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Andy Warhol

DA ANDY WARHOL AL SALMONE AFFUMICATO

DA ANDY WARHOL AL SALMONE AFFUMICATO

Il carretto passava e quell’uomo gridava gelati

Al ventuno del mese i nostri soldi erano già finiti (da I giardini di marzo).

I colpi di stato fanno paura, e siamo abituati a vederli sotto forma di violenza militare. Dalla stagione del terrorismo degli anni’70 in poi, ci siamo abituati a vedere il male solo nella sua forma fisica. Anche oggi, le cronache dei giornali e telegiornali riempiono i titoli con fatti di violenza fisica inaudita e – a volte sembra – ingiustificata. A sfuggire alle analisi, resta però un sottofondo nascosto di violenza i cui mandanti il mainstream si ostina a non riconoscere. Questi mandanti, sono i poteri delle lobby finanziarie, i cosiddetti e fantomatici poteri forti, la cui esistenza sembra essere radicata solo nelle convinzioni dei complottisti, mentre la stampa ed editoria fuxia continuano a scambiare, come direbbe Nietzsche, le cause con gli effetti, e a noi sembra pure in maniera dolosa, con intenzione e malafede.

Che l’informazione sia censurata e che anche molte forme di dissenso siano pilotate, è ormai evidente, o per lo meno, lo è a chi non si accontenti della solita minestra riscaldata. Ci troviamo almeno da una quindicina d’anni immersi in un malsano sistema psicotico di comunicazione. Schemi di comunicazione e interpretazione del reale che sono stati validi per millenni, sembrano essere del tutto saltati, esplosi, in un’esplosione che pare però essere silenziosa, senza conseguenze né danni evidenti. E’ la psicosi appunto, il distacco dal senso di realtà, la negazione del mondo e del vivere comunitario, secondo regole condivise. Un sovvertimento che ha radici molto lontane, e che se volessimo ripercorrere dagli inizi, dovremmo tornare agli anni di Woodstock, per poi arrivare ai moti trasgressogeni e disimpegnati dei successivi anni’80, con le loro musichette, le loro letture inconsistenti figlie di una generazione senza ideali, la loro politica. Basti solo dire che essi rappresentavano il fallimento di ogni ideale politico rivoluzionario, e il deragliamento completo nell’individualismo tossico da parte della stessa élite intellettuale degli anni’70, parte della quale, salvatasi dall’eroina, era finita per riciclarsi nella pubblicità e nell’”alternativo”, se non nelle salette scalcinate dei cinema d’essai e nel culto venerabile di Woody Allen. L’America ci ha regalato questo abile incantatore delle masse, Re della promiscuità sessuale e della masturbazione intellettuale auto finalizzata, facendoci a un tratto dimenticare in un’orgia di benessere materiale che uscivamo da una guerra mondiale, un olocausto, un genocidio atomico, eccetera. La cultura ufficiale iniziava a spacciare sottobanco droghe intellettuali che abituavano massicciamente alla mediocrità, alla istituzionalizzazione della sconfitta, all’accettazione supina della debolezza fisica e morale, alla vittoria dei mezzucci e della scaltrezza da truffatori morali. Messo in maniera politicamente corretta in pensione l’eroe muscoloso e popolare John Wayne, si eleggevano a interpreti dei nostri sentimenti questi altri dubbi cantori del feticismo borghese, fatti di cerebralità involuta e fisicità debosciata. E il mondo si è difatti man mano putrefatto, come era nella logica inevitabile delle cose, ha assunto su di sé i fattori crepuscolari di una borghesia agonizzante, che ha trasmesso come un virus alle masse popolari avide di un riscatto sociale, infettandole con la decadenza morale borghese, uccidendo una volta per tutte la classe operaia. In quegli anni la Sinistra in Italia si baloccava difatti con l’assassinio del PCI per mano stessa della sua intellighentia rappresentata da scrittori come Paolo Volponi, la cui scaltrezza non era da meno di quella di Woody Allen, inscrivendosi nello stesso tipo di lamentevole autocoscienza senza costrutto, o direzione, se non quella dell’involuzione finalizzata a distruggere ogni riferimento costituito, per indirizzarlo verso il suo connubio indissolubile – o patto scellerato – con la casta padronale. Ovvero, distruggere ogni certezza, relativizzandola, in un sentimento del vuoto del nuovo e del bello, puramente estetico. L’etica moriva una volta per tutte. Di pari passo cadeva il muro di Berlino, e di conseguenza, cadevano tutti gli antichi argini posti a tutela dell’Uomo e della sua identità, inaugurando l’epoca della dismisura, del nichilismo post capitalista, dell’Economia Canaglia (Loretta Napoleoni). I begli anni’80. Eredi di Woodstock e della lotta armata. Dell’LSD e dei tazebao. Nuovi feti di distruzione di massa erano in incubatrice: artisti, o pseudo tali, come David Bowie, Lou Reed, Andy Warhol, ingegneri della fabbrica (Factory – sic) globale del consenso trasgressivo ed edonista. Quanti di noi si sono intossicati il cervello, mangiando il contenuto estetico delle scatolette Campbell’s dell’alienato e infelice parrucchino bianco. Si trattava di un movimento che, da centrifugo stava diventando centripeto, per effetto di un processo che stava cambiando la natura della protesta. La quale, da rivoluzionaria, si stava cementando e fermando nelle forme statiche della semplice trasgressione, e quindi, avviando verso una sua più completa metabolizzazione da parte del Sistema da cui era scaturita. Lo stesso tazebao, simbolo di quelle proteste rivoluzionarie pantoclastiche, stava subendo la metamorfosi in volantino pubblicitario, la protesta, da promozione sociale, stava via via assumendo la forma inquietante della promozione individuale, che oggi, con Instagram, ha raggiunto la sua massima e compiuta forza disgregativa in seno alla società di massa. Società dei fantasmi, dei nickname, delle ombre virtuali, società psicotica che ha trasformato il disagio psichico, il politicamente corretto senso dell’inadeguatezza e del perverso/disfunzionale, nell’archetipo del profitto. Così, si è arrivati alla forma compiuta, perfettamente realizzata, del sogno ad occhi aperti, da cui non ci si può svegliare, il Truman Show delle nostre stesse vite trasformate in perenni set pubblicitari (Ferragni e Fedez però si sono svegliati, e malamente, e chissà che non sia il principio di un risveglio a catena).

