Elementi di Psicopedagogia del linguaggio e della comunicazione
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Elementi di Psicopedagogia del linguaggio e della comunicazione
La comunicazione svolge una funzione fondamentale nella vita umana e nell’ordinamento sociale. Fin dall’inizio della sua esistenza, l’uomo è coinvolto in un processo d’acquisizione delle regole sulla comunicazione, ma, di questo corpo di regole, molto spesso, è consapevole solo in minima parte.
La comunicazione è importante a diversi livelli e per diversi motivi: ad esempio, risponde a bisogni di tipo fisico. La sua assenza o presenza può incidere sulla salute della persona. Inoltre, favorisce un senso d’identità, perché il nostro senso d’identità si basa su come interagiamo e sui messaggi e le definizioni che altre persone per noi significative inviano.
Risponde anche a bisogni di tipo sociale, quali il senso d’appartenenza e di coinvolgimento con altri, e bisogni di tipo pratico e strumentale, come chiedere informazioni, parlare con un medico, ecc.
Nonostante la grande importanza della comunicazione non si è ancora riusciti a trovare un accordo sulla sua definizione.
Indicativamente la si può definire in base a due caratteri fondamentali:
– Consapevolezza e intenzionalità, che possono essere accentuate o ridotte;
– Processo, poiché la comunicazione viene considerata come un sistema che coinvolge più soggetti sociali in una serie d’eventi.
Nell’ambito degli studi sulla comunicazione si sono succeduti diversi modelli teorici tra cui ricordiamo:
– Il modello tradizionale;
– Il modello interattivo;
– Il modello dialogico;
Il modello tradizionale è un modello di tipo lineare, in cui la comunicazione viene considerata come un comportamento spiegabile secondo la logica dello Stimolo-Risposta.
L’emittente del messaggio: ordina le sue conoscenze in funzione delle informazioni da trasmettere e le codifica servendosi di un apparato lessico-sintattico.
Il messaggio: è visto come informazione trasparente e codificata, sulla base dell’assunzione di una perfetta reversibilità delle operazioni di codifica e di decodifica, e quindi di una compatibilità tale da rendere possibile la comprensione senza problemi.
Il ricevitore: è una “macchina” di decodifica, passivo e muto.
Il modello lineare introduce anche il concetto di rumore, inteso come qualsiasi forza che interferisce con una comunicazione efficace.
Il rumore può essere di tre tipi:
1. Esterno: che comprende tutti quei fattori al di fuori del ricevitore che impediscono una perfetta percezione di quanto viene detto o trasmesso;
2. Fisiologico: che consiste in quei fattori biologici che interferiscono con una ricezione accurata, come ad esempio una malattia o una momentanea perdita dell’udito;
3. Psicologico: che si riferisce a quelle forze interne a chi comunica che interferiscono con l’abilità di esprimere o capire un messaggio.
Studi successivi hanno superato questo schema semplice, introducendo concetti come quello di feedback, cioè la risposta del ricevente, che consente all’emittente di capire se il proprio messaggio è stato recepito e di apporvi, se necessario, delle modifiche.
Anche questo modello, chiamato interattivo, tuttavia, non è del tutto soddisfacente, poiché tende a presentare la comunicazione come un’attività statica, in cui avvengono atti separati di comunicazione con un inizio e una fine in momenti precisi.
Questo “problema” si può considerare che venga risolto dal modello dialogico in cui si assume che gli interlocutori siano contemporaneamente emittenti e riceventi durante l’interazione.
In questo tipo di modello la comunicazione è vista come un processo in cui i soggetti creano una relazione interagendo l’uno con l’altro, e contribuendo a creare congiuntamente il significato degli scambi, a realizzare un progetto comunicativo comune.
La Pragmatica della comunicazione viene però ricondotta al modello interattivo.
L’uso moderno della parola pragmatica viene ricondotta al filosofo Morris che si preoccupò di distinguere all’interno della teoria dei segni, o semiotica, tre indirizzi di ricerca:
1. La sintassi, o studio delle relazioni formali di un segno con l’altro;
2. La semantica, o studio delle relazioni dei segni con gli oggetti cui si applicano;
3. La pragmatica, o studio delle relazione dei segni con gli interpretanti.
Successivamente (secondo Levinson) il termine pragmatica è stato usato in due modi ben distinti, da una parte si è conservato il senso attribuitogli da Morris, dall’altro il suo significato si è progressivamente ristretto ad indicare lo studio degli aspetti della lingua che esigono il riferimento agli utenti della lingua stessa.
