SOGNANDO LA BEAT GENERATION IN MOSTRA A MILANO
(2005)
In un clima politico e sociale di recrudescenza reazionaria e benpensante come l’attuale, la mostra fotografica sulla generazione Beat allestita alla galleria Photology di via Moscova a Milano (sino al 15 novembre 2005) assume un’importanza capitale, come testimonianza di un periodo fervido per idee di rinnovamento artistico, politico, sociale e ideologico, come è stato quello a cavallo tra gli Anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Cosa è stata la Beat Generation? Quale importanza ha avuto negli ultimi 55 anni di storia letteraria e culturale? Come ha inciso sui linguaggi e sulle successive forme di Arte? Unanimemente il movimento Beat deve il suo iniziale moto propulsore al giovanile spirito di rottura inaugurato già dai Teddy Boys, prima forma post bellica di contestazione delle istituzioni tradizionali – famiglia, padre, stato – che ebbe in Elvis Presley la sua icona trasgressiva e anti istituzionale. I Beat dovevano però attingere da altre fonti di ispirazione, per arrivare a decretare i nuovi valori e modelli di comportamento – pace, amore, spiritualità, ovvero: Beat, il battito del cuore: la scuola di Big Sur (alta California),la figura di Henry Miller, avrebbero decisamente influito sull’assetto estetico e contenutistico della nuova Arte Beat. Anche lo scenario culturale europeo, dominato dall’esistenzialismo, avrebbe non poco influito sul pensiero di scrittori e artisti Beat, come Jack Kerouac e Allen Ginsberg (Autore, quest’ultimo, degli scatti messi in mostra alla Photology). Da questi teneri, innamorati e delicati bianco/nero, emerge uno spirito tutto intimista e psicologico di documentare – anche se allora Allen Ginsberg non poteva prevedere la risonanza che avrebbe avuto il movimento negli anni a venire – i momenti di vita, di amicizia e di amore all’interno del gruppo: vi sono ritratti e primi piani di Jack Kerouac, di William Borroughs, di Gregory Corso, di Peter Orlowski e Dean Cassady, il vero ispiratore di “On The Road”. Viene familiare il gesto di toccare con la punta delle dita la fotografia, nel vedere le strade, le abitazioni, gli oggetti e le insegne dei negozi cui erano abituati i grandi “Vagabondi del Dharma”. Tangeri, l’Oriente, ecco alcuni spaccati di vita Beat ripresi dall’occhio di un Ginsberg fotografo prima ancora che poeta, un Ginsberg inedito che ci commuove.
Tangeri ospitò, negli anni della “Interzona”, molti artisti e intellettuali stranieri, esiliati, spie, eccentrici di ogni tipo. Anche i Beat vi soggiornarono. La Beat Generation esplose con le poesie di Allen Ginsberg, i romanzi di Jack Kerouac e William Burroughs. Sull’onda delle note jazz, i Beat strapparono il velo del perbenismo borghese post-bellico. Scuotendo alla radice l’America dei lindi sobborghi con i papà al lavoro e le mamme a casa. I Beat vollero sfidare con amore pace e eguaglianza l’America dell’anticomunismo isterico e del patriottismo militarista. Nel 1956 esce l’Urlo di Ginsberg, nel 1957 Sulla Strada di Kerouac, nel 1959 Il Pasto Nudo di Burroughs. Questo fuoco di fila generò scandalo, curiosità, indignazione, ammirazione. Molti giovani, milioni di giovani, ancora oggi, seguono quella voglia di una vita libera e anticonformista, il sogno Beat sta continuando da cinquant’anni. E forse l’aria distratta e accogliente di Tangeri, fu la ragione che attrasse questa banda colorata ed eclettica di artisti e intellettuali. I caffè e le vie di Tangeri portano ancora il segno della presenza di questi intellettuali: all’hotel El-Muniria Burroughs ambientò il Pasto Nudo, trascorrendo poi il tempo al Cafè Central, mentre, presso l’Hotel Continental, Bertolucci ambientò parte del suo film “il te nel deserto”, capolavoro tratto dal romanzo di Paul Bowles. Il Café Hafa è stato un luogo di culto per Rolling Stones, Beatles e Hendrix.
In queste foto si percepisce soprattutto il forte spirito di gruppo che accomunò questi allora giovani artisti, animati dal medesimo spirito anticonformista, antiautoritario, incline alla psicologia e alla ricerca di un senso alle cose, ricercatori di una società aperta e collettivamente antifascista (G. C. Marino).
La cultura eversiva e esistenzialmente sperimentale di cui si facevano portavoce i Beat, ci colpisce subito alla Photology con alcuni autoritratti nudi di un Ginsberg senza veli, che espone all’occhio dell’obiettivo il suo corpo non di certo da fotomodello, tanto meno glamour, come si direbbe oggi. C’è, nelle foto che aprono la mostra, un desiderio di ribellione deflagrante. Ribellione da certi schemi estetici e morali che i Beat hanno cercato – forse senza riuscirci del tutto – di scardinare attraverso la potenza della poesia e dell’amore, il desiderio di riformare la società con la ricerca spasmodica di un ritmo incalzante, nella vita come nell’arte, che divenne quello del jazz di Charlie Parker, The Bird.
Musica, ritmo in poesia e in prosa, ricerca di un ideale estetico e morale che andasse oltre i limiti del precofenzionato mondo piccolo borghese, limite contro cui, senza tanti danni al potere costituito, in fondo andava a infrangersi il rock’n’roll, ma che il jazz nero riusciva ad aggirare con le sue sonorità cariche di una disperazione che solo dai ghetti poteva uscire, erano la miscela di cui si nutrirono i Beat, nella loro ascesa verso il Dharma. La lotta verso le ingiustizie sociali e il sogno di un mondo senza disuguaglianze alimentarono i “Primi blues” scritti da Allen Ginsberg e Bob Dylan, insieme alle allucinate visioni di un Burroughs che tanti legami aveva con la cultura francese, vedasi la sua amicizia con Jean Genet.
Cuore, battito cardiaco, impulso vitale e espansivo, ricerca di una bellezza pura al di là della quotidiana mancanza di senso del reale, novella e profezia di un’epoca di ribellione che, forse, attraverso la recente testimonianza di Bukowski, dei cyberpunk, dei no-global, non è ancora morta, o meglio, non è ancora morta del tutto, la Beat Generation ha attraversato in maniera sensazionale, senza ossidarsi, senza mai perdere di attualità, gli ultimi 55 anni di storia culturale. Come non ringraziare questi ragazzacci, per averci donato la dorata e intramontabile cultura di un sogno che vede nella strada, nell’infinito, il suo magico esplicarsi attraverso le forme del viaggio?
©, 2005
JACK HIRSCHMAN A MILANO – SOGNANDO CALIFORNIA E PACE
questa pagina contiene alcuni collegamenti esterni il cui contenuto informazioneecultura.it ha verificato solo al momento del loro inserimento; informazioneecultura.it non garantisce in alcun modo sulla qualità di tali collegamenti, qualora il loro contenuto fosse modificato in seguito.