YASMINA REZA FELICI I FELICI
Quando leggo un lavoro di narrativa, nel quale il dialogo abbia una parte preponderante, mi immagino di trovarvi le virgolette, in modo da distinguere i dialoganti e il senso del dialogo stesso. Se in un racconto, questi simboli non vengono messi, mi immagino che il motivo risieda in una esigenza di sperimentalismo. Ma quando il racconto, per tutto il resto, non ha traccia di sperimentalismo, tranne il fatto che non ci sono a capo, e che ciò vorrebbe mal scimmiottare un flusso di coscienza alla Giuseppe Berto o alla Gertrude Stein, rimanendo parecchie posizioni dietro rispetto a questi due grandi esempi, la risposta che mi dò, è che la scrittrice, in questo caso Yasmina Reza, voglia impreziosire il suo scritto, per altro anonimo, con dettagli di questo tipo, in modo da innalzarlo. Insomma, in questi racconti della raccolta Felici i Felici, trovo più ostentazione che tecnica, più citazione che sostanza.
A decretare lo squallore della felicità borghese, in spaccati domestici e matrimoniali claustrofobici, o di amicizie di facciata dove i coltelli ferivano alle spalle, ci ha già pensato quarant’anni fa Raymond Carver, anche lui capace di strutturare lo stile intorno al racconto per le esigenze del racconto: sospeso, pieno di attesa e tensione. Ci ha riprovato anche Yasmina Reza, con molta più ingenuità – mi chiedo se abbia mai letto Carver – confezionando però uno stile del tutto sbagliato, che crea confusione, noia nel lettore. Se la vita borghese la annoia, però, ci è riuscita, perché dopo 15 pagine ho chiuso il libro.
Grazie Yasima per avermi fatto capire una volta di più quale sia la grande Letteratura.
©, 2022
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