Tra gli autori che vogliono mostrarci come una prospettiva pragmatica consenta di andare più a fondo nella comprensione della comunicazione, ricordiamo: Bateson, Watzlawick, Beavin e Jackoson che sono appunto gli autori del libro “La Pragmatica della comunicazione umana”.
Questi autori definiscono alcune proprietà semplici della comunicazione che hanno fondamentali implicazioni interpersonali, sono proprietà che hanno natura di assiomi, cioè affermazioni basilari, non dimostrabili della teoria.
Si tratta in specifico di 5 assiomi:
1. Non si può non-comunicare;
2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione in modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione;
3. La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione;
4. Gli esseri umani comunicano sia con un modulo numerico sia con quello analogico;
5. Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.
Tutti gli assiomi della comunicazione implicano delle patologie ad essi inerenti.
1° ASSIOMA: Non si può non comunicare
Anche se si cerca di non-comunicare è impossibile non comunicare perché si comunica anche attraverso il comportamento ed è impossibile non avere un comportamento. L’intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio.
L’importanza di non-comunicare è un fenomeno che riveste un interesse più che teorico, ad esempio è parte integrante del “dilemma” schizofrenico.
Se il comportamento schizofrenico è osservato lasciando in sospeso ogni considerazione eziologia, sembra che lo schizofrenico cerchi di non-comunicare.
Ma poiché anche il silenzio, il ritrarsi e ogni altra forma di diniego è comunicazione, lo schizofrenico si trova di fronte al compito impossibile di negare che egli sta comunicando e al tempo stesso negare che il suo diniego è comunicazione.
Ma il tentativo di non-comunicare, non è un comportamento riscontrabile solo in casi di schizofrenia. Il campo dove più si estendono le sue implicazioni è quello dell’interazione umana.
Una situazione tipica è l’incontro tra due estranei di cui uno vuol comunicare, mentre l’altro no.
Le reazioni possibili sono poche:
– Rifiuto della comunicazione: con maniere più o meno brusche il passeggero A può far capire al passeggero B che non vuole comunicare;
– Accettazione della comunicazione: A si rassegna a conversare con B;
– Squalificazione della comunicazione: A può comunicare in modo da invalidare le proprie comunicazioni o quelle dell’altro. Rientrano in questa tecnica fenomeni quali: la contraddizione, il cambiare argomento, dire frasi incoerenti e incomplete;
– Sintomo come comunicazione: A può ricorrere a difendersi dalla loquacità di B facendo finta di avere sonno, di essere sordo o ubriaco, di non conoscere la lingua. La teoria della comunicazione giudica un sintomo come un messaggio non verbale: “Non sono io che non voglio fare questo, è qualcosa che non posso controllare”.
2°ASSIOMA: Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione in modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione.
Ogni atto comunicativo non solo trasmette informazioni, ma al tempo stesso impone un comportamento. Ogni comunicazione ha quindi un aspetto di notizia e uno di comando:
o La notizia trasmette i dati della comunicazione;
o Il comando trasmette il modo in cui si deve assumere tale comunicazione.
ESEMPI DI METACOMUNICAZIONE:
– Questo è un ordine;
– Sto solo scherzando.
La capacità di metacomunicare in modo adeguato è la conditio sine qua non della comunicazione efficace, ma è anche strettamente collegata al problema della consapevolezza di sé e degli altri.
ESEMPIO: marito invita un amico, questo invito è causa di litigio con la moglie.
Perché?
Entrambi i coniugi erano d’accordo sul fatto che l’amico bisognava invitarlo, non erano invece d’accordo a livello di metacomunicazione.
Sorgono due punti in questione:
a) come agire adeguatamente in una certa situazione pratica? In questo punto è possibile comunicare con un modulo numerico;
b) la relazione tra i due comunicanti è un punto non risolvibile con un modulo numerico, perché richiedeva che i coniugi fossero in grado di parlare sulla loro relazione.
