Come non riconoscere alla notte il fascino del noir
Come non riconoscere alla notte il fascino del noir, la serpeggiante nota di una violenza nascosta, come in una notte fredda, nei pressi dei Docks, in un bar di una città portuale? Notiamo che il locale ospita dei giocatori di carte, in una stanzetta sul retro, il fumo delle loro sigarette e la puzza di pesce, il freddo dell’inverno, creano una scena vista, in film che hanno per protagonisti i gangster degli Anni’20 e 30, in un’America alla Sergio Leone che ci ha insegnato a riconoscere certi stilemi tipici di una cultura giallesca che ha resistito, in Italia, non oltre Giorgio Scerbanenco e altri epigoni, quali Attilio Veraldi e Loriano Macchiavelli, ma tutto è iniziato come per magia in una Chicago sferzata dal vento e dalla neve, su marciapiedi dove si perdevano i passi di poveracci in cerca di fortuna, ma con molto talento in tasca, oltre a cinque dollari, come confessa William Burnett ai tempi della stesura del suo Piccolo Cesare: Longanesi, 1973: “Era il 1928. Inverno. Un freddo e cupo pomeriggio di Chicago e la neve cadeva a tratti da un cielo di lavagna. Possedevo meno di cinque dollari, un cappotto consunto, un abito sfinito che aveva conosciuto giorni migliori e mi dirigevo al ristorante più a buon mercato del North Side, ma… non ero mai stato tanto felice in vita mia. Nella tasca del cappotto avevo le bozze di Piccolo Cesare, arrivate quel giorno da New York”. Pensato col titolo “Le furie”, il romanzo racconta l’ascesa e la caduta del gangster Rico Bandello. Nel 1931, per la regia di Mervyn LeRoy, arriva la trasposizione cinematografica, un successo di critica e di vendite. Burnett fu accostato a Hemingway, ma lui rispose “se posso aver subito qualche influenza è quella di altri, perché a quell’epoca leggevo Merimée, Cechov e Giovanni Verga”. Anche un altro suo grande capolavoro, trasposto in film, nel ’50, da John Huston, è “La giungla d’asfalto” (1949), magistrale storia di suspense e ritratto di una metropoli in mano ai criminali, in cui l’unica legge è quella delle armi e dell’inganno, l’illegalità, norma giuridica. Con Piccolo Cesare, del 1929, siamo all’origine stessa del romanzo criminale.
La metropoli moderna «brulicante, sporca, fracassona, freneticamente viva» diventa metafora della personalità del criminale incallito, il suo ambiente naturale è la strada spodestata di ogni legalità, una moderna wilderness urbana. I grandi classici della cinematografia realistica americana hanno tratto linfa vitale da storie come queste, e sono stati capaci di sintetizzare l’immagine dell’intero universo criminale. Questi romanzi sono nati dall’osservazione dichiaratamente oggettiva, «verista» della realtà sociale, secondo la lezione dei naturalisti e di Verga, e hanno influenzato la saggistica sociologica sull’argomento. L’intenzione dichiarata dell’autore era di descrivere «l’immagine del mondo vista con gli occhi di un gangster» raccontando la storia «in modo che l’azione stessa parlasse».
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