ARTE E CANCEL CULTURE la truffa del welfare virtuale
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Autocitazione: oggi il libro è un dente devitalizzato, un oggetto morto, un vibratore per godimenti solitari, una Passione Triste. (Andrea Di Cesare)
If you’re leaving, close the door
I’m not expecting people, anymore Hear me grieving, lying on the floor Whether I’m drunk or dead, I really ain’t too sureI’m a blind man
I’m a blind man And my world is pale When a blind man cries Lord, you know There ain’t a sadder taleHad a friend once, in a room
Had a good time, but it ended much too soon In a cold month, in that room Found a reason, for the things we had to doI’m a blind man
I’m a blind man Now my room is cold When a blind man cries Lord, you know He feels it from his soulSFIDO ACHILLE LAURO A CANTARE COSI’
L’attuale attacco alla cultura passa prima di tutto attraverso l’attacco frontale ai valori estetici. Il Potere ci sta abituando alle cose brutte per abituarci ai brutti pensieri e alle brutte azioni, e infine per giustificare e non fare avvertire il peso di una brutta politica. Essere assuefatti al Brutto significa non avere difese contro il Male. Spettacolo arte editoria e informazione sono ambiti corrotti dal denaro, dalla logica satanica del Potere, che guida le masse verso la propria autodistruzione.
Come un individuo colpito da forte stress (4), deragliato in una forma mentale in tutto simile alla psicosi, la nostra società sta andando verso forme regressive di politica e di vita associata, nonché verso la sottomissione a una economia sempre più predatoria che sta avendo ricadute sui più fondamentali diritti della persona, rispetto alla quale nemmeno il mondo della cultura e dell’informazione – dimensioni ormai del tutto sottomesse al denaro – lanciano più alcun grido di allarme, fatto salvo di qualche nota a margine priva di critica – dandone solo la notizia nuda e cruda – in qualche programma televisivo.
La circostanza attuale, ad esempio, che i prezzi del cibo stiano aumentando non di mese in mese, ma di settimana in settimana, non è più giustificabile sotto il profilo di una normale fisiologica inflazione. Se qualche notizia in merito viene data, nessun giornalista accampa la critica dovuto a tale fenomeno: limitandosi a darne la “notiziola”, fingendo un po’ di costernazione, non dice la cosa più giusta che andrebbe detta, insomma, che poteri antiumani si sono impossessati dell’economia, piegando al proprio volere informazione e cultura, che sarebbero gli unici anticorpi possibili di fronte a queste derive.
Tolta di mezzo la cultura, piegata l’informazione, quale ostacolo ha più di fronte a sé il potere finanziario, il potere insediato nelle banche e nei fondi d’investimento, che ritroviamo in quasi tutte le grandi realtà economiche nazionali e internazionali, capaci di dettare legge sull’andamento politico e culturale, soprattutto sul tenore delle notizie e degli argomenti di portata enorme, come quelli delle canzoni e dei libri?
A tale proposito, è da osservare che non esistono più gli editori (come potevano essere un tempo Giulio Einaudi, un Livio Garzanti o un Valentino Bompiani) capaci di imprimere una linea ideale di valori culturali all’interno delle proprie collane, e di rifiutarsi di pubblicare certe porcherie che invece oggi vanno alla grande.
Al loro posto abbiamo oggi dei semplici sterili e ignoranti amministratori delegati, che agiscono cinicamente e senza alcun scrupolo per assicurare il profitto, a costo di calpestare ogni precedente riferimento storico etico e culturale, resistito all’incirca sino ai primi anni 2000, poi irrimediabilmente capitolato di fronte alla potenza travolgente dell’economia virtuale inaugurata dai Social Network, altrimenti certi libri non si spiega come possano uscire.
Inciso: e non si spiega come al Festival di Sanremo 2025 siano stati esclusi grandi big che hanno fatto la storia della canzone italiana, e al loro posto siano stati inseriti rapper e trapper sculettanti e di dubbia provenienza, coperti di tatuaggi volgari e ignoranti, privi di cultura musicale, che sbraitano invece di cantare (probabilmente non sanno nemmeno interpretare uno spartito) ma certamente più in linea coi “valori” – che sono disvalori – metapolitici odierni, intrisi di tutto quel cascame ideologico che va sotto il nome di politicamente corretto.
E’ politicamente corretto ciò che è corrotto, ciò che è deteriore, ciò che fa schifo, ciò che distrugge ogni precedente valore, ciò che rende anonime cose che un tempo avevano un’identità, ciò che amalgama e unisce indiscriminatamente non riconoscendo il dissenso e la diversità, ciò che promuove univocamente la diversità di genere ma non quella politica e ideologica, ciò che avvicina tutto e tutti con la falsa ubiquità tecnologica e non ammette alcuna distanza fra persone e cose, alcuna differenza gerarchica, ma tutto livella al principio di un’orizzontalità disintermediata da tempo sdoganata da Social e Talent, ciò che non ammette disaccordi e diversità di pensiero promuovendo un unico modo di pensare o – soprattutto – di non pensare.
