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PILLOLE DI VERITA’ SU INTERNET

PILLOLE DI VERITA’ SU INTERNET

I primi hacker californiani pensavano molto ingenuamente al bene comune, alla libertà individuale e al diritto a una libera circolazione delle informazioni, attraverso una riforma della Società non con principi violenti o politici, ma partendo da una modificazione della psicologia delle masse, attraverso l’accesso a certi contenuti in grado di espandere la coscienza: l’LSD, la Realtà Virtuale, le filosofie orientali, il buddhismo e la meditazione, il sesso vissuto in maniera libera. Profeti di un pensiero libertario e non violento, cultori dell’infinitezza dell’individualità umana, vista come il centro di un Caos cosmico generativo di conoscenza ed esperienza. Per loro mettere ordine nel Caos era non solo impossibile, ma il segno di un pensiero autoritario, principio di ogni violenza. Professavano un mondo senza Dio, dove l’individuo era responsabile e “gettato” non diversamente da quanto aveva già teorizzato Jean-Paul Sartre; la loro visione (ingenua e forse anche incosciente) non poteva che spianare la strada alla successiva deriva del world wide web, alla progressiva presa di potere da parte di Google e di tutte le Big Tech, in quanto non prevedendo una gerarchia di valori (etici, morali, trascendenti) lasciavano libero il campo anche all’intrusione di possibili pirati, profittatori, arroganti e violenti, manipolatori e materialisti animati da spirito capitalistico, gente irresponsabile e animata da un principio malevolo, in grado di stravolgere il loro messaggio originario. E questo solo per dire che il www ha fatto una brutta fine, che nemmeno chi l’ha creato poteva prevedere. L’UTOPIA si è trasformata in DISTOPIA, la libertà in controllo, la gioia in paura e oppressione. Per capirlo bisogna leggere il libro di Timothy Leary “Caos e cibercultura”, in cui viene descritta una visione (è il caso di dirlo) poetica e lisergica che non si è realizzata mai a causa dell’avidità e dell’immaturità dell’essere umano, evidentemente non ancora pronto per cogliere i bellissimi frutti della tecnologia. Prima che ciò possa avvenire, che un’altra occasione si presenti al genere umano, dovrà passare molto tempo. Intanto dovremo fare sempre più i conti con l’Inferno disumano che Noi stessi abbiamo creato, da una parte grazie al cinismo dei potenti, dall’altra con la pigrizia mentale di quegli stessi individui che i Padri di questa Utopia avrebbero voluto risvegliare dal loro torpido “sonno ipnotico”. Hanno perso i Padri, ha perso l’Umanità, ha vinto il denaro.

Ma i primi anni erano davvero pionieristici, pieni di energia positiva, di sogni. Chi ha iniziato col modem collegato al doppino analogico del telefono (pit pot put sprrerd i rumori che ti inebriavano quando si connetteva alla rete, facendoti arrivare bollette stratosferiche), ne sanno qualcosa, anche se costoro non erano veri hacker, quelli veri si collegavano, beati loro, senza pagare la bolletta. Costoro erano i cosiddetti (e assolutamente legali) administrator. Gente che aveva imparato in casa propria a maneggiare quel rimpianto linguaggio ormai tramontato che era l’html, che garantiva stabilità, impenetrabilità, e creatività grafica a gogo ai siti che ne venivano fuori. E alcuni erano veri capolavori.

Un esempio (guardatelo finché l’ormai ultranovantenne scrittore americano che ne è il proprietario resta in vita, perché dopo non credo verrà mai più rinnovato) è questo sito:

