno di spedizione, il torinese Giorgio Rosenkrantz. Ma per questo non bisogna ricordare Bignami come uno scalatore di seconda fila, il suo valore lo aveva più volte dimostrato legandosi alla corda di Walter Bonatti. Sul Monte Api la Storia ci consegna il ricordo di una vittoria, ottenuta a costo di vite umane, e senza sostegni finanziari, fanfare ufficiali, premi e medaglie, senza tutto quel chiasso mediatico che altre più “gloriose” spedizioni ottennero nello stesso periodo storico, e senza riempire pagine e pagine di libri postumi con interminabili requisitorie sui propri meriti e gli altrui demeriti. Forse l’entusiasmo e lo spirito sognatore di Bignami avevano un solo torto, quello di non appartenere allo spirito “scaltro” e “calcolatore” dell’alpinista di “professione”, che sa muovere meglio i propri passi anche sui difficili crinali senza “esporsi troppo” dove “non gli conviene”.
La storia di Piero Ghiglione alpinista e esploratore, non inizia però sul Monte Api nel 1954.
La storia di Piero Ghiglione alpinista e esploratore inizia per caso, o meglio, per scommessa, molto prima.
Nato a Borgomanero (Novara) nel 1883, Piero Ghiglione passa alla storia come ideatore del Trofeo Mezzalama, come esperto di sci e inventore di nuove attrezzature in ambito alpinistico, e come giornalista inviato di prestigiose testate tra cui La Gazzetta del Popolo e il Corriere della Sera. Su questo aspetto della carriera di Ghiglione, il Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” del CAI di Torino, ha dedicato dal 29 ottobre al 15 gennaio 2017 la mostra “Piero Ghiglione. Giornalista dell’avventura”, curata da Danilo Fullin e Roberto Serafin, con il coordinamento di Veronica Lisino, volendo in essa compiere il tentativo di ricostruire la complessità e la fascinazione di questo personaggio.
Giornalista, uomo di cultura, letterato ancor prima che alpinista e sportivo, Piero Ghiglione si muove su quel crinale “decadente” e colto che abbiamo descritto in questa Rivista in uno scritto su Cino Boccazzi, anch’egli uomo di avventura e di lettere per certi versi simile a Piero Ghiglione. Uomo a tutto tondo, capace di unire l’azione sportiva alla riflessione intellettuale, la ricerca del dato tecnico a una più ampia e profonda analisi dell’esistenza. Un approccio, il suo, per certi versi “alchemico” o “rinascimentale”, e se vogliamo “leonardesco”, nemico della iper specializzazione che rende l’Uomo un uomo a una sola dimensione, o monotematico e, per certi versi, modernamente alienato.
Ma questo approccio aperto, curioso, vitale e organico, si è perso già nel dopoguerra del secolo scorso, quando stavano prevalendo gli “specializzati” in tutti campi, con le loro alienazioni da competizione, ambizione sfrenata, produttività in catena di montaggio. A parte la relativamente recente testimonianza di un Massimo Mila, grande musicologo torinese prima ancora che alpinista, il mondo sportivo, e alpinistico, non ci ha mai regalato la figura di un intellettuale completo, capace di analisi umana e esistenziale, oltre che tecnicamente sportiva, e per trovarne gli esempi bisogna andare indietro di parecchio tempo, alla memoria di Julius Kugy, (Gorizia, 19 luglio 1858 – Trieste, 5 febbraio 1944), e Spiro Dalla Porta Xidias (Losanna, 21 febbraio 1917 – Trieste, 18 gennaio 2017), entrambi triestini, intellettuali di ampio respiro, le cui pagine seppero volare oltre il dato meramente tecnico, per comprendere e abbracciare l’Uomo nella sua interezza.
Ghiglione comincia a scalare per scommessa a trent’anni. All’epoca era rappresentante della Lancia in Germania. Salirà moltissime montagne tra i 5000 e i 7000 metri diventando uno dei maggiori protagonisti dell’alpinismo extraeuropeo, collezionando molti ricordi sotto forma di reperti e materiali, che questa mostra espone in una rassegna di fotografie, copertine, ritratti dell’epoca, che danno la misura del genio e dell’estro artistico di un uomo che ha girato il mondo, traendo infiniti spunti per il proprio trasformismo. Tra il 1938 e il 1940 Ghiglione scattò una serie di fotografie per la Gazzetta del Popolo, di cui la presente mostra offriva una serie di immagini provenienti dalla Fototeca Museomontagna, in cui il giornalista e alpinista si ritraeva da vero trasformista – capace di adattarsi ai luoghi in cui si trovava – in Albania, in Lapponia, in Giappone, in Sudafrica, sulle Ande, in Himalaya, per arrivare alle Hawaii e al Borneo. Testimonianza, quindi, di quella che fu una attività di ricerca che prendeva le mosse dal proprio Io, da una Soggettività ricca e immaginifica, non di certo riducibile allo stereotipo dello sportivo o dell’uomo d’azione (non solo a questo).
Di questo immaginifico mondo, la presente Mostra raccoglie gli scatti che la realtà seppe suggerirgli: cime innevate, paesaggi sconfinati, pareti rocciose, vita da campo, e ancora genti e popolazioni locali. Ci sono però anche le collezioni con una selezione di materiali utilizzati in spedizione o nei viaggi intorno al mondo, tra cui i famosi sci corti di sua invenzione, usati nella spedizione del 1930 al Kibo.
Ghiglione unì il proprio nome anche alla storia dello sci, e fu uno straordinario sci alpinista, capace di stabilire, nel 1934, un record assoluto salendo in Himalaya il Balthoro Kangri (m 7260) raggiungendo la quota mai toccata con gli sci di 7000 metri.
Una nota finale per questo articolo ricordo, una nota quasi struggente: tra i documenti in mostra figura la copia del testamento olografo con cui lasciò alla sezione di Torino del CAI la somma di 20 milioni di lire per la costruzione di un bivacco in zona Monte Bianco, versante Brenva.
Per approfondire l’argomento si propone la lettura di “Alpinista per scommessa” di Italo Zandonella Callegher (Alpine Studio).
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