E’ politicamente corretto ciò che è brutto, ciò che è mal fatto, rozzo e poco curato, ciò che non tiene conto di regole d’eccellenza storicamente depositate, regole che hanno ad esempio fatto grande la letteratura del ‘900 sino ai primi anni 2000, è politicamente corretto ciò che non riconosce più nulla al passato in una cornice distopica e orwelliana (1984), e che promuove un presente vuoto, anodino, edonistico, ipersessualizzato, privo di valori di norme di leggi e di argini, un presente satanico illimitato e transumano, oltre l’umano, oltre i valori umani, oltre l’etica, un presente carico di contentini e di soddisfazioni surrogate (3), complici del pensiero perdente di chi si sente appagato dai contentini e non più disposto a lottare, il pensiero dei perduti, degli sconfitti, umiliati e offesi (Fëdor Dostoevskij). Quindi vanno bene questi libri scritti da emeriti stronzi ignoranti (con l’unico dono dell’ambizione e dell’arrivismo), che non hanno neanche la malafede di non riconoscere la letteratura passata, ma che proprio non la conoscono, che si improvvisano scrittori.
Del resto tutto ormai istiga ad essere scrittori, nascono migliaia di corsi di scrittura creativa e di agenzie letterarie, fioriscono quantità inesauribili di editor (un mercato in crescita che si basa sull’illusione del welfare virtuale, sul tradimento fascista della democrazia, sul mito faustiano dell’istante quale apice ideologico dell’edonismo di massa).
Questi ultimi (gli editor) sono dei veri e propri parassiti della filiera editoriale, di cui l’editoria ha sempre fatto a meno, e che oggi si sono resi indispensabili vista la totale impreparazione di chi scrive, ma gli editor sono talmente parassitari e in malafede, da mettere mano anche a scritti del tutto perfetti – rovinandoli – pur di dimostrare di essersi guadagnati lo stipendio (1).
Editor che in molti casi dimostrano di non conoscere la letteratura, che correggono – come è capitato al sottoscritto, citando Hemingway e il suo stile – passaggi che nascono come tributo a uno scrittore del passato, che presentano, ad esempio (come nel mio caso) delle ripetizioni volute, e percepite dall’editor di turno come errore, come difformità, e quindi tagliate senza porsi alcuna domanda (la mia editor, povera persona che ignora, e quindi ignorante, se avesse conosciuto minimamente ciò che si faceva in passato, forse avrebbe alzato il telefono e, prima di tagliare scriteriatamente, mi avrebbe chiesto che senso avessero quelle ripetizioni – a quella pubblicazione, visto il tenore schifoso della cultura redazionale presso quel sedicente editore, ho ovviamente rinunciato, la seconda solo nel 2024 per ragioni del tutto simili, con due editori e editor diversi).
Da qualche anno è passato il messaggio che se sei artista, hai potere. Per artista si intende scrittore o cantante (ma gli attori arcobaleno dove li mettiamo?). Hai potere politico, dal momento che i tuoi prodotti sono e devono essere politicamente corretti, per essere accettati.
Diventare artista è diventato allettante oltre che facile e indolore. Allettante per le prospettive di potere che offre. Facile per le vie d’accesso all’all’arte: non più vocazione, non più il sentire un forte ideale, l’ascesi spirituale che ha portato Strindberg alla follia, Hemingway e La Rochelle al suicidio (solo pochi esempi tra i tanti di un’epoca eroica), Ezra Pound alla condanna politica e alla damnatio memoriae, ma la praticità di una decisione del tutto utilitaristica, con la quale, l’emerito scrittore della domenica Ciccio Bombo autore dell’ennesimo Caso del Commissario Cazzone, esclude a priori il lavoro interiore di decenni, decenni di solitudine e sofferenza, e che viene perseguita freddamente e cinicamente con corsi di scrittura creativa che promettono il risultato della stesura del romanzo in due mesi, corsi on line con svariati e improbabili coach, editor al tuo servizio per correggere tutte le tue – politicamente corrette – incapacità, ovvero, tutto un apparato – a pagamento, e che garantisce il risultato finale – volto a facilitare e promuovere, quasi obbligatoriamente, l’accesso allo status di Artista. Uno status ratificato dal Potere, che infine il Potere premia.
Perché il Potere premia questi – finti – artisti? Perché sa che la Finta Arte premia il Potere, ed è capace di diffondere su larga scala – libri, Festival di Sanremo – idee istituzionalizzate conformi al Potere stesso (in fondo siamo tornati nella Roma antica della corruzione del malcostume e del do ut des, nell’agonia di un impero che sta morendo sotto il peso della propria decadenza). E non potrebbe fare diversamente, in quanto se fosse VERA ARTE, nessuno avrebbe il coraggio di farla circolare.
Ci troviamo di fronte a un fenomeno imitativo su larga scala, lo stesso che è valso e vale per i tatuaggi e la pornografia autoprodotta. Un fenomeno al ribasso, che ponendo ad esempio “il vicino di casa” di certo non dotato di un “sapere alto” diffonde a macchia d’olio una scrittura dozzinale. Non possiamo del resto credere che tale fenomeno non sia in qualche modo voluto e pilotato da quegli stessi Poteri disgregativi (tecnocratici e finanzcapitalisti) che dettano legge a tutto e a tutti, a partire dall’Unione Europea e internamente ad essa. Non possiamo credere che si tratti solo di un fenomeno spontaneo e innocente.