NON ERANO D’ACCORDO A LIVELLO DI METACOMUNICAZIONE, MA LO ERANO A LIVELLO DI CONTENUTO.
La confusione tra l’aspetto di contenuto e quello di relazione è un fenomeno molto frequente.
In questo esempio il terapeuta si rende subito conto della pseudomancanza d’accordo dei coniugi, ma a loro, tutto questo sembra un fatto del tutto nuovo.
Il disaccordo può presentarsi a livello di contenuto o a livello di relazione, le due forme dipendono però l’una dall’altra.
L’accordo a livello di contenuto mette chiaramente in luce il disaccordo a livello di relazione, rinvia cioè al regno della metacomunicazione.
A livello di relazione gli individui non comunicano sui fatti esterni alla relazione, ma definiscono la relazione e implicitamente se stessi.
P dà la definizione di sé a O
Può farlo in diversi modi, ma qualsiasi cosa comunichi e in qualunque modo lo faccia, in sostanza dice sempre: “ ECCO COME MI VEDO”.
O ha tre possibili reazioni:
CONFERMA
Accettare la definizione che P da di sé. Questo è importantissimo per lo sviluppo di stabilità mentali. Gran parte delle comunicazioni hanno proprio questo scopo, l’uomo sente il bisogno di comunicare per avere una maggiore consapevolezza di sé.
RIFIUTO
Rifiutare la definizione che P da di sé: “tu hai torto”. Ma il rifiuto presuppone il riconoscimento, sia pure limitato, di quanto si rifiuta e quindi esso non nega necessariamente la realtà del giudizio di P su di sé.
DISCONFERMA
Questa terza possibilità è la più importante sia per la Pragmatica della comunicazione umana che per la psicopatologia.
La disconferma è completamente diversa dal rifiuto, in quanto essa porta alla perdita del sé.
Essa non si occupa della verità o della falsità della definizione che P dà di sé, ma nega la realtà di P come emittente di tale definizione. La disconferma sostanzialmente dice: “tu non esisti”.
– LIVELLI DI PERCEZIONI INTERPERSONALI:
Analizzando la comunicazione a livello di relazione, abbiamo detto che alla definizione che P da di sé possiamo avere tre possibili reazioni da parte di O:
a) CONFERMA;
b) RIFIUTO;
c) DISCONFERMA.
Queste tre reazioni hanno un denominatore comune, con ognuna di esse O comunica a P : “ECCO COME TI VEDO”
P: Ecco come mi vedo.
O:Ecco come ti vedo.
P : Ecco come vedo che tu mi vedi.
O: Ecco come vedo che mi vedi che ti vedo.
Questa catena in teoria è infinita, si giunge a contesti di comunicazione la cui complessità è sconcertante, ma essi, tuttavia, hanno conseguenze pragmatiche specifiche.
La disconferma del sé da parte dell’altro, è soprattutto la conseguenza di una particolare mancanza di consapevolezza delle percezioni interpersonali a cui Lee da il nome di impenetrabilità.
L’aspetto del fenomeno che ci interessa è quello della consapevolezza e non consapevolezza.
Che ciascuna parte si renda conto del punto di vista dell’altro, è la condizione che consente una interazione efficace e non disturbata.
Due livelli di impenetrabilità:
1° Livello:
P: “Ecco come mi vedo”.
O: “Ecco come ti vedo”.
A questo livello è possibile che P pensi che O non lo capisca, mentre O da parte sua può presumere che P si senta capito.
In questo caso O non è in disaccordo con P, ma ignora o fraintende il messaggio di P.
2° Livello:
P non si accorge che il suo messaggio non è giunto ad O. In questo caso all’impenetrabilità si reagisce con l’impenetrabilità.
3° ASSIOMA: La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione.
Gli scambi comunicativi non costituiscono una sequenza ininterrotta, ma sono organizzati proprio come se seguissero una sorta di punteggiatura; è possibile in tal modo identificare le sequenze di chi parla e di chi risponde, definire ciò che si considera come “causa” di un comportamento, distinguendolo dall’ “effetto”.
I modi di punteggiare una sequenza di eventi sono molto diversi e quindi possono generare conflitti di relazione.
