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Naufragio nell’Artificio Il Declino Umano tra Spazio Nichilismo e Tecnologia
Dal Syntagma del secondo secolo dopo Cristo: «… Esistono due specie fondamentali d’angeli: i primi aiutarono l’uomo, fin dall’inizio, a rendersi la Terra comodamente abitabile; i secondi gli ostacolarono questo lavoro. Per molto tempo ancora l’umanità non sarà abbastanza matura perché le si riveli quali di questi angeli sono i buoni e i cattivi…» Che l’Inferno di cui si parla sia proprio la Terra? e che gli angeli che ci aiutarono ad abitarla siano Demoni? (Virgilio Lilli – Microsaggi – Mondadori, 1966).
La corsa allo Spazio inaugurata in piena Guerra Freddaha segnato una svolta epocale nel rapporto dell’Uomo col Pianeta Terra, la sua condizione umana. L’habitat dell’Uomo, da quello naturale rappresentato dal nostro pianeta, si stava prospetticamente spostando verso l’alto, verso il cielo spaziale. La Terra rappresenta la quintessenza della condizione umana (Vita activa) [1] e il suo habitat permette all’Uomo di muoversi e respirare senza artificio.
Ma una nuova pulsione di conquista stava spingendo gli uomini ad esplorare lo Spazio, col fine di trovare una possibilità di colonizzazione nel regno sconosciuto del cosmo, primo passo verso la liberazione degli uomini dalla prigione terrestre (Vita activa). La prospettiva della colonizzazione dello spazio era stata sino alla Guerra Fredda appannaggio della fantascienza, un ambito letterario a cui finora è stata data poca attenzione, ma che veicola i grandi sentimenti di massa.
Secondo il Cristianesimo la Terra è una valle di lacrime, e per la filosofia il corpo è la prigione della mente o dell’Anima, ma nessuno, prima degli Anni’50e della corsa allo Spazio, aveva mai considerato la Terra come prigione per i corpi degli uomini, né nessuno, prima di allora, aveva mai manifestato il desiderio di andare sino alla Luna. La Arendt si domanda: sarebbe questo l’esito dell’emancipazione e della secolarizzazione dell’età moderna, iniziate con l’abbandono, non necessariamente di Dio, ma di un dio che era il Padre celeste: il ripudio sempre più fatidico di una Terra che era la Madre di tutte le creature viventi sotto il cielo? (Vita Activa).
Al ripudio della Terra quale Madre, in questi decenni è subentrato il ripudio del sacro che ha sottratto sacralità alla madre biologica, in nome di una mercificazione che legittima l’importazione degli uteri dal terzo mondo, e cancella le madri vere, secondo uno stravolgimento della condizione umana; che vieta l’oscenità dei burqua, e legittima un modello sociale che ha messo le donne in vendita nelle vetrine di Amsterdam; che non ammette di occultare il volto, ma certamente di sfigurarlo col lifting.
Ci troviamo quindi alla presenza di un nichilistico ripudio della trascendenza, a favore di una esaltazione – all’opposto – di una metafisica basata sulla materia, sul quantificabile e sul meccanico, che ha dato avvio, in età illuminista, alla ricerca su quell’artificio del mondo umano che separa l’esistenza umana dall’ambiente meramente animale, ma la vita è estranea a questo mondo artificiale, e attraverso di essa l’uomo rimane in relazione con gli altri organismi viventi. Molti sforzi scientifici sono stati diretti in tempi recenti a cercare di rendere “artificiale” anche la vita, a recidere l’ultimo legame per cui l’uomo rientra ancora tra i figli della natura. E’ lo stesso desiderio di evadere dalla prigione della terra che si rivela nel tentativo di creare la vita in una provetta, nel desiderio di mescolare “sotto il microscopio il plasma germinale congelato di persone di comprovato valore per produrre esseri umani superiori” e “modificarne la grandezza, forma e funzione”; io credo anche che un desiderio di sfuggire alla condizione umana si nasconda nella speranza di protrarre la durata della vita umana al di là del limite dei cento anni (Vita Activa).Spettacolo di un Occidente che ha man mano sostituito i soggetti con gli oggetti, in quella ricerca di artificiosità che si è risolta in un indebolimento della natura intrinseca dell’Uomo. Un Uomo che ormai brancola nel consumismo e nel nichilismo, nella fiacchezza e nel sonnambulismo del virtuale, salvo rari momenti in cui brandisce un’arma e fa una strage, compie un femminicidio. Perso ogni valore ordinatore, balliamo al ritmo di musica assordante col gin tonic in mano, schiviamo una rissa in discoteca e ci abbandoniamo alla mancanza di ogni aspettativa che vada oltre l’istante presente, l’istante appena consumato (carpe diem). Si consuma tutto, si consumano istanti, prodotti materiali, relazioni, partiti politici, amori più o meno dimenticabili, amicizie interessate e promesse non mantenute. E’ la perdita di quel contatto con l’essenzialità della Natura e del Cosmo, oltre i grigi orizzonti di cemento, che caratterizzano le immense città/cose concepite per uomini/cose, incapaci di vita autentica, di autentica solitudine, e di ascoltare quella voce che giunge da lontano, e dice: Cerca, poi, di essere indipendente e di bastare a te stesso… in questa (…) valle splende il raggio della virtù, che consiste nel bastare a se stessi (Martin Buber – Confessioni estatiche – Adelphi, 1987).Da Matilde Serao, Ricordi di Palestina (Messaggerie Pontremolesi, 1989):(…) Potessero tutti gli uomini altieri e folli della loro bellezza e della loro gioventù, potessero venire, qui, per vivere una notte in questa chiesa, dove è il Vostro sepolcro, Signore, presso questo letto funerario, dove Voi avete dormito il sonno della morte: tutta la loro superbia e tutta la loro vanità cadrebbero, nella lunga ora notturna, soli con Voi che portaste un’anima divina e che foste il più umile fra gli uomini: è in questa solitudine profonda, presso la lapide, che ha chiuso il Vostro corpo martirizzato, che dovrebbero piegare la testa tutti gli egoisti, tutti gli spensierati, tutti gli indifferenti, coloro che vivono solo del proprio benessere, coloro che vivono senza chiedersi la ragione della vita, coloro che disperdono, vanamente, le più nobili forze spirituali, qui, innanzi a Voi che amaste il più puro ideale, che sapeste amarlo, che sapeste farlo amare (…).