Questa gentucola, a cui sono state date in mano le chiavi del tempio, un tempio una volta aperto solo ai sacerdoti, hanno il “merito” di far sentire l’Arte alla portata di tutti, di invogliare tutti a imitarli. Il loro livello di scrittura è talmente basso, da consentire all’utente medio (non chiamiamolo nemmeno più “lettore”) – magari ambizioso e disoccupato – di aspirare ad altrettanta condizione, fare il salto di qualità verso una più elevata condizione sociale, coltivando il pensiero “se ce l’ha fatta lui ce la posso benissimo fare anch’io”. Il passo successivo, sarà quello di aprire un canale Instagram e iscriversi a un corsettino di scrittura creativa che ti insegna a guidare il mezzo in 15 giorni (pacchetto chiavi in mano, vale la logica del “tutto e subito” come per qualunque altro settore commerciale e redditizio). Ben presto questo nuovo “guidatore” (abilitato a una guida pericolosa, e in possesso di una “patente” regalata) entrerà in circolazione, spandendo merda a destra e a sinistra, producendo incidenti morte distruzione (e senza ricevere multe) secondo il piano voluto e premeditato dal Potere (quello di distruggere scientemente la cultura, promuovendo una “cultura dal basso”, il rigurgito fognario).
Se oggi questi sinistri figuri si imitano tra di loro, raggiungendo spesso il successo, c’è da avere pena, pietà e un senso infinito di fallimento per quelli della mia generazione, che si confrontavano con modelli alti e inarrivabili, come Goethe e Thomas Mann, il più delle volte fallendo, come ovvio, nel tentativo. Spingere, invogliare l’aspirante medio a confrontarsi con modelli bassi ha l’effetto di produrre una cultura bassa. Ha l’effetto voluto. In tal modo, all’editoria (musicale e letteraria) va bene una cultura che cancella la cultura, una scrittura che cancella la scrittura, una musica che cancella la musica.
QUANDO UNA TOTALE RIFORMA DEI VALORI LE IMPORRA’ DI VERGOGNARSI DI QUELLO CHE DICE? LO SA CHE VITA FANNO LE P**TTANE RUMENE LUNGO IL RACCORDO ANULARE PER POCHI EURO MALATTIE E VIOLENZE?
Il basso produce il basso, il medio produce il medio, lo schifo produce lo schifo. In questa pessima e satanica cornice di valori destrutturati e revisionati, chiunque si sente autorizzato a scrivere, e in diritto di avere il successo, perché da quando Andy Warhol ha pronunciato la famosa frase, il successo è diventato un diritto, per tutti.
E’ politicamente corretto, ciò che avvalendosi degli strumenti della grande comunicazione di massa, distrugge tutto il passato, promuovendo un presente fatto di cancel culture, mancanza di legge, di riferimenti soprattutto storici ed estetici, una mancanza capace di gettare l’uomo contemporaneo nel più completo disorientamento etico e morale. Questa è l’editoria, questo è il mondo della musica e dell’informazione oggi.
Perciò ben venga ciò che è scritto male, cantato male, ciò che è deteriore.
Ben venga l’ignoranza, ben venga un presente fatto di vuoto, popolato di oggetti (2), di persone replicabili che la pensano tutte alla stessa maniera, rassegnate, dominate da un unico Dio che è quello del Mercato.
E potere è quello di promuovere idee metapolitiche, che saranno diffuse in associazione al tuo volto, che ti faranno arricchire, idee che devono essere allineate al politicamente corretto, beninteso.
Si può dunque dare torto a Padre Livio, quando in anni recenti avvisò dell’imminente vittoria di Satana sugli uomini?
NOTE:
1: lo strapotere degli editor e delle agenzie letterarie si inserisce in un quadro di ambizione e arroganza generalizzate. Dal mondo dei Talent e dei Social proviene il pensiero all’ammasso, che sancisce il diritto al successo e alla visibilità quali benefit che il Sistema elargisce alla massa per piegarla e sottometterla, per non farle sentire il peso della negazione di ogni altro fondamentale diritto e della conseguente umiliazione (salmone affumicato a prezzo popolare, per far sentire ricchi anche i poveracci, e tenerseli buoni…).
Il popolo ha sempre fatto paura al Potere, le sue – possibili – rivendicazioni si sono sempre dimostrate pericolose e inaccettabili per la classe dominante. La quale, in ultimo, ha pensato bene di offrire strumenti surrettizi per innalzare la sua percepita condizione, come il successo garantito tramite la pratica artistica in un ambito artistico svalutato e alla sua portata. Da élitaria l’arte, fattasi popolare e data in pasto a chi non ne detiene principi e strumenti tradizionali, agisce da droga e anestetico sociale, promuove il welfare e garantisce a tutti il sogno di una possibile ascesa.
Con ciò fatto, l’arte data in pasto a chiunque – e con la pretesa che un editor possa rendere artista e scrittore chiunque – diviene lo strumento di controllo sociale in mano alla classe dominante per sottomettere il popolo alle proprie regole, che rimarranno nascoste, impercepite, ma continueranno ad agire nel corso della storia.
2: aver citato Andy Warhol permette di affrontare l’argomento dell’oggettificazione nell’arte, ovvero, di quel processo tramite il quale l’artista – o presunto tale – opera una desacralizzazione dell’arte volta a mutarne la natura ontologica, e sottrarla alla sua dimensione metafisica per immetterla in quella fisica degli oggetti di consumo indistinti e replicabili all’infinito.