https://www.johnrechy.com/outlaw.htm

Colore, ipertesto, immagini ritagliate in maniera folle, sovrapposizioni da cartonnage elettronico, scritte scorrevoli, gif truffaldine, animaletti e facce sorridenti, occhi ammiccanti, a volte vere trappole in cui cadevi e il pc ti si bloccava, e iniziava l’incubo: ore e ore di lavoro col tuo fidato tecnico riparatore che veniva nottetempo, vestito in abiti logori, la faccia losca, la barba mal rasata, dopo aver lavorato tutto il giorno in biblioteca. Si può dire che il bibliotecario fosse il suo secondo lavoro, perché riparare e commerciare in hardware lo assorbiva completamente. Dell’hacker aveva la filosofia: non buttava via i vestiti sino a quando non erano logori, riciclava tutto, donava ai poveri il sovrappiù per non generare rifiuti, faceva circolare tanta informazione gratuita sotto forma di libri che la sua biblioteca comunale scartava, conviveva con una rumena e ne aveva adottata la figlia. E me ne dava – di libri – un buon numero anche a me (conservo ancora un immenso e stupendo ricettario del Carnacina).

Nostalgia di quegli anni. Forse solo perché se ne avevano 25 di meno, si trombava di più, si reggeva l’alcool da non dire, si fumava erba (con metodo e parsimonia, però, non per sballare, ma per pensare, creare), e si passavano le notti in questa maniera, tra un centro sociale e un rist cino afro, dove, nel primo, un collettivo hacker dava gratuitamente e ingenuamente istruzioni su come colpire nel cuore il capitalismo, e nel mentre, tu ti distraevi, disertavi il pc, perché in fondo della politica non ti impippava un cazzo, e ti ficcavi nella dark cantina sprofondata sotto il livello stradale tutta nera e buia, dove una sub sonica musica elettronica faceva muovere una ragazza solitaria, della cui presenza ti accorgevi solo grazie al suo braccialetto fluorescente al polso. C’è da dire che quelle dei centri sociali non se le è mai scopate nessuno. Erano ragazze troppo acide e complessate, che accampavano una indipendenza andata a male, mista di un che di perverso e acculturato, che le rendeva impenetrabili (erano anche loro fatte in html, non presentavano alcuna “vulnerabilità”). Meglio le borghesi, di buona famiglia e educate, senza tante sovrastrutture ideologiche inutili.

In quegli anni si leggeva Bukowski, si mangiavano rane fritte decongelate nei ristoranti cinesi, quelli però frequentati solo dai cinesi, alle tre del mattino dopo una intera nottata di html, sognando un e-commerce, un ghost writing, un lavoro di pubblicità (qualcosa nella rete del pescatore, generalmente poca frittura, a volte ci cadeva, ma si continuava a lavorare duramente, con ritmi faticosi e credendoci sino in fondo, ma… in fondo, eravamo tutti stati truffati dalla new economy, e non ce ne rendevamo conto) e un pugnetto di riso bianco, in una stanza adibita a magazzino, tra parti di motorini smontati, derrate di cibo in scatola, cataste di sedie. E ti ci portavi una delle tue innumerevoli donne da compagnia, una di quelle con cui non ti saresti mai legato, ma che ti stavano offrendo parai pari il loro disimpegno, in maniera libera. Si era quasi felici. Ma la magia sarebbe durata ancora molto poco.

Col 2008, la CRISI, tutto cambia, anche la psicologia della gente. Molti più stronzi, molta meno poesia, molti più loschi e profittatori si stavano infiltrando nella cultura della rete. I poeti e gli scrittori del web, quelli che ti mandavano i loro scritti, che ti chiedevano consigli, o di essere pubblicati, erano stati sostituiti dai cretini di facebook, dagli arroganti, dai puri ignoranti, e i commenti scritti, in cui ancora la gente si dilungava per venti o trenta righe che ti venivano inviate per email, erano stati sostituiti da un cazzo di pollice alzato: dove stavamo andando? Dove stava andando il web? Dove stava – perDio! – andando l’umanità?

In questo cesso, è il caso di dirlo, in questo cesso che è la Società di oggi. E tutto, proprio tutto, è iniziato con un dannato, apparentemente innocuo, pollice alzato. L’OK della truffa, del raggiro, dell’economia canaglia, del disastro demografico, della solitudine, del qualunquismo, dell’egoismo, del conformismo, del dispotismo, e via via sino ad arrivare all’arcobalenismo e all’immigrazionismo al genderismo e alla morte del sindacalismo e alla vittoria totale del CAPITALISMO e del pornoattivismo femminista insegnato nelle Università. PUNTO.

