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Il giocatore di Dostoevskij

Il giocatore di Dostoevskij
Il giocatore di Dostoevskij è un romanzo caustico e a tratti grottesco, che sa dare un ritratto dell’Europa ottocentesca in chiave quasi comica, offrendone in poche pagine di divertita lettura un compendio di tutti i pettegolezzi e della dissoluzione cui si stava avviando. La abitava una borghesia disgregata e maldicente, dedita al culto del denaro, delle casate e delle millanterie. Non a caso è ambientato in una fittizia località termale tedesca soprannominata Roulettenburg, dove si gioca d’azzardo dalla mattina alla sera, e nella quale si aggira una aristocrazia internazionale di dubbia moralità, mondana chiassosa arrogante e con le pezze al culo, in bilico tra onorabilità e avidità.
Le futili chiacchiere mondane e le aspre disamine interpersonali che l’aristocrazia intratteneva tra una giocata e l’altra, sono per Dostoevskij l’occasione per criticare i vari popoli europei, e soprattutto quello tedesco e quello francese.
Il metodo tedesco di ammucchiare ricchezze. Non sono qui da molto tempo, tuttavia ciò che ho già avuto modo di vedere e di costatare, rivolta il mio sangue tartaro. Giuro che non voglio virtù come queste! Ieri sono riuscito a fare nei dintorni un giro di forse dieci miglia. Ebbene, è precisamente come si legge nei libriccini moralisti tedeschi illustrati; dappertutto, in ogni casa, c’è il suo Vater (1), straordinariamente virtuoso ed eccezionalmente onesto. Tanto onesto che fa paura avvicinarglisi. Io non posso soffrire gli uomini onesti che fa paura avvicinare. Ognuno di questi Vater ha la propria famiglia, e la sera leggono tutti ad alta voce dei libri istruttivi. Sopra la casetta stormiscono olmi e castagni. Il sole tramonta, c’è la cicogna sul tetto e tutto è insolitamente poetico e commovente… Voi, generale, non irritatevi, ma permettetemi di raccontare le cose in maniera un po’ patetica… Io stesso mi ricordo che mio padre buon’anima, sotto i tigli del giardinetto, leggeva anche lui alla sera a me e a mia madre, libri di quel genere… Posso quindi giudicare di queste cose a ragion veduta. Ebbene, ognuna di queste famiglie, qui, è completamente sottomessa e schiava del padre. Tutti lavorano come bestie, e tutti ammucchiano denaro come giudei. Poniamo che il Vater abbia già messo da parte una certa quantità di gulden e conti sul figlio maggiore per trasmettergli il mestiere o il campicello; per questo non danno dote alla figlia, ed essa rimane zitella. Sempre per questo vendono il figlio minore come servo o lo mandano a fare il soldato, e aggiungono questo denaro al capitale di famiglia. Davvero, qui si fa così: mi sono informato. Tutto questo si fa unicamente per onestà, per un sentimento eccessivo di onestà, al punto che anche il figlio minore, venduto, crede di non essere stato venduto se non per onestà; e questo è proprio l’ideale, quando la vittima stessa è lieta di essere portata al sacrificio. E poi? Poi succede che neanche per il figlio maggiore le cose vanno bene: lui ha una certa Amalchen alla quale è unito con il cuore, ma che non può sposare perché non sono ancora stati ammucchiati gulden sufficienti. E allora anch’essi aspettano onestamente e si avviano anch’essi al sacrificio con il sorriso sulle labbra. E intanto le guance di Amalchen si sono incavate e sono avvizzite. Finalmente, dopo quasi vent’anni, il patrimonio si è accresciuto e i gulden sono stati ammucchiati in modo leale e onesto. Il Vater benedice l’ormai quarantenne figlio maggiore e la trentacinquenne Amalchen dal seno flaccido e dal naso rosso… E allora il Vater piange, fa la morale e passa a miglior vita. Il figlio maggiore si trasforma a sua volta in un virtuoso Vater e ricomincia la stessa storia. Dopo una cinquantina o una sessantina di anni, il nipote del primo Vater realizza effettivamente un notevole capitale e lo trasmette al proprio figlio, questo al suo, quest’altro al suo e, dopo cinque o sei generazioni, viene fuori il barone Rotschild in persona oppure Hoppe e Co. O il diavolo sa chi. Ebbene, signori, non è forse uno spettacolo meraviglioso? La fatica di un secolo no di due secoli, di generazione in generazione: pazienza, ingegno, onestà, dirittura morale, carattere, fermezza, calcolo, cicogna sul tetto! Che volete di più? Nulla è più sublime di ciò, ed è proprio da questo punto di vista che costoro cominciano a giudicare il mondo intero e a condannare a morte i colpevoli, ossia quelli che appena appena non somigliano a loro. ebbene, signori, ecco dunque di che si tratta: io preferisco debosciarmi alla russa o arricchirmi alla roulette. Non voglio essere Hoppe e Co. Tra cinque generazioni. A me il denaro è necessario per me stesso, e non considero me stesso come un indispensabile accessorio al capitale. So di aver detto un mucchio di spropositi, ma è così. Queste sono le mie convinzioni (Dostoevskij – Il giocatore – Bompiani, 1987).
Note:
1: Padre
Alcune suggestive immagini di Amburgo, città simbolo dell’economia tedesca:

Il giocatore di Dostoevskij

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