Il deserto della cultura è stato creato dalla Sinistra
Nell’attuale Civiltà di Massa veicolata dalla Globalizzazione, e da certi valori (o disvalori) progressisti come la perdita della centralità dell’Individuo, il disinteresse che la politica pone su questioni centrali come la dignità della persona e del lavoro, l’istruzione, e – di contro – l’attenzione crescente verso le nuove tecnologie che producono un piccolissimo vantaggio all’Uomo, a fronte della sua dimostrata alienazione e del suo crescente impoverimento intellettuale, cosa rimane della Civiltà che fu capace di promuovere modelli culturali alternativi al nichilismo, all’ignoranza, alla volgarità, come la famiglia, il legame naturale col ciclo delle nascite e delle morti, il senso comunitario dell’esistere, il senso religioso, la percezione mitica e simbolica della realtà, l’attenzione per il merito e le capacità personali di ogni individuo?
Al posto di tutto ciò si è creato un vasto deserto, un deserto culturale. E si può dire, a ragione, che il deserto della cultura è stato creato dalla Sinistra: una sterile distesa senza vita che, dal dopoguerra ai giorni Nostri (passando attraverso l’americanizzazione della Società, il ’68, la Globalizzazione di matrice progressista), ha cancellato le tracce della precedente Civiltà. Malgrado la Sinistra abbia voluto chiamare cultura questo deserto, al suo interno non riconosciamo un fiorire di opere e di intelligenze che possano aver dato una impronta durevole sulla cultura, la società e i singoli. Abbiamo infatti qualche difficoltà a ricordare opere davvero memorabili e significative in questo ambito di cultura egemone e desertificante, nulla che abbia veramente inciso sulla cultura e sulla società. Se confrontiamo gli autori e le opere culturalmente egemoni con quelle appartenenti alla cultura antagonista, le eccellenze in campo filosofico, scientifico, letterario, non rientrano nella prima ma spesso vi si oppongono. L’azione di cui la cultura dominante si è resa protagonista è stata soprattutto di natura ostracizzante e censoria, demonizzante del diverso, essendo altrettanto incapace di promuovere grandi idee, grandi opere, grandi autori, in modo tale da far sorgere più di un sospetto sul nesso che vi sarebbe fra la cultura radical e l’attuale degrado culturale della Nostra Società.
Vera o falsa che sia, la teoria dell’egemonia culturale di Sinistra è non del tutto una leggenda, e si appoggia al progetto tracciato da Gramsci sulla base della duplice lezione ricevuta da Lenin e Mussolini: non vi è consenso politico e sociale se prima non si passa attraverso la conquista culturale della società.
La conquista di cui stiamo parlando, è stata però portata avanti dalla Sinistra egemone non costruendo nuovi modelli, ma demolendo i vecchi. La sua passione distruttiva dei vecchi modelli di Civiltà, è stata erroneamente presentata – e scambiata – come emancipazione e liberazione, ma si è risolta in una quotidiana demolizione, in una potente censura, in un dilagante ostracismo di tutte le testimonianze difformi di pensiero, quelle precedenti la Seconda Guerra Mondiale, considerate colpevoli di aver portato al fascismo.
Prima della Seconda Guerra Mondiale l’Italia aveva uno spessore culturale altissimo. Al suo termine, la Sinistra si è subito arroccata nella fortezza culturale, diventandone la padrona incontrastata, e trattando tutto ciò che era antecedente la guerra come fascista, dando enorme spazio alla cultura americana, massificata e antesignana della Globalizzazione, facendo perdere all’Italia la sua identità culturale, a favore di una cultura di importazione che l’avrebbe per sempre condizionata.
La cultura si è fatta sempre più marchettara, e così come Pasolini aveva previsto la depoliticizzazione della politica, negli ultimi trent’anni, in Italia, stiamo assistendo alla deculturalizzazione della cultura. I due processi sottrattivi sono interconnessi, e vanno a braccetto. La cultura egemone, da rivoluzionaria e leninista, si è man mano trasformata in globalista, si è imborghesita alleandosi in ultimo con la finanza e il potere economico; il terreno culturale si è svuotato di ogni contenuto, si è deculturalizzato, mutando lo stesso linguaggio in uso al suo interno, un linguaggio che è divenuto via via sempre più semplificato, schematico, arido, volgare, intriso di ambiguità e di marchette.