Man mano che il tempo passava, andare a caccia di fighe nei centri culturali e sociali mi interessava sempre di meno, e avvertivo l’urgenza della politica, avvertivo la devastante pericolosità di ciò a cui io stesso avevo contribuito nel far nascere: il world wide web. Che mi/ci aveva TUTTI traditi. E gli hacker della prima ora? Non esistevano più, ormai la loro filosofia era stata digerita dal Mercato, e trasformata in pura criminalità. Peccato.

Peccato? E’ dire poco. Era una catastrofe umanitaria. Era la fine. Con la fine del web, si era innescato un pericoloso processo, o reazione a catena, che aveva trascinato nel baratro tutto il resto: etica, economia reale, persone e loro integrità psicofisica, cultura, politica, giornalismo ed editoria, Sanità, relazioni interpersonali, sessualità, ecc… Non che il web fosse finito, non era la fine del web, ma la fine della sua scommessa originaria, la fine di una scommessa sulla Democrazia della rete, e l’inizio di una delle più potenti e inaudite forme di OPPRESSIONE. La trasformazione del seme che era stato gettato, e ormai non più ritirabile, in una pianta velenosa: l’Economia Digitale.

Ormai mi aggiravo in una città gentrificata e irriconoscibile, e avevo sulla schiena dieci anni di lavoro tradito. Il collettivo PORNOURBANATTACK (1) mi invita a una performance. All’ISOLA. Ormai un quartiere irriconoscibile. Già, l’Isola, che quarant’anni fa era la frontiera del Nulla, la caienna, la riserva protetta della malavita, dei trans, degli emarginati, degli omosessuali che si nascondevano e facevano festa al Querelle De Brest, un locale affascinante che ho avuto la fortuna di frequentare grazie alle “trasferte” che i miei amici facevano da Venezia a Milano per le loro serate, e a cui mi invitavano (allora i Gay erano veramente allegri, perché nelle loro “riserve protette”, come il Querelle De Brest di Via de Castillia, potevano veramente fare festa e nessuno li toccava), le sue strade erano presidiate dai Naziskin, il cui potere e controllo che imponeva ordine pubblico si estendeva sino quasi alla Comasina, e non c’erano stupri né borseggi, e c’erano quelle facce proletarie, di un orgoglio muscolare e lavorativo (lavori pesanti, piccoli miseri artigiani), che difendevano la propria dignità territoriale con la semplice ironia del proprio sguardo tagliato, da vecchio “marsigliese”, uno sguardo che dissuadeva subito ogni malintenzionato. Proprio ieri, ero lì, in uno dei vecchi, storici bar di mala,  sopravvissuti alla gentrificazione digitale che sorgeva tutto attorno, e notavo il barista, vero marsigliese, vero “duro” d’altri tempi, una durezza che era un misto di vecchio fascismo e spirito manesco, gentilezza da gangster con le donne, e durezza coi rivali, insomma, vedevo questo poveruomo d’altri tempi piantato sull’uscio del suo bar con le braccia conserte e le gambe leggermente divaricate, mentre sul marciapiede scorreva il truman show della nuova popolazione gentrificata del quartiere, quarantenni startuppari, dai corpi deboli, rachitici, mai abituati alla fatica fisica, lgbtqia+ dai capelli verdi, ragazze dai corpi e dai volti spersonalizzati di Instagram, anime evanescenti e ipoespressive teleguidate dallo schermo del loro smartphone, che andavano a rifugiarsi nelle loro case di vetro iperconnesse e chiuse al mondo, che avevano soffocato in un clima di vertiginosa conquista finanziaria del territorio quella realtà un tempo autentica e umana, forse un po’ sudata e deforme, con le mani sporche di grasso e di calce. Una scena irreale, forse era veramente questa, la Realtà Virtuale di cui parlava Timothy Leary? Era veramente, il suo, un piano democratico, o quello che  è successo, e che stiamo vedendo, una sorta di allucinazione sociale di massa, non è che l’esito naturale del suo progetto? Mi chiedo, non so, non so più niente…