Il colpo di stato con cui si apriva questo scritto, di cui si ha una paura ancestrale, è del tutto avvenuto. E’ quello che abbiamo appena descritto. La dissoluzione del senso dello Stato e delle istituzioni, la privatizzazione della Sanità (con quella delle Ferrovie abbiamo già assistito a una incessante casistica di incidenti che la Stampa mette ovviamente in sordina), così come della malattia mentale, fonte di profitto politicamente corretta, che sino agli anni’80 ancora si considerava, sull’onda di Basaglia e dell’antipsichiatria, un effetto collaterale del capitalismo, che quindi andava giustamente presa in carico collettivamente, e oggi viene scaricata sull’utente che ne soffre (doppiamente). Niente più dibattito pubblico, niente più significato collettivo della patogenesi di molte delle disfunzioni di cui soffre l’individuo massa, sono la risultante di una volontà di rendere l’individuo stesso prodotto di consumo, consumatore di se stesso, depotenziando ogni sua possibile carica rivoluzionaria, paralizzando ogni possibile energia di cambiamento alla radice, obnubilando la sua mente e la sua volontà con dosi sempre più massicce di benefit, dalle serie tv, alle droghe, al sesso libero, ai cosiddetti diritti civili (per non parlare delle vacanzine low cost e del salmone affumicato venduto a prezzo popolare).

Con lo strumento artificiale della crisi che stiamo vivendo a rate e continuamente diluita e rilanciata a più riprese dal 2008, poteri anti umani che sono radicati nella finanza, nelle industrie farmaceutiche nelle multinazionali nei fondi d’investimento e nel traffico d’armi, stanno sperimentando sulla popolazione strumenti di controllo e modificazione antropologica, volti ad assottigliare progressivamente il margine di libertà personale, autodeterminazione e capacità di scelta consapevole, offrendo d’altro canto spunti devianti di libertà e di democrazia (i diritti umani, lo sbandieramento aggressivo, fuori contesto, del tutto gratuito e distruttivo del corpo da parte di dubbie femministe allevate in batteria dall’industria ideologica, la teoria gender), come paravento di una grande carenza culturale e democratica, sulla quale frana l’intera civiltà basata sul principio di realtà, l’onestà, l’etica. Stiamo vivendo immersi in un clima tossico, mefitico, politicamente e dal punto di vista informativo. Nel quale prevalgono ambiguità e malafede. I mangiafuoco che muovono i fili di questo immenso gioco al massacro, possono d’altro canto contare sulla quasi totale ignoranza e scarsità cognitiva in cui è precipitata l’umanità, che non la rendono capace di difendersi dal plagio. Se le teorie del complotto asseriscono che così saremo in breve tutti sottomessi, altre, di matrice più spirituale e “accelerazionista” sostengono il contrario, ovverosia, che la maggiore pressione psicologica cui siamo soggetti in questi anni non farà altro che portare a una intensificazione del processo di “risveglio”. E’ a partire da questo punto in particolare, che qui vorremmo affrontare il tema di cosa significhi cavalcare la tigre nell’era digitale, di come volgere a nostro favore gli stessi processi dissolutori in atto, come nell’omonimo testo suggeriva a suo tempo Julius Evola.

 

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