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C’è un tempo fisico, un tempo soggettivo (Thomas Mann) e c’è anche un tempo morale, che si modella nel corso dei cambiamenti fisilogici e psicologici della persona.
E’ da notare come il tempo giovanile sia diverso da quello della maturità. Non solo la quantità di esso disponibile, ma il modo di viverlo nella nostra azione mondana.
L’Eternità giovanile, la quantità che da giovani si percepisce come inesauribile di tempo ancora da vivere, rende spesso il giovane imprudente, entusiasta, impulsivo, irriflessivo, in casi estremi, anche autodistruttivo.
Le cose cambiano con l’età, col passare degli anni, col deperimento fisico, con l’accumulo delle delusioni, delle frustrazioni, delle disgrazie. Un accumulo che alla fine, o uccide, o rende più prudenti, riflessivi, autoconservativi.
E’ interessante come in età matura ci si osservi tra conoscenti, tra simili, ci si ascolti senza intervenire a sproposito, guardinghi e scettici, empatici senza essere intrusivi.
E’ la lezione del TEMPO. Delle sofferenze, della VITA.
Dell’altro capisci subito tutto, al volo, lo penetri col tuo sguardo analitico e ne cogli gli stati interni, e lui fa lo stesso con te. E non vi dite niente, vi capite e non vi dite niente, sospesi a metà strada tra la voglia di abbracciarvi, e una quasi sottile indifferenza, fatalismo: in fondo, ognuno è destinato ad andare per la propria strada, nessuno ha debiti morali, ognuno li ha solo con sé stesso.
Giunti a questa fatale condizione, si capisce che siamo soli, e che dobbiamo bastare a noi stessi. Che non dobbiamo pretendere nulla, proprio nulla dagli altri. E che li dobbiamo rispettare, qualunque siano la loro natura, le loro azioni, i loro peccati.
Si realizza così il passaggio dal disincanto all’incanto, dalla solitudine all’unione, dall’egoismo alla responsabilità, dall’empatia ostile, a quella inclusiva. Si può essere uniti ma distanti.
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