L’operazione di Warhol assume carattere storico e rivoluzionario, in sé irreplicabile come i “tagli” di Lucio Fontana, ma capace di modificare definitivamente e irreversibilmente la percezione di massa dell’arte. Warhol, essendo l’ideatore di questa rivoluzione, il genio assoluto che ha distrutto l’arte stessa, rimarrà per sempre in cima alla piramide dei grandi artisti immortali, ma, dopo di lui, tale piramide sarà per sempre demolita, nessun artista sarà mai più percepito come portatore di un valore assoluto, ma come semplice soggetto incaricato di produrre oggetti replicabili all’infinito privi di valore metafisico, una sorta di operaio al servizio del gusto estetico, o dell’industria dell’intrattenimento. Se possiamo riconoscere del genio in Warhol, è solo per il fatto che, in maniera diabolica e, ancora una volta, satanica, ha distrutto definitivamente quanto di bello c’era prima di lui (praticamente, più di 2000 anni di arte visiva).
Analogamente, i signori della Silicon Valley hanno – ancora una volta ci troviamo in quel territorio squallido e desolato chiamato USA – creato un apparato tecnologico capace di cancellare tutto il nostro passato, fatto di valori estetici, morali, economici, politici, filosofici (hanno creato e imposto al mondo Internet), sulla base di una filosofia utilitaristica che insegue la felicità individuale e il profitto (il sogno americano).
Questo sogno – del tutto americano, ed estraneo alle altre culture, (come la nostra, ad esempio, mediterranea, che viveva più del principio della razionalità che della felicità), per forza di cose è stato esteso a tutto il mondo occidentale, con atroci conseguenze. Una delle quali è il proliferare incontrollato di teorie new age sulla felicità, sulla spiritualità da quattro soldi di matrice californiana, la reincarnazione, la meditazione, gingilli intellettuali che presentano temi molto alti e difficili (in sé validi e affascinanti) nella versione fast food, ridotta a balocco per le masse e destinata unicamente a spillare loro quattrini. Questi guru ti insegnano a calarti nelle tue vite precedenti, ma non in quella del tuo vicino di casa, operaio dell’Ohio che perde tutto a causa della crisi e magari, per disperazione, vota Trump. Zero empatia, zero inclusione da parte dell’élite culturale che si professa Woke. Siamo di fronte a una società della dissoluzione, ripiegata su se stessa, una borghesia alle prese con le proprie nevrosi, un ceto di persone che il più delle volte hanno potuto studiare, dotate di una cultura elevata e di ottime retribuzioni, non certo appartenenti al ceto povero e depauperato restato nella Rust Belt come scarto di una nazione che ha perso gran parte del proprio potere produttivo, e ha abbandonato il proletariato al suo destino. Siamo come di fronte a due tragedie diverse ma speculari, quella del ceto medio, isolato nella propria cultura del non detto e della nevrosi, di una classe agiata che ha disimparato a comunicare ed è rimasta intrappolata nell’interconnessione tecnologica e colta come in una rete che tarpa qualsiasi atto di volontà, di spontaneità, di sincerità, a favore di uno stile incentrato sull’incomprensione, ma tuttavia volto al mantenimento delle proprie prerogative sociali. E quella di una classe operaia che, privata della propria possibilità di sussistenza, sbanda nell’alcoolismo e nelle devianze, nel razzismo e nella disperazione di chi non ha più niente, né cose materiali, né identità.
Dagli USA proviene pure il culto degli editor e delle scuole di scrittura creativa. Chi non ne sapesse abbastanza, dovrebbe indagare su questo fenomeno nato soprattutto in relazione a scrittori come Kurt Vonnegut, abbastanza privi di personalità e appartenenti alla fase discendente della grande stagione degli Ernest Hemingway, John Steinbeck, William Faulkner, Dorothy Parker, cioè la stagione d’oro della letteratura americana che si stava apprestando a inoltrarsi nel paludoso ma al tempo stesso sterile terreno del minimalismo colto e stereotipato. Il loro pubblico sarebbe diventato quello dei grandi centri urbani, magari con qualche sede universitaria, un pubblico iper esigente, assai snob, fobico, pieno di inibizioni, timori e ansie sociali, carrieristico, tutte stigmate di una certa medio alta borghesia statunitense, élitaria e non nascostamente sprezzante delle classi subalterne, la stessa che oggi nel 2024 rappresenta il pubblico colto, e nevrotico, autoreferenziale (come lo è stato trent’anni fa con Raymond Carver) che adora Safran Foer e che è ben tratteggiata dalla critica sociale dei libri di Jonathan Franzen.
Per ragioni a me oscure, forse attribuibili a una sua non prestanza politica, o alla sua morte avvenuta prima del nuovo secolo, uno scrittore che per temi trattati (ma non per COME sono trattati, in quanto da lui trattati in maniera sublime e proustiana a detta di Harold Bloom), sovrapponibile alla galassia arcobaleno dei nostri giorni, Harold Brodkey, non ha avuto, dopo i ’90, la risonanza che ci si sarebbe aspettati con le ristampe dovute a un grande protagonista del’900 dopo la sua morte. Del resto, non basta essere un grande scrittore per avere risonanza e pubblico nei 2000 dopo Cristo, ma bisogna avere proprio un Cristo in Paradiso che ti protegga, che ti mandi in ristampa come sta avvenendo in certi casi di rilevanza e convenienza politica che dimostrano essere tutta una questione di protezioni e collusioni.