Dove un tempo sorgeva lo studio del mio Maestro di scultura, un laboratorio al piano strada, con un sotterraneo percorso da tubi fognari in cui dormiva nel più completo degrado, ora c’era uno spazio autogestito di SINISTRA che si prefiggeva il compito di “presidiare” (usano ancora questi paroloni da anni’70… da vecchio ciclostilato, ma VI rendete conto?) il territorio, eccetera. Gente e gioventù (era il 2013, l’urgenza del dibattito politico sul Gender era appena allo stato embrionale, il Politically Correct, non era ancora una vera e propria urgenza sociale), vino, birra free, tutto offerto dagli organizzatori, gente animata da un lontano ricordo di comunismo, la cui patina sbiadita resisteva ormai come un trucco spento, un rictus nervoso e incattivito, sui loro volti glamour e borghesi, torte e hummus, intrugli e salse esotiche in onore a quei due o tre africani impauriti che davano spunto etnico e inclusivo alla serata.

La biondina, una dello staff, una sorta di capetto, mi piace un casino, e io piaccio a lei. E’ non colta, ma ha una certa infarinatura, una pronuncia molto altolocata, un faccino fresco come una pesca e dei pantaloni di tela grezza e multicolore che le stanno appena sopra la linea del pube rasato (non porta mutande).

Mi dice di scendere sottoterra, ci si sarebbe toccati, spogliati, uomini, donne e trans, etero e gay, grassi magri sudati e non, brufolotici psicotici e nevrotici, tutti insieme, chi avesse voluto, sempre al buio, avrebbe fatto sesso, ma se a qualcuno veniva l’angoscia, il panico, doveva gridare “LUCE!!!”, e il gioco, illuminata la stanza, si sarebbe fermato. “DUCE?” Le chiedo io, per ironizzare, date le mie rotture di coglioni riguardo la Sinistra di quegli ultimi anni. Lei mi fissa, molto amabilmente, sì, le piaccio, si potrebbe anche concludere, mi protegge e mi spiffera nell’orecchio, a bassa voce: “se ti sentono, ti fanno la pelle”.

Scendo. In breve, mi trovo con un pisello in mano. Non grido “LUCE!!!”, mi limito a spostarmi e a ribrancolare nel buio, sino a quando sento sotto il palmo, un polso femminile, quindi rovistando ancora, un paio di natiche intrise di talco, eccetera. Ma subito mi stufo e risalgo. Il gioco è finito. Non solo quella sera. Avevo smesso di giocare, ma nella vita. Me ne ero accorto, proprio quando la animatrice di PORNOURBANATTACK (1) – una intellettuale che giustificava la propria ninfomania attraverso scritti porno-rivoluzionari ricalcati sullo stile delle Brigate Rosse – mi invita da lei, e io rifiuto, e me ne vado, e entro in un bar pieno di arabi e mi bevo una birra per conto mio.

Questo pollice alzato, aveva generato tutto questo, ma avrebbe generato altri disastri ancora, ancora più seri. Forse, anche io, con la mia passione per l’html, ne ero uno dei tanti responsabili.

Non rimane che un’unica, ultima speranza, per sopravvivere alla dissoluzione, alla tragedia umana che si erge come rovina: quella di Cavalcare la Tigre, di essere Digitali nonostante tutto, di combattere il nemico sul suo stesso terreno, e di farlo cadere, come professano i Guerrieri Taoisti, con le sue stesse forze. Essere quindi dei nichilisti, ma in maniera attiva! La nostra Reazione può contenere il seme di una Gioia che il Potere vorrebbe negarci. La salvezza da una lamentazione a senso unico, che è la voce imperante del Politicamente Corretto: non assumiamo, allora, il suo stesso tono di voce.

Note

1: nome d’invenzione del collettivo, di cui l’Autore di questo articolo non ha verificato se ve ne sia già un omologo in circolazione, e di cui non può prevedere l’eventuale esistenza futura.

©, 2024

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