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LE DONNE TRA STORIA e ATTUALITA’

LE DONNE TRA STORIA e ATTUALITA’

 

In questo tempo  in cui  “apparentemente”  sembra che l’evoluzione della donna abbia raggiunto il suo culmine e che i diritti ed i doveri di parità tra uomo e donna sono stati raggiunti,  confermati e legiferati dalla società italiana, adesso ci si potrebbe interrogare su cosa potrebbe mancare ancora.

Esiste tutt’oggi la necessità di richiamare l’attenzione sulla questione femminile:  che cosa di fatto ancora discrimina?

Sembra che ci sia un unica risposta:  il costume, l’atteggiamento quotidiano,  un progetto educativo che ancora non tiene conto neppure di quei cambiamenti che la legge impone, preconcetti peraltro duri a morire; un prendere in considerazione la donna come persona, come partecipe della comunità secondo modelli superati dalle proposte della  società  civile, impone  una  nuova riflessione.

LA DONNA NELLA SOCIETA’ PREISTORICA

Nella storia dei tempi, ardua è stata l’esistenza della donna dalla preistoria ai giorni nostri. Probabilmente è stata la donna a “scoprire” l’agricoltu­ra, dato che nella storia preistorica  (come presso i primitivi di oggi)  era compito delle donne cercare, raccogliere e portare all’accampamento i frutti sponta­nei: questi infatti,  insieme con il  latte e la carne, costituivano la base alimentare della tribù. Possiamo quindi supporre che,  durante le operazioni quotidiane della pulitura e della preparazione del cibo, alcuni semi siano caduti nei pressi dell’accampamento, dando vita a nuove pianticelle:  tale fenomeno, natural­mente, dovette ripetersi numerose volte,  prima che  il suo “messaggio” venisse afferrato. Poi, un giorno, una donna più attenta delle altre ne comprese il significato e l’importanza:  quelle pianticelle  potevano essere seminate a piacere in un campo a portata di mano e avevano la “capacità” di moltiplicarsi ogni anno. Ben presto, accanto alla carne, alle larve,  ai vermi ed ai frutti spontanei, comparve sulla mensa dei primitivi anche il pane; forse ancora una volta furono proprio le donne ad “inventare” questo nuovo prezioso alimento. A questo punto è facile concludere che, siccome le donne controllavano le tecniche della rivoluzione agricola verificatasi durante l’età neolitica, la società prei­storica era di tipo matriarcale: in essa, cioè, “dominavano” le donne (dal latino “mater” madre). Ma quando gli uomini scoprirono che il bestiame allevato poteva essere impiegato nel lavoro dei campi, assunsero la direzione dei lavori agricoli e dei prodotti che ne derivavano, relegando le loro compagne ad un ruolo che per lunghi secoli fu considerato  “inferiore”:  alla famiglia matriarcale venne così a sostituirsi la fami­glia patriarcale (dal latino “pater”  padre).

LA DONNA NEL MEDIO EVO

Le condizioni della donna nella società medioevale non erano certo invidiabili; ce lo fa capire questa afferma­zione di San Tommaso d’Aquino,  che pure fu uno dei maggiori filosofi cristiani del  1200: “La donna è sog­getta all’uomo a causa della debolezza della sua natura, che riguarda il suo corpo come pure la sua anima.”

Come se tutto ciò non bastasse,  alcuni “intellettuali” del tempo discutevano “dottamente” su un problema che oggi può farci soltanto sorridere: la donna era dotata di un’anima come l’uomo, oppure ne era priva come gli animali? Se poi pensiamo alle numerosissime  “streghe” che venivano condannate al rogo perché si credeva che avessero ottenuto dei poteri maligni e soprannaturali in seguito ad un patto stretto col demonio, il panorama non potrebbe essere più desolante.

Eppure, nonostante quei pregiudizi diffusi e ricorrenti, che per ovvie ragioni non possiamo che respingere, nella vita di tutti i giorni le cose non andavano poi cosi male per le donne. Infatti,  se era vero che la legge consentiva al marito di battere la moglie “per una buona ragione”, era altrettanto vero che le donne del Medio Evo svolgevano numerose attività a fianco degli uomini o anche per conto proprio, dall’agricoltura,  al commercio ed all’artigianato.

Nell’aristocrazia e, in genere, nelle classi più abbien­ti, la posizione sociale della donna era di tutto ri­spetto; erano le donne, ad esempio, le destinatarie e le protagoniste assoluta della poesia amorosa composta e recitata dai trovatori.

Esaminando  le vicende delle antiche civiltà,  siamo giunti a delle conclusioni poco allegre:  quasi sempre, anche presso i popoli che diedero i più alti contributi alla civiltà,  la donna era tenuta in condizioni di inferiorità.

Anche nella società longobarda le donne avevano tutte le ragioni per lamentarsi:  non solo erano tenute alle famose “tre obbedienze”  (al padre,  al marito ed al figlio), ma dovevano anche dipendere dal fratello, dal cognato o, in mancanza d’altro, dal Duca o dallo stesso Re! Erano “deboli” insomma, e bisognose di protezione e guida per tutta la vita.

LA DONNA NEL RINASCIMENTO

Una delle caratteristiche del Rinascimento fu 1’”emergere” della donna. Alle ragazze di  “buona famiglia”  si insegnava l’arte di curare la futura famiglia; dovevano ricevere una completa educazione, e fino a pochi giorni dalle nozze subivano una specie di clausura durante la quale veniva loro impartita un’istruzione pari a quella degli uomini dello stesso ceto sociale.

Le donne colte fondavano delle Accademie dove si discu­tevano argomenti di cultura. Numerose donne, soprattutto in Italia ma anche nel resto dell’Europa,  divennero famose in vari campi, a cominciare da quello letterario; ne elenchiamo alcune: Costanza Varano, Vittoria Colonna, Veronica Gambara,  Alessandra Strozzi, Gaspara Stampa, Isabella   Morra.

Isabella Morra nacque nel 1521 nel castello di Favale da nobile e potente famiglia. Con suo padre e con suo fratello Scipione,  la