Giovanni Chimirri psicologia e psichiatria come filosofie della persona
Quello di Giovanni Chimirri, psicologia e psichiatria come filosofie della persona (Mimesis, 2020), è un saggio che affronta il tema della persona fragile. Il suo punto di vista è strettamente deontologico, volendo ricondurre al concetto di persona quello di paziente. Punto di partenza è la filosofia, considerata precondizione di ogni studio psicologico e psichiatrico, a partire dalla storia del pensiero occidentale, che vede nell’antica Grecia il luogo dove si è formata l’ontologia moderna.
Ci troviamo di fronte a uno scritto ponderoso, che offre un apparato storico concettuale che lo fa assomigliare a un manuale. La valenza manualistica non è però l’unico aspetto del libro, perché in esso si aprono discorsi critici nell’esame di una disciplina curativa – la psichiatria – che nel corso della storia si è prestata ad aspetti del tutto disumanizzanti, non ultimo quello relativo al manicomio e alle terapie costrittive in uso al suo interno.
Partire dalla persona, per avviare un percorso di cura, e non più dalla etichettatura nosografica, sembra essere, per Giovanni Chimirri, il nocciolo di un rinnovamento umanistico in seno alla psichiatria.
Nel corso della sua esposizione, l’Autore offre una panoramica completa di quello che è stata questa disciplina, con le sue virtù e con le sue frequenti fughe disumanizzanti, che, sino a prima della promulgazione della Legge 180 (Basaglia) non destavano scalpore e venivano considerate norma di una pratica violenta unanimemente accettata.
Il lettore troverà molti spunti su cui riflettere. La psichiatria si è evoluta soprattutto nel corso degli ultimi quarant’anni, e, se da un lato la Riforma Psichiatrica di Basaglia è vero che non è stata bene e appieno applicata, è anche vero che, senza questa Riforma, un libro come questo non sarebbe mai potuto uscire.
Debitore verso una visione umanistica della psichiatria, e di Autori come Ronald Laing e David Cooper che, per primi, sciolsero le camicie di forza e si misero ad ascoltare i sofferenti in una posizione di parità ed empatia, per citarne solo due, Giovanni Chimirri difende una epistemologia filosofica alla base della psichiatria, antecedente a quella medica, al fine di sciogliere un’altra camicia di forza, quella concettuale.
Facendo precedere la filosofia alla medicina, Chimirri vuole sbarazzare il campo da ogni riduzionismo, soprattutto di matrice positivista e post positivista, che starebbe alla base di ogni prevaricazione, non solo psichiatrica, ma umana.
Eppure, nonostante gli ultimi quarant’anni di evoluzione umanistica, la psichiatria sta rivedendo oggi il risorgere di un pericoloso atteggiamento nichilistico, volto alla massimizzazione dei risultati in un’ottica quantitativa, con uno scriteriato e anti umano uso massiccio di DSM e farmaci che chiude ad ogni tipo di ascolto della sofferenza, incanalandola nelle condotte di una cura forzata che ripropone sul territorio le forzature di un manicomio di cui credevamo di esserci liberati del tutto.
Invece no, quando i pazienti di un centro territoriale vengono ascoltati 10 minuti ogni due mesi, imbottiti di farmaci e per il resto lasciati a se stessi, non possiamo tanto rallegrarci di avere eliminato i manicomi: li abbiamo soltanto trasformati.
©, 2022
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