Alessandro Bertante un romanzo sulle Brigate Rosse
La storia si dipana tra collettivi universitari e scioperi nelle fabbriche del Nord, con un Alberto Boscolo, protagonista ventenne milanese, che nel 1969 prende una decisione che cambierà la sua vita, quella di abbandonare la famiglia, la fidanzata, gli amici e rinunciare agli studi, per aderire alla lotta armata, quella di Sinistra Proletaria, prima, e delle Brigate Rosse, in seguito. Narrato con un plot dinamico che non concede nulla alle descrizioni, il libro racconta le aspirazioni di Boscolo: realizzare un progetto personale e politico, con un alto grado di valore ideale, prendendo parte alle prime azioni dimostrative e alle rapine. La clandestinità, l’isolamento, sono il topos di una presa di coscienza, di un mutamento: Boscolo si entusiasma solo nelle azioni più violente, come quella del rapimento lampo dell’ingegnere Idalgo Macchiarini, a capo della ristrutturazione aziendale alla Sit Siemens, che verrà sottoposto al primo processo proletario. Ciò lo precipita in un torpore depressivo, passando le giornate a bere e leggere i quotidiani in cerca di notizie delle loro gesta. Lo sta investendo una profonda crisi emotiva, che esterna con un narcisismo puerile, che lui stesso fatica a riconoscere, e che si amplifica con la morte misteriosa di Giangiacomo di Feltrinelli. Stiamo entrando nella fase blu della storia, quella dei dubbi, dei ripensamenti: durante la preparazione del sequestro dell’avvocato Massimo De Carolis, si decide a fuggire, a tornare a casa, per poi distruggere il materiale compromettente, e liberarsi della rivoltella, ma il vortice blu e ipnotico della paranoia ormai l’ha già inghiottito: cade nell’alcolismo e nell’abbrutimento.
E’ ossessionato dalla possibilità di essere catturato, e riesamina la sua “guerra immaginaria” con un compagno di lotta, facendone un bilancio.
E’ un romanzo posseduto dalla memoria, che sa essere anche finzione e materia sognante, che vive nella ricostruzione quasi corporea della lotta armata, e diviene ossessione e inferno, popolato di fantasmi che tornano a visitare il protagonista. La memoria storica occupa uno spazio limitato, perché la voce del protagonista è sempre in primo piano come auto coscienza. La capacità di rievocare quei fatti, pur non facendone un saggio, ma un libro d’azione, forse riesce a gettare luce su questa generazione perduta di giovani degli Anni della lotta armata in Italia, grazie alla Casa Editrice Baldini & Castoldi. Alessandro Bertante un romanzo sulle Brigate Rosse.
Come afferma Vittorio Frosini (L’uomo artificiale, 1986), I terroristi hanno la pretesa di erigersi a Moralisti Pubblici, di monopolizzare la giustizia sociale e politica, di porsi al di sopra della coscienza comune. (…) La loro capacità di proselitismo è nata dal clima di contestazione e di diseducazione civile della piccola “rivoluzione culturale” di casa nostra, avvenuta nel Sessantotto. (…) Il fenomeno del terrorismo va inquadrato in quello più vasto della disgregazione della coscienza comune, del rifiuto di una morale democratica (…) della pretesa luciferina di essere depositari ed amministratori, per mandato ricevuto, del senso del giusto e dell’ingiusto. (…) la violenza politica, di cui si fanno portatori gli avversari della democrazia parlamentare, nasce (…) da una loro condizione di impotenza politica. Essa ha anzitutto uno scopo provocatorio e pubblicitario, che è quello di richiamare l’attenzione e la curiosità magari indignata dell’opinione pubblica, di creare (…) un diversivo dalla lotta politica condotta col metodo della libera e ragionevole discussione, certificata con le votazioni elettorali, per sostituirvi lo scontro di opposti fanatismi La violenza non appare dunque più come in precedenza la manifestazione di impulsai individuali sommati e mescolati insieme in un’esplosione di collera, come è sempre avvenuto nelle rivoluzioni popolari; ma è divenuta una tecnica razionale, sospinta e sorretta da piani, da metodi, da obiettivi studiati a tavolino. La teorizzazione della violenza politica come modello di comportamento sociale, qual è sostenuta dai terroristi, coistituisce (…) la proiezione mentale di una condizione di nevrosi politica, il transfert giustificativo di un complesso di emarginazione, che non riesce a risolversi ed a inserirsi in un tessuto sociale. Il primo rimedio al terrorismo consiste nel riconoscimento di ciò che esso è, nel fissarlo negli occhi, e poi nell’impedire che esso possa ancora espandersi, che la sua semente di denti di drago trovi il terreno per germogliare, reso fecondo dalla mistificazione dei Moralisti Pubblici. Bisogna opporre alla violenza dei pochi la coscienza, che è di tutti, perché essa è di ognuno, e costituisce il vero e solo moralista privato, a cui bisogna dare retta in nome della comune umanità.
(…) con la rivoluzione francese del 1789, è apparso il terrore come principio filosofico 8…) da allora il terrore viene definito come un valore positivo, una emanazione della virtù, e viene assunto a principio di un sistema di governo rivoluzionario. (…) Secondo gli storici, il trapasso dal “terrore” al “terrorismo” (…) è avvenuto durante l’Ottocento, ad opera dei movimenti rivoluzionari russi: i cosiddetti populisti, che il 1° marzo 1881 riuscirono ad uccidere lo zar Alessandro II. Questa interpretazione è stata resa popolare dal famoso romanzo di Fjodor Dostojevskij “I demoni”, pubblicato nel 1872, in cui viene esposta (…) una compiuta filosofia del terrorismo. Contro questa opinione corrente (…) vorrei proporre una diversa indicazione (…) l’assunzione del terrore come sistema a livello della società politica (…) fu opera di Robespierre. La proclamazione del terrorismo a livello della società civile o dei governati, come filosofia dei rapporti sociali, è contemporanea a quell’altra, e fu opera del marchese de Sade. Il terrorismo, come principio di sovversione sociale, basato sulla giustificazione filosofica della libertà di assassinare e di rubare e sulla libertà sessuale viene esposto, in quegli stessi anni, con straordinaria eloquenza, da Sade nel suo pamphlet intitolato “Francesi, ancora un passo avanti (…) un testo fondamentale per comprendere il libertinismo francese del Settecento e per comprendere altresì gli sviluppi della sovversione ideologica fino ai nostri giorni (…).
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