Agli scrittori da scuola di scrittura creativa solitamente piace la trama a effetto, magari infarcita di un buon e intricato intreccio, per dare valore a una storia priva di valore intrinseco, in quanto priva di idee, sentimenti, stati d’animo, ma incentrata unicamente sull’azione o quantomeno su accadimenti del tutto esteriori. Per il solito contagio con la cultura USA, oggi tutti scrivono polizieschi, perché non sanno scrivere. Pian piano, questo dettame è arrivato anche da noi, e si è impossessato della coscienza di scrittori e editori, che hanno iniziato a inseguire il plot a intreccio, o il libro intriso di frasi scenette situazioni a effetto, e che fosse sempre un po’ astruso e complicato, con continui colpi di scena, dimenticandosi che Thomas Mann, Robert Musil, Goethe, Giovanni Comisso, Ernest Hemingway, Jack Kerouac e una marea di altri grandi scrittori dell’intreccio degli effetti e di altre simili masturbazioni e titillazioni destinate alla borghesia amorfa che ha bisogno di essere continuamente titillata, non se ne sono mai fatti un cazzo (in Anna e Bruno Romano Bilenchi ci offre ad esempio un quadro in stile macchiaiolo di perfetta esecuzione estetica, priva di tecnicismi inutili, carica di colore sensazioni emozioni materne e filiali e campestri il cui unico intreccio, alla maniera novecentesca, è quello rappresentato dall’interiorità dei personaggi). Destinati più alla critica e alla caccia di premi ambiti (ad esempio Cannes con tutto il suo d’essai), certi libri e film, appagando inclinazioni perverse che – psicoanaliticamente – potremmo definire pregenitali, anali o clitoridee, o sa la minchia, si risolvono in una galleria di scenette ad effetto, che hanno la funzione preorgasmica di condurre l’eccitamento a un incerto rapporto completo con l’artista, immaginato come tuo dominatore/stupratore (vedi: Sigmund Freud – Tre saggi sulla teoria sessuale; Otto Rank – L’artista); ma questa dinamica, assai contorta e masochista/passiva, che solo un fine psicoanalista sarebbe in grado di svelare, appartiene a una fetta di pubblico molto ristretta, élitaria, che tuttavia ha rovinato il gusto nella fruizione di opere d’arte, corrompendo non solo la critica (dominante) ma tutta la cricca di politicanti che ci sta sotto (vedi: Bartolini Sigfrido – La grande impostura – fasti e misfatti dell’arte moderna e contemporanea – Polistampa, 2003).
L’intreccio serve a tenere desta l’attenzione del lettore medio che di fronte a un libro come “L’uomo senza qualità” o “La montagna incantata” si annoia, per la mole di riflessioni introspettive e filosofiche che presentano e di cui non è all’altezza.
Si è pensato bene, allora, non di elevare la cultura media, ma di abbassare il livello della letteratura per adeguarlo a quello di un pubblico massificato e ignorante. Ben fatto.
Inciso: Pulp Fiction – film assai mediocre e indebitamente passato alla storia come capolavoro – dotato di una semplice trama lineare priva di alcun fascino se non quello del Male, è stato impreziosito da un montaggio complicato, che sfalsa i piani temporali, per tenere desta l’attenzione di un pubblico che, altrimenti, si sarebbe certamente addormentato.
Un esempio a portata di mano, di cui la fonte è il sottoscritto:
L’ODG – di cui sono un iscritto come pubblicista – ha resi obbligatori dal 2014 venti crediti formativi all’anno, acquisibili con appositi corsi di formazione. Ricordo di aver seguito intorno al 2016 un bellissimo corso on line sulla deontologia tenuto da un docente di filosofia, le cui risposte mi hanno messo davvero in difficoltà, e per le quali ho dovuto tentare il quiz almeno 5 volte. Ma non me ne sono mai pentito, era un corso bellissimo che mi ha dato molto. Alla fine ho telefonato al docente per ringraziarlo. Ogni anno ho sperato che corsi simili venissero replicati. Ma ho sperato invano. Di anno in anno il livello teorico si è man mano abbassato, raggiungendo negli ultimi anni, e soprattutto nel ’24, livelli ridicoli, che mi hanno spinto più di una volta a tentare la fortuna del quiz senza dover sottostare alla totale perdita preziosa del mio tempo per seguire mezzora – di una noia mortale tale è la sua mediocrità – di lezione. E tutte le volte ce l’ho fatta al primo tentativo. Ciò dimostra che in Italia, per quanto i politici di destra lo invochino, il merito non ha alcun valore e, pur di promuovere una certa categoria, far passare tutti, si abbassa a livelli ridicoli la difficoltà dell’esame o dell’interrogazione (ciò sta avvenendo praticamente anche in tutte le Università). Che ciò avvenga in ambito giornalistico, dove i miei colleghi sarebbero chiamati ad essere i “cani da guardia del potere”, assume contorni assai inquietanti. Ma siamo appunto nel 2024, in un momento storico dove tutto sta crollando e andando irrimediabilmente a puttane, e anche questo fatto va nel calderone del degrado generalizzato cui dobbiamo solo rassegnarci.