Invece, nelle metropoli così distanti da quel deserto d’amore e d’assoluto (Carlo Carretto – Il deserto nella città – San Paolo, 2003) dove il trend sociale detta legge, il pungolo continuo è lo Spritz, il dettame di gruppo, l’insana partecipazione al rito del Nulla nelle solitudini apatiche delle folle, in cui sentirsi uniti dal collante alcoolico in assenza di un collante più profondo, che faccia ricorso al logos, allo spirito, al linguaggio come elevata comunione. Espressione decadente e individualistica di un progetto prometeico, di una promessa faustiana, in cui noi ravvisiamo il senso compiuto della solitudine umana nell’era tecnologica, una condizione umana che si è fatta disumana. L’Uomo non è mai stato tanto solo e isolato, come nei tempi moderni della conquista tecnologica di una sua Potenza fittizia, che non risiede nel suo intimo, nel suo Essere, ma in protesi e ausili esterni (macchine) che forniscono, in ultimo, un senso aleatorio di Potenza, e, in verità, vanificano i suoi sforzi individuali, sostituendosi ad essi. In questa sostituzione che agisce da surrogato di Potenza, consiste la produzione di beni tecnologici e annessi beni emozionali, in uno scenario di Mercato che vive del superfluo e del disagio. Il mondo in cui viviamo, governato dalle macchine, a molti potrebbe sembrare, secondo la concezione di Isaac Asimov, un mondo pacificato e senza più conflitti, omogeneo e democratico. Invece le macchine ci dominano e ci controllano. E, a guardare bene, oltre questa nebbia di uniformità, che rasenta l’abulia spirituale, scorgiamo ancora le scintille di vecchie braci che ardono sulla cenere del Tempo, in cui l’istinto non si è sopito, e cerca una sua via d’uscita. Anche e soprattutto l’istinto distruttivo, di morte, Thanatos. L’Impotenza a cui l’Essere Umano è stato ridotto, non è da lui accettata sino in fondo. Un conflitto è in essere tra l’Uomo e la Macchina, così come, ai tempi di Wilhelm Reich, tra istinto e principi morali. Non è più tempo di porsi questioni morali in una Società dell’illimitatezza, che ha livellato e tolto tutti i divieti, ma è il tempo di porsi un interrogativo ulteriore: l’assenza di divieti, l’illimitatezza, pongono in essere un conflitto ben maggiore, di quello nevrotico prospettato da Reich, ossia, un conflitto tra Io e Mondo, una nuova corazza psichica fatta di Psicosi. Sembrano parole tratte dal mito faustiano, secondo una rinuncia al limite ontologico della natura umana, e il desiderio di accedere con la tecnica a un mondo preconizzato come migliore e di inesauribile felicità. Lontano dal deserto e dalla solitudine, per certi versi più solo degli asceti, l’Uomo si è inorgoglito e al tempo stesso relegato, ha voltato le spalle al trascendente, e si è rivolto con fiducia e passione all’immanente. Poco gli resta da toccare, ascoltare, abbracciare e amare: eppure, vive nella promiscuità diffusa di cose e persone. Per certi versi, oggi, molti si stanno illudendo della natura positiva di tale orgoglio, cadendo nelle seduzioni del metaverso et similia, un surrogato di infinitezza che vuole sostituire Dio. La facilità e la mancanza di sforzo personale con cui la tecnologia ci fa sentire collegati col tutto, in una unione di tipo oceanico, è il risultato di cinquant’anni di nefasta cultura New Age, non a caso una sub-cultura nata anch’essa in California, una valle del tutto infernale, un immenso hub commerciale da cui si dirama in tutto il mondo lo spaccio di oppio cultural-tecnologico per le masse.
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