Le discrepanze relative alla punteggiatura delle sequenze di comunicazione si presentano in tutti quei casi in cui almeno uno dei comunicanti non ha lo stesso grado di informazione dell’altro, senza tuttavia saperlo.
Oltre ad avere lo stesso grado di informazioni sarebbe opportuno che si tragga una stessa conclusione.
4° ASSIOMA: Gli esseri umani comunicano sia con un modulo numerico, sia con un modulo analogico.
Il linguaggio numerico riguarda l’uso di parole, il linguaggio analogico consiste invece in tutte le modalità della comunicazione non verbale ( gesti, espressioni del volto, inflessioni della voce, sequenza del ritmo e cadenza delle stesse parole) che servono soprattutto a trasmettere gli aspetti relativi alla relazione tra i partecipanti.
L’attività di comunicare comporta anche la capacità di coniugare questi due linguaggi e di tradurre dall’uno all’altro i messaggi ricevuti e quelli da trasmettere.
In entrambi i casi è difficile tradurre e si possono compiere alcuni errori.
In particolare, quando si traduce da un linguaggio numerico ad uno analogico, in quanto il linguaggio analogico manca di molti elementi che invece il linguaggio numerico ha. Quindi bisogna aggiungerli durante la traduzione.
Uno degli errori fondamentali che si compiono quando si traduce, da un modulo di comunicazione ad un altro, è quello di supporre che un messaggio analogico sia per natura assertivo o denotativo.
Nel tradurre da un messaggio analogico a uno numerico, bisogna aggiungere funzioni di verità logiche che mancano al modulo analogico. Tale assenza si nota maggiormente quando si deve negare nel qual caso equivale sostanzialmente alla mancanza del “non “numerico.
5° ASSIOMA: Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.
L’interazione simmetrica è caratterizzata dall’uguaglianza, e si ha questo tipo di interazione quando un comportamento di un membro tende a rispecchiare quello dell’altro.
Le relazioni complementari sono invece caratterizzate dalla differenza esistente tra le persone: un partner assume una posizione superiore (one-up) e l’altro assume una posizione inferiore (one-down). Come ogni altro modello di comunicazione, anche la SIMMETRIA e la COMPLEMENTARIETA’ hanno le loro patologie potenziali.
In una relazione simmetrica è sempre presente il pericolo della competitività. Si può osservare che l’uguaglianza sembra essere più rassicurante se si riesce ad essere un po’ più uguali degli altri. Questa è una tendenza a cui si deve la qualità tipica di escalation simmetrica una volta che si abbia perduto la stabilità.
La patologia dell’interazione simmetrica è quindi caratterizzata da uno stato di guerra più o meno aperto o scisma.
In una relazione simmetrica sana i partner sono in grado di accettarsi come sono il che li porta alla fiducia e al rispetto reciproci ed equivale ad una conferma dei rispettivi sé.
Quando in una relazione simmetrica si arriva ad una rottura si osserva che il partner rifiuta piuttosto che disconfermare il sé dell’altro.
Nelle relazioni complementari ci può essere la stessa conferma sana e positiva.
In caso di rottura, le patologie delle relazioni complementari equivalgono a disconferma piuttosto che a un rifiuto del Sé dell’altro.
o I modelli d’interazione simmetrica o complementare si possono stabilizzare a vicenda. I cambiamenti da un modello all’altro sono importanti meccanismi omeostatici;
o In teoria si può ottenere un cambiamento terapeutico introducendo durante il trattamento la simmetria nella complementarietà e viceversa;
o Questa pratica è in realtà molto difficile in quanto i partecipanti preferiscono sopportare i mali che hanno piuttosto che trovarne altri che non conoscono.
L’ORGANIZZAZIONE DELL’INTERAZIONE UMANA
L’interazione può essere considerata come un sistema e la teoria generale dei sistemi ci può aiutare a capire i sistemi interattivi.
– definizione di sistema: Secondo Hall e Fagen, si definisce sistema, un insieme di oggetti e di relazioni tra gli oggetti e i loro attributi.
OGGETTI: componenti o parti del sistema;
ATTRIBUTI: proprietà degli oggetti;
RELAZIONI: tengono insieme il sistema.
Gli autori in ultima analisi, fanno poi rilevare che ogni oggetto è specificato dai suoi attributi.