Dovendo riprendere il filo del discorso, dopo questa digressione che è stata utile a inquadrare meglio quanto si andava tratteggiando per grandi linee sull’oggettificazione (avendone data però una lettura mia del tutto personale e criticabile), partendo appunto da Warhol e da alcune successive deviazioni, dobbiamo un po’ stringere e andare verso la conclusione, che però spero non sia la fine, ma solo un inizio, uno spunto da cui partire per tutti coloro che vorranno, da qui, intraprendere ulteriori studi, e me lo auguro, in nome di una più consapevole e politicamente impegnata (e sperabilmente SCORRETTA) fruizione dell’arte (la bibliografia riportata in calce potrebbe servire allo scopo a coloro che siano digiuni di tali argomenti).
Assodato che le scuole di scrittura creativa, editor e agenzie letterarie sono bacini di incubazione di alienazione artistica, di omologazione ai valori dominanti del mercato e della classe sociale che in qualche modo – oggi con l’arcobaleno, 80 anni fa col fascismo, tanto da poter affermare che l’arcobaleno è indubbiamente, per prassi e modalità d’azione culturale, il nuovo fascismo – detiene il potere intellettuale, non se ne può che trarre una conseguenza, che, cioè, i romanzi ormai sono tutti uguali, ossia, non molto differenti da quegli oggetti fisici/reificati (desacralizzati, fatti in serie lungo la medesima linea produttiva di fabbrica, e conseguentemente privati di aura metafisica, ontologicamente ridotti a “lavatrici” “saponette” “materassi” ecc…) che Warhol ha avuto la genialità di immettere nel flusso di una nuova estetica.
Non vogliamo entrare nel merito del disagio psicotossico/sessuale di un artista che ha voluto smerdare l’Arte. Fatto sta che ci è riuscito, e ora a noi tocca raccogliere i cocci della sua devastazione (azione che si tinge di aspetti sovversivi, rivoluzionari, azione che oggi sarebbe assolutamente necessaria, non solo per l’Arte, ma per la politica e la salute mentale collettiva, oltre che per l’economia, solo a CONDIZIONE che vogliamo restituire all’Arte la sua funzione originaria, risalente all’Antica Grecia, una funzione sociale e politica/collettiva, di azione catartica e pedagogica capace di plasmare i processi collettivi e politici della Polis, a condizione, però, che le nostre città ritornino ad essere delle Polis e non solo degli aggregati urbani dove la gente vive promiscua e in cattività, nella discordia e non-sopportazione reciproca, come sta avvenendo, seguendo la legge dell’utile, del profitto, e non del Bene collettivo; stiamo chiamando in causa ancora una volta il concetto di utilitarismo di matrice anglosassone, che si sarebbe impossessato di tutto, del nostro Io, della nostra Volontà, della politica e dell’economia, di tutto… perfino del nostro Inconscio e universo sessuale, e la colpa è anche nostra, di chi ha collaborato col nemico, e in certi casi entusiasticamente, acriticamente, poco lucidamente, ha assecondato, con le proprie scelte commerciali e di consumo, l’avanzata della cultura anglofona – vedasi la musica, il Rock, il cinema e gli svariati miti di massa, i Jeans e gli stivali di pelle per arrivare a FB e Instagram e il Green e l’appoggio all’Ucraina … – nelle nostre esistenze).
Finché l’arte sarà oggetto, la sua funzione sarà quella dell’intrattenimento di una collettività al suo interno divisa, individualistica e in perenne lotta competitiva. L’arte oggettificata appartiene a una società meccanica e atomizzata.
Ridare bellezza, unicità, valore metafisico e irripetibilità all’Opera d’Arte, assume il significato trascendente di una azione disinteressata, che esce volutamente dagli schemi commerciali, del profitto. Ciò forse non farà guadagnare nessuno, in termini di soldi, ma nei termini di una Economia dell’Anima, morale, sì, certamente, e tutti ne gioveranno.
Ci saranno di nuovo in circolazione dei veri Artisti, delle vere Opere d’Arte, dei veri Critici.
I Tribunali non saranno più presi d’assalto per cause civili fatte ai danni di critici che hanno avuto la sola “colpa” di criticare in un’epoca in cui il profitto, l’utile, giustificava l’azione legale per danno economico e di immagine subito, un’epoca decadente, in cui la figura dell’intellettuale era stata degradata e cancellata e sostituita con gli Influencer, delegittimata dal potere del denaro, di chi lo possedeva – e in gran quantità – al posto di idee e bellezza.
Togliendo potere al denaro, si ridarà potere e legittimità alla bellezza, alle idee, agli intellettuali, si legittimerà di nuovo la critica non prezzolata e magari dissenziente, l’artista accetterà di non piacere a qualcuno e non per questo lo denuncerà, perché il vero utile, per lui, sarà la crescita personale derivante dalla consapevolezza di potersi migliorare, non solo in nome della propria unica individualità, ma in nome di un bene comune, della Polis. Un nuovo narcisismo, non patologico, ma funzionale alla conservazione della collettività, si imporrà nel cuore delle persone, le quali saranno orgogliose della propria bravura, del proprio impegno, e valore, non per questo denigrando e annientando il prossimo.
