EROSFERA tra Platone e De Sade
Quando l’Eros si unisce al mito, ci avviciniamo al pensiero platonico e al Simposio, ai dialoghi dell’antica Grecia che hanno plasmato duemila anni di storia occidentale.
Dialoghi sull’Eros, meno rasserenanti e certamente materialistici e nichilistici, li scrisse il Marchese De Sade in un eccesso di cinismo che descrive un abuso dell’intelligenza, che diviene distruttiva. Il grande libertino francese, illuminista e razionalista, non ammetteva alcun sistema trascendentale, per lui vi era solo l’Uomo e la Materia. Nihil est, nulla è.
Il nullismo o nichilismo è un’eredità intellettuale che permea di sé anche la grande letteratura erotica del’900. André Pieyre de Mandiargues con La Motocicletta e Il Castello dell’Inglese, ci ha regalato pagine tese e quasi mistiche. Ma veniamo ad Emmanuelle Arsan e al suo Erosfera.
Ci troviamo al centro di una vicenda metafisica, in una Venezia impalpabile e sinistra, dove un viaggiatore notturno dai contorni misteriosi – non sappiamo la ragione del viaggio, il suo nome, la sua professione – si perde nel dedalo di calli e campielli della città lagunare. Dopo una trasvolata in aereo, sul quale era l’unico passeggero, e durante la quale ha degli scambi con una hostess che ci fa presagire il resto della storia, fatta di incontri crepuscolari e sensazioni persecutorie, il viaggiatore notturno approda in laguna, e prende un vaporetto che lo deposita a Piazzale Roma. Nulla viene descritto della città, solo la nebbia, l’umido, l’intricato percorso a labirinto offerto dal suo reticolo infinito di calli, lo sfinimento e la rassegnazione di chi inutilmente sta cercando il bandolo della matassa per raggiungere il proprio albergo: non lo raggiungerà mai, ma troverà un palazzo molto particolare, abitato da strani esseri. L’intento della Arsan, è quello di smantellare ogni possibile impressionismo romantico su questa città, e di farci concentrare unicamente sulla psiche del viaggiatore notturno in rapporto alla cervelloticità di una città come Venezia. Il teatro drammatico della storia si riduce a un camminare a vuoto e a un arrovellarsi nella nebbia coi piedi bagnati. Erosfera è un romanzo che ha scarnificato il romanzo e celebrato il cervello nella sua unica attività sinaptica. Che trova una via di scaricamento della tensione, come un bambino, in un atto semi masturbatorio con una strana donna simile ad una Amazzone, capace di far cambiare sesso dalla notte all’alba al misterioso viaggiatore notturno.
A San Servolo, il vecchio manicomio veneziano, c’è un archivio che conserva le cartelle cliniche di strane donne, ivi ricoverate tra il 1870 e il 1920. Le recluse avevano un tratto in comune, ovvero, un comportamento “sregolato”, una “vita dissoluta”. Facilmente, a quei tempi, anche le prostitute potevano finire in manicomio, per il loro supposto “pervertimento morale”, trovandoci nel campo della follia morale e, ancora più precisamente, in quello dell’isteria.
Troviamo difatti in questo breve e affascinante romanzo un tratto di follia, di arresto della ragione, e di “pervertimento” che si potrebbe ricondurre all’atmosfera di una città trasformata interamente in manicomio, o in un metafisico reclusorio di anime.
Potrebbe altresì valere come metafora dell’intera civiltà industrializzata, che ha perso il contatto con la radice profonda dell’esistenza, e con le proprie istanze profonde e interne, tanto da costringerla a alienare da sé i folli, i diversi, a rinchiuderli in una gabbia.
Tra le cartelle di quell’archivio manicomiale, e il presente romanzo, corre una similitudine. Le scritture manicomiali redatte allora da medici di stampo positivista, hanno reso il loro sguardo su quelle donne non dissimile dallo sguardo asettico della Arsan, dove il dato-l’evento-il comportamento sono suscettibili di una semplice annotazione scarna e fredda. In quelle cartelle, come nel romanzo della Arsan, sono depositati i vissuti di una mentalità collettiva, dai quali emerge bene il tentativo di rinchiudere certi comportamenti nella definizione di isteria, o follia morale, negli stereotipi di comportamenti pericolosi o scandalosi, suscettibili di una lettura scandalistica, manifestazione di una alterazione, di una malattia.
Le pagine notturne di Erosfera sono colme di una sorta di nevrosi panica, che non potrebbe trovare via d’uscita se non con un evento soprannaturale, in grado di rompere il meccanismo irreale della storia.
©, 2022
Rileggo a distanza di anni il libricino dei tascabili Bompiani, della cui edizione la sola nota di evidenza era la copertina di Olivia de Bernardinis.
A parte alcune “imprecisioni” del traduttore Fossati (forse non era mai stato a Venezia) che chiama “quartiere di San Marco” invece di “sestiere” o poco prima “il piazzale Roma” mentre è Piazzale Roma, senza articolo determinativo o “pullman” al posto di “autobus” ed il vano tentativo di ripercorrere su una cartina della città il “viaggio transgender” del/della protagonista. Notevole la dettagliata descrizione della masturbazione e della fellatio: niente da aggiungere. Ma la trasformazione cruenta di genere, da maschio a femmina (ma nulla si sottende alla componente riproduttiva ovvero sia ovaie al posto dei testicoli) serve solo, a mio parere, a sottolineare una scelta da parte dell’autrice di prevalenza di genere, il femminino sul mascolino. I tempi sono sicuramente cambiati e sarebbe forse venuto il momento di parlare di unico genere maschio/femmina nella riscoperta del mito dell’Ermafrodito inteso come coesistenza in ciascun essere umano di entrambe i generi non già declinati anatomicamente ma spiritualmente in quello che alcuni chiamano “matrimonio (o nozze) alchemico”.
Grazie del commento.