Quando si definisce un sistema è importante definire anche il suo ambiente; sempre secondo Hall e Fagen: “ L’ambiente di un dato sistema è costituito da tutti gli oggetti che sono tali, che un cambiamento nei loro attributi, influenza il sistema e anche di quegli oggetti i cui attributi sono cambiati dal cambiamento del sistema”.
I sistemi aperti hanno inoltre alcune proprietà formali, tra cui:
– totalità;
– retroazione;
– equifinalità;
TOTALITA’
Ogni parte di un sistema è in rapporto tale con le parti che lo costituiscono, che qualunque cambiamento in una parte causa un cambiamento in tutte le parti e in tutto il sistema.
Un corollario della totalità è la non – sommatività : un sistema non può essere fatto coincidere con la somma delle sue parti.
Un’altra teoria dell’interazione contraddetta dalla totalità è quella dei rapporti unilaterali tra elementi, cioè che A può influenzare B, ma non viceversa.
RETROAZIONE
La retroazione è un nuovo modo di vedere le cose.
Mentre nel modello tradizionale si considerava solo la comunicazione A B, con il modello interattivo si tiene anche in considerazione la risposta di B.
La RETROAZIONE può essere di due tipi:
1.positiva;
2 negativa.
La retroazione positiva genera un cambiamento, quindi una perdita di stabilità, la retroazione negativa genera invece omeostasi.
I sistemi interpersonali possono essere considerati circuiti di retroazione: il comportamento di una persona influenza ed è influenzato dal comportamento di un’altra persona.
L’OMEOSTATO ottiene la stabilità mediante una ricerca casuale delle sue combinazioni e continua questa ricerca fino a quando non trova una configurazione esterna adatta.
EQUFINALITA’
Secondo il principio dell’equifinalità gli stessi risultati possono avere origini diverse perché ciò che è determinante è la natura dell’organizzazione.
LA FAMIGLIA IN QUANTO SISTEMA
Le teoria delle regole di famiglia è concorde con la definizione di sistema secondo cui: “ un sistema è stabile rispetto a certe sue variabili se tali variabili tendono a restare entro limiti definiti”.
l’interazione umana può essere considerata come un sistema di comunicazione, caratterizzato dalle proprietà dei sistemi generali: il tempo in quanto variabile, i rapporti sistema – sottosistema, la totalità, la retroazione, l’equifinalità.
TOTALITA’ : il comportamento di ogni individuo all’interno della famiglia è in rapporto con il comportamento di tutti gli altri membri, ogni comportamento è comunicazione e quindi influenza gli altri e ne è influenzato.
Esempio: coppia marito analfabeta.
Il terapeuta aveva sottovalutato la natura interattiva del disturbo ed eliminandolo aveva modificato la loro relazione complementare.
NON – SOMMATIVITA’ :
L’analisi di una famiglia non è la somma delle analisi dei suoi membri individuali. Esistono delle caratteristiche che sono proprie del sistema, cioè dei modelli interattivi che trascendono le qualità dei membri individuali. Molte qualità individuali dei membri, soprattutto a livello sintomatico, sono proprie del sistema.
RETROAZIONE E OMEOSTASI
Il sistema familiare reagisce ai dati in ingresso e li modifica. Si deve considerare la natura del sistema e dei suoi meccanismi di retroazione come pure la natura dei dati in ingresso ( equifinalità). Alcune famiglie riescono a incassare colpi di grandi disgrazie e magari a trasformarli in elementi che le rendono anche più unite; altre sembrano incapaci di superare anche le crisi più insignificanti.
Ancor più grave è il caso di quelle famiglie di schizofrenici che sembrano incapaci di accettare le inevitabili manifestazioni di maturità del loro figlio, e che reagiscono a tali deviazioni etichettandole “malate” o “cattive”.
Omeostasi: due funzioni
1) fine: quando esiste una certa costanza davanti al cambiamento;
2) mezzo: quando i meccanismi di retroazione negativa agiscono per minimizzare il cambiamento.
L’ambiguità di questo doppio uso e la vasta gamma di applicazioni hanno diminuito la sua utilità come precisa analogia o principio esplicativo . Attualmente è più chiaro far riferimento allo stato stazionario o alla stabilità di un sistema, che in genere è mantenuta da meccanismi di retroazione negativa.