Sarà un processo inevitabilmente lungo. L’inizio del quale non potrà che essere quello di riformare il rapporto tra arte e pubblico. Tra artista e mercato, un dualismo che attualmente sta vedendo la vittoria e la supremazia del secondo sul primo. La schiacciante preponderanza del soldo sulla creatività individuale. Con la conseguente moria di quest’ultima, o, peggio ancora, la sua resa incondizionata.
3: Si comprenderà meglio il concetto, leggendo questo passo di un mio libro di prossima – spero – pubblicazione:
La promiscuità si sarebbe diffusa sull’onda del Mercato globale, come moda e come stile di vita generato dal consenso, a compensazione di una profonda incapacità a vivere le emozioni. Il Sistema Costituito si sarebbe auto alimentato con la trasgressione, in quanto avrebbe sancito che ognuno ha pure il diritto di mettere in pratica la non repressività anche all’interno del Sistema Costituito; ciò sarebbe passato attraverso lo sdoganamento delle droghe, della promiscuità sessuale, delle stravaganze più estreme nell’abbigliamento – sino al poter girare nudi – e agli espedienti più folli della vita notturna.
Ma nella società costituita, questo genere di proteste si muta in uno strumento di stabilizzazione e perfino di conformismo, poiché non solo lascia intatte le radici del male, ma anche testimonia a favore dell’esistenza di una libertà individuale all’interno della repressione generale. (…) Un tempo questi sfoghi dalla repressione erano privilegio esclusivo – in condizioni normali – di una limitata classe alta, mentre in condizioni eccezionali venivano concessi anche agli strati meno privilegiati della popolazione. In contrasto a ciò, la civiltà industriale avanzata democratizza le autorizzazioni allo sfogo. Questa forma di compenso serve a rafforzare il governo che la consente, e le istituzioni che somministrano il compenso (Herbert Marcuse – prefazione alla edizione paperback di Eros and Civilization – Vintage Books, New York, 1962 – in Giovanni Jervis – introduzione a Eros e Civiltà – Einaudi, 1968).
4: Silvano Arieti, nel suo monumentale studio “Interpretazione della schizofrenia”, ha lucidamente descritto i passaggi nella eziopatogenesi schizofrenica, tra i quali un ruolo scatenante avrebbe lo stress che, agendo su una base biologica già predisposta e vulnerabile, innesca la regressione quale manifestazione di un bisogno di riparare verso uno stato psichico avvertito come meno minaccioso. Il sintomo schizofrenico assume così un ruolo riparatorio, e di auto cura, adattativo, anche se disfunzionale, che protegge l’individuo dall’angoscia della disgregazione/frammentazione. Ne consegue che l’Io rinasce come riparato ma con pezzi mal funzionanti. Una lettura psicodinamica che la revisione attuata dalla cancel culture arcobaleno, che si è impossessata anche del mondo scientifico (vedasi pandemia e porcherie assortite delle industrie farmaceutiche) sta nuovamente dirottando verso un positivismo becero e dispotico, che vorrebbe che tutte le malattie della mente siano solo malattie del cervello (Alfredo Civita – Saggio sul cervello e la mente – Guerini, 1993). Tolta così di mezzo la cultura sociale, che vedeva nella eziopatogenesi delle malattie mentali un forte influsso dell’ambiente, fattori sociali e interpersonali psicodinamicamente interpretabili, si dà libero corso all’uso e alla produzione massiva e alla loro vendita di farmaci, psicofarmaci, azioni esterne e coercitive che non agiscono internamente all’individuo (Julius Evola – Cavalcare la tigre, Mediterranee), e che hanno l’unico “pregio” di ingrassare il potere dei Padroni (è quella che René Guénon ha definito vittoria della Quantità sulla Qualità).
Se, sino a pochi anni fa, prima dell’imporsi dell’economia virtuale, e del capitalismo finanziario, reggeva ancora la visione sociale della malattia mentale elaborata sin dalla fine degli Anni’50 e arrivata sino a noi con il pensiero anti psichiatrico (Cooper, Laing, Basaglia, ecc…), al presente si deve riconoscere – in maniera allarmante – quanto il potere revisionista insediato in questa nuova forma di economia (sostenuta e lasciata al suo libero corso distruttivo dalla cultura arcobaleno, che le fornisce il carburante necessario al suo divenire storico, grazie al potente lavoro di manipolazione delle idee di massa attraverso l’accentramento dei vari canali istituzionalizzati, arte cultura informazione editoria), sia stato capace non solo di distruggere la cultura letteraria e filosofica (coi suoi riferimenti storici) ma la stessa cultura della Cura e della Salute in ambito medico, vanificando gli sforzi di quanti (Basaglia ad esempio) con la Legge 180 abbiano lottato per garantire alla Salute lo status di Diritto Pubblico Fondamentale (istituzione del SSN, che attualmente sta cadendo sotto i colpi della privatizzazione).
