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Musica da grattacielo, che ben si adatta alla verticalità di vetro acciao delle città americane, alle sue banche, al centro del potere economico/militare, al potere estetico del cinema hollywoodiano, a tutto un armamentario ideologico fatto fondamentalmente di violenza e conquista. Note trionfalistiche, sinfoniche che esaltano e trascinano in una auto dilatazione della propria intima potenza, che comunicano una forza fittizia come una dose di cocaina, energia senza forza che subito si esaurisce finito l’effetto delle note, insomma, musica molto bella ma che fa molto male.
Musica di povertà, di dolore e struggimento, che non esalta, non trascina, ma costruisce e distrugge, che consuma ed edifica, come castelli di sabbia erosi dalle onde del mare, del mare Mediterraneo. Luogo di lontane memorie, conquiste, cromosomi antichi sedimentati nel soma italico, mescolati all’Africa e all’Oriente, nulla di esaltante o semplificatorio, questa non è musica da intrattenimento, da banca o supermercato, ma da pianto e raccoglimento. Difficile da digerire, davvero difficile.
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