I sistemi interattivi in corso possono essere considerati il centro naturale per studiare l’impatto pragmatico a lungo termine dei sistemi di comunicazione.
LA COMUNICAZIONE PARADOSSALE
Alcune delle più importanti conquiste che la logica, la matematica e l’epistemologia hanno compiuto, hanno a che fare con il paradosso.
Dalla nostra posizione di outsider, tali argomenti tendiamo a metterli da parte giudicandoli troppo astratti perché abbiano importanza con la nostra vita, ma c’è qualcosa nella natura del paradosso che ha, per tutti, un’importanza immediatamente pragmatica e anche essenziale.
Il paradosso non solo pervade e influenza il nostro comportamento e la nostra salute mentale, ma sfida anche la nostra fede nella coerenza e quindi nella fermezza ultima del nostro universo. Inoltre il paradosso intenzionale ha un importante potenziale terapeutico.
Innanzitutto definiamo il paradosso come: una contraddizione che deriva dalla deduzione corretta da premesse coerenti.
Questa definizione ci consente di escludere tutte quelle forme di paradossi falsi che si basano su un errore nascosto sul ragionamento o su qualche fallacia intenzionale incorporata nella discussione.
sussistono tre tipi di paradossi:
v PARADOSSI LOGICO-MATEMATICI (antinomie);
v DEFINIZIONI PARADOSSALI (antinomie semantiche);
v PARADOSSI PRAGMATICI (che sono quelli che più ci interessano, e includono: le ingiunzioni paradossali e le predizioni paradossali).
PARADOSSI LOGICO-MATEMATICI:
Stegmüller definisce una antinomia come una asserzione che è sia contraddittoria che dimostrabile.
Esempio:
1°asserzione: Sj;
2° asserzione: – Sj ( che è la negazione della prima).
Le due asserzioni si possono combianare ad una 3° asserzione: Sk in cui:
Sk = Sj& – Sj
Si ha quindi una contraddizione formale, perché nulla può essere se stesso e non esserlo. Ma se si può mostrare mediante una deduzione che cia Sj che la sua negazione – Sj sono dimostrabili, allora anche Sk è dimostrabile e si ha un’antinomia.
Il più fanoso paradosso di questo gruppo è sulla “classe di tutte le classi che non sono membri di se stesse”.
Esso si basa sulle seguenti premesse:
CLASSE: totalità di tutti gli oggetti che hanno le stesse proprietà.
Esempio: la classe di tutti i gatti contiene tutti i gatti, passati, presenti e futuri.
Tutti gli oggetti che restano nell’universo si può considerare la classe dei non-gatti, perché tutti gli altri oggetti hanno in comune la proprietà definita: essi non sono gatti.
Quindi ogni asserzione che implichi che un oggetto appartiene ad entrambe le classi, sarebbe una semplice contraddizione.
Ma le classi possono essere o non essere membri di se stesse:
la classe di tutti i concetti, è essa stessa un concetto mentre la classe dei gatti non è essa stessa un gatto.
Quindi l’universo è diviso in due classi, quelle che sono membri di se stesse e quelle che non lo sono.
M = classi membri di se stesse;
N = classi non membri di se stesse.
Quindi se la classe N è membro di se stessa, non è un membro di se stessa, perché è la classe delle classi che non sono membri di se stesse. Se invece la classe N non è membro di se stessa è membro di se stessa perché è la classe delle classi non membri di se stesse.
DEFINIZIONI PARADOSSALI
Vi è poi una seconda classe di paradossi che differiscono dalle antinomie in un unico aspetto: non si presentano nei sistemi logico-matematici, ma derivano da certe incoerenze nascoste nella struttura di livello del pensiero e del linguaggio. Si tratta delle definizioni paradossali.
La più famose delle antinomie semantiche è: “IO STO MENTENDO”.
Se seguiamo questa asserzione fino a conclusione logica troviamo che è vera solo se non è vera. L’uomo mente solo se dice la verità e dice la verità solo se mente.