In questo deserto deculturalizzato le voci e le culture non egemoni, ridotte al silenzio, non hanno più potuto far fiorire nulla di alternativo alla Voce dominante. In questo modo, la cultura dominante di Sinistra – o meglio, progressista – non ha saputo – o voluto – veicolare idee, valori e modelli positivi, ma ha preferito dissolvere le idee, i valori e i modelli – sacrificando la stessa coesione sociale e la vita comunitaria – su cui si fondava la Civiltà. La cultura egemone si è dimostrata demolitoria e non propositiva. Sono naufragate le sue utopie, a partire dal comunismo. Ha dissolto un mondo, e non ne ha eretto uno nuovo; l’unico piano sul quale la cultura egemone ha funzionato è stato quello distruttivo. Il deserto della cultura è stato creato dalla Sinistra che è stata in grado di deprimere ed emarginare culture antagoniste, conducendo la Civiltà verso una desertificazione testimoniata dal fatto che non ci sono opere, idee, autori che siano modelli di riferimento, punti di partenza, fonti a cui attingere sul piano di una rigenerazione sociale e culturale, al di fuori del piano meramente dissolutore.
Scomparso il comunismo, resta vagante nell’aria una sorta di cappa asfissiante fatta di censura da parte di un clero progressista molto potente. Resta il potere del clero, ma è scomparsa la dottrina (il comunismo), restano i preti (i famosi preti rossi che lapidarono Pasolini), ma non ci sono più le chiese (le Sezioni di Partito), la Sinistra è un guscio vuoto, vuoto di idee, di autori, di opere, resta il suo Potere (forte) e il suo Pensiero (debole). Sappiamo tutti, però, quanto sia pericoloso il Potere vuoto di Idee.
La svolta si ebbe col ’68, quando l’egemonia, non identificandosi più col Pci, dilagò a macchia d’olio nelle redazioni, nelle arti, nel cinema, nelle università, nel teatro, nei media, tingendosi di quel pervasivo radicalismo diffuso che Tom Wolfe identificò magistralmente con la cultura dei cosiddetti Radical Chic.
Chi restava fuori, per propria scelta, da tale cultura, doveva in qualche maniera sentirsi in difetto, oggi, diremmo – insieme a Michela Murgia – che andrebbe riabilitato e rieducato, in nome di una mentalità dominante che avrebbe la pretesa di detenere la Verità. Una qualità ineluttabile come la spinta del Progresso, al cui esito nessuno si può sottrarre. Questa mentalità ha oggi un suo codice, un suo stile di comportamento e comunicativo che va sotto il nome di politically correct, ovvero, il Nuovo Galateo Sociale di importazione americana, fatto di permissività, ma altrettanto di intolleranza, di trasgressione, ma altrettanto di bigottismo progressista.
In tale scenario di dissolvimento, uno scenario fatto di decadenza, a cosa si riduce il vecchio intellettuale organico? Una Società in balia della volgarità prodotta da tante sottoculture in lotta fra di loro, una Comunità disgregata al suo interno dal punto di vista spirituale, oltre che politico ed economico, culla nel suo grembo intellettuali che reagiscono al crollo di ogni ideale con l’individualismo, la chiusura nelle tautologie autistiche e depressive, il narcisismo qualunquista. Tanti sarebbero gli esempi fra costoro, basta citare uno fra gli Autori più significativi di questo fenomeno, il francese Emmanuel Carrère.
Ma perché è avvenuto questo? Hanno prevalso i mediocri, i funzionari e i burocrati della cultura (viene in mente Elio Vittorini). Larga parte della cultura italiana è stata emarginata e ghettizzata. Ci sono state vittime illustri, come Giovanni Papini e Dino Buzzati, si è lasciato il predominio della cultura alla sinistra, ed è stata data poca attenzione ai valori dello spirito, questo ha prodotto una cultura di bassissimo livello.
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