Ciò che di recente Mark Fisher ha definito come “privatizzazione della malattia mentale” crediamo possa essere il risultato metapolitico di una cultura revisionista – nichilista, individualista – (cancel culture arcobaleno di derivazione finanzcapitalista) che ormai da parecchi anni, con l’imporsi delle neuroscienze e del DSM a sostegno della farmacologia, della privatizzazione, sta avendo l’effetto di riportare l’individuo in se stesso, entro confini e responsabilità del tutto auto centrate, che escludono a priori una vitale osmosi e interconnessione fra individui, ovvero, che hanno il potere disgregante di far morire la Società come aggregato organico di persone. Da qui la solitudine delle masse, la loro manipolabilità e ricattabilità, la loro enorme fragilità. E badiamo bene a questo concetto di “fragilità”. E’ un concetto cavalcato e iper celebrato da quello stesso Potere Arcobaleno che l’ha prodotto! (essere resilienti di fronte alle continue inculate del Potere, ma più noi siamo resilienti, più il Potere continua a mettercelo nel culo. Una buona volta, bisognerebbe smettere di essere resilienti, interrompere il circolo vizioso che alimenta la spirale della sopraffazione, scioperare e lottare per i VERI DIRITTI, non quelli virtuali accampati dalle varie starlettine della politica made in raimbow).
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ARTICOLO CORRELATO: L’Alienazione dell’Arte Il Conformismo Sociale e Politico nella Distopia Contemporanea
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
Arendt Hannah – Vita activa – Bompiani, 2017.
Barbiellini Amidei Gaspare – New Age Next Age – Piemme, 1998.
Bartolini Sigfrido – La grande impostura – fasti e misfatti dell’arte moderna e contemporanea – Polistampa, 2003.
Binswanger Ludwig – Melanconia e mania – Boringhieri, 1977.
Burgess Anthony – 1984 & 1985 – Editoriale Nuova, 1979.
Castelli Enrico – Introduzione ad una fenomenologia della nostra epoca – Fussi, 1948.
Cooper David – Grammatica del vivere – Feltrinelli, 1976.
De Benoist Alain, Giaccio Giuseppe, Preve Costanzo – Dialoghi sul presente – Controcorrente, 2005.
Della Luna Marco, Cioni Paolo – Neuroschiavi – Macro, 2013.
Dichter Ernest – La strategia del desiderio – Garzanti, 1963.
Evola Julius – Cavalcare la tigre – Mediterranee (con un saggio di Stefano Zecchi).
Evola Julius – Civiltà americana – Controcorrente, 2010.
Fisher Mark – Realismo capitalista – Nero, 2018.
Ferrieri Luca – Il lettore a(r)mato vademecum di autodifesa – postfazione di Goffredo Fofi – Stampa alternativa millelire, 1993.
Flick Giovanni Maria – Elogio della città? – Paoline, 2019.
Fromm Erich – Avere o Essere? – Mondadori 1999.
Frosini Vittorio – L’uomo artificiale – Spirali, 1986.
Gramigna Giuliano – La menzogna del romanzo – Garzanti, 1980.
Huxley Aldous – Il mondo nuovo – Mondadori, 1971.
Kohut Heinz – Potere, coraggio e narcisismo – Astrolabio, 1986.
Leary Timothy – Caos e cibercultura – Urra Apogeo, 1994.
Marcuse Herbert – Eros e civiltà – Einaudi, 1968.
Marcuse Herbert – L’uomo a una dimensione – Einaudi, 1976.
Orwell George – 1984 – Mondadori, 1973.
Paris Renzo – Il mito del proletariato nel romanzo italiano – Garzanti, 1977.
Pasquino Gianfranco – Critica della Sinistra italiana – Laterza, 2001.
Reich Wilhelm – la rivoluzione sessuale – Feltrinelli, 1975.
Sylos Labini Paolo – Ahi serva Italia (un appello ai miei concittadini – a cura di Roberto Petrini) – Laterza, 2006.
Zola Émile – Germinale
Zola Émile – L’assommoir
UN MOMENTO DI PREGHIEA (una suggestione, che qui vorrei tradurre in musica, quale valore metafisico, il Ritorno al Gotico, all’elevazione superiore – non necessariamente religiosa – in antitesi alla supremazia delle cose orizzontali – Chiese e Cattedrali di granito al posto di Supermercati di plastica):
UNA LETTURA ASSOLUTAMENTE SCORRETTA CHE VI CONSIGLIO:
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Godi quando gli anormali son trattati da criminali
E chiuderesti in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali
Ami ordine e disciplina, adori la tua Polizia
Tranne quando deve indagare su di un bilancio fallimentare
Sai rubare con discrezione, meschinità e moderazione
Alterando bilanci e conti, fatture e bolle di commissione
Sai mentire con cortesia, con cinismo e vigliaccheria
Hai fatto dell’ipocrisia la tua formula di poesia
Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
Io non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia
Non sopporti chi fa l’amore più di una volta alla settimana
O chi lo fa per più di due ore o chi lo fa in maniera strana
Di disgrazie puoi averne tante, per esempio una figlia artista
Oppure un figlio non commerciante, o peggio ancora uno comunista, ex
Sempre pronta a spettegolare in nome del civile rispetto
Sempre fissa lì a scrutare un orizzonte che si ferma al tetto
Sempre pronta a pestar le mani a chi arranca dentro a una fossa
E sempre pronta a leccar le ossa al più ricco ed ai suoi cani
Vecchia piccola borghesia, vecchia gente di casa mia
Per piccina che tu sia il vento un giorno, forse, ti spazzerà via.
Claudio Lolli, testo parziale della canzone “Borghesia”, 1972