In questo caso però non si può usare la teoriadei tipi logici per eliminare l’antinomia, perché le parole e le combinazioni di parole non hanno una gerarchia di tipo logico. Russel trova una soluzione dicendo che: “ ogni linguaggio ha una struttura della quale nulla può dirsi in quel linguaggio, ma vi può essere un altro linguaggio che tratti della struttura del primo linguaggio e possegga a sua volta una nuova struttura. Una tale gerarchia di linguaggi può non avere alcun fine”.
Al livello più basso del linguaggio, le asserzioni vengono fatte sugli oggetti: linguaggio oggetto. Ma nel momento in cui vogliamo dire qualcosa su questo linguaggio, dobbiamo usare un metalinguaggio, e un metametalinguaggio se vogliamo parlare su questo metalinguaggio e così via.
Applicando questo concetto alla semantica del mentitore ci si rende conto che la sua asserzione “io sto mentendo” purché costituita soltanto da tre parole, contiene due asserzioni. Una a livello oggetto e l’altra al metalivello e dice qualcosa su quella a livello oggetto.
PARADOSSI PRAGMATICI
Il paradosso è una contraddizione logica che deriva dalle deduzioni coerenti di premesse corrette.
Dei tre tipi di paradosso, quelli che più ci interessano sono i paradossi pragmatici per via delle loro implicazioni comportamentali.
I paradossi pragmatici si distinguono dalla semplice contraddizione perché nel caso di una contraddizione la scelta è una soluzione, ma nei paradossi pragmatici non è possibile fare una scelta.
Ci sono due tipi di paradossi:
– le ingiunzioni paradossali che riguardano anche il doppio legame;
– le predizioni paradossali;
Teoria del doppio legame
Bateson, Jackson, Haley e Weakland hanno descritto per primi gli effetti del paradosso nella interazione umana. Questo gruppo di ricerca ha studiato il fenomeno della comunicazione schizofrenica da un punto di vista completamente diverso rispetto a quello di tutte quelle ipotesi secondo cui la schizofrenia è anzitutto un disturbo intrapsichico che poi influenza le relazioni del paziente con gli altri e degli altri con il paziente.
Bateson e i suoi colleghi si chiedono quali sequenze di esperienze interpersonali provocherebbero il comportamento che giustificherebbe la diagnosi di schizofrenia.
Essi ipotizzano che lo schizofrenico viva in un universo in cui le sequenze di eventi sono tali che le sue abitudini di comunicazione non convenzionali in qualche modo saranno appropriate.
Questa ipotesi li ha portati a postulare e a identificare certe caratteristiche essenziali di tale interazione, per cui hanno coniato il nome di “ doppio legame” .
Elementi di un doppio legame:
1) Due o più persone sono coinvolte in una relazione intensa che ha un alto valore di sopravvivenza fisica e/o psicologica per una si esse, per alcune, per tutti;
2) In una simile situazione viene dato un messaggio che è strutturato in modo tale che:
a) asserisce qualcosa;
b) asserisce qualcosa sulla propria asserzione;
c) queste due asserzioni si escludono a vicenda;
Una persona che si trovi in una situazione di doppio legame è probabile che venga punita per aver avuto percezioni corrette e che venga definita “cattiva” o “folle” per aver magari insinuato che esiste una discrepanza tra ciò che vede e ciò che dovrebbe vedere.
Esempio del bambino con il papà arrabbiato:
4) Quando si ha un doppio legame di lunga durata, forse cronico, esso si trasformerà in qualcosa che ci si aspetta, qualcosa di autonomo e abituale che riguarda la natura delle relazioni umane e del mondo in generale.
5) Il comportamento paradossale imposto dal doppio legame ha a sua volta natura di doppio legame e questo porta a un modello di comunicazione autoperpetuantesi.
I doppi legami non sono semplicemente ingiunzioni contraddittorie, ma veri paradossi.
Per riassumere: la distinzione più importante tra ingiunzioni contraddittorie e paradossali è la seguente:
Di fronte a un’ingiunzione contraddittoria si sceglie un’alternativa e si perde l’altra alternativa. L’ingiunzione contraddittoria offre almeno la possibilità di compiere una scelta logica. L’ingiunzione paradossale invece fa fallire la scelta stessa, nulla è possibile, e viene messa in moto una serie oscillante e autoperpetuantesi. Elementi di Psicopedagogia del linguaggio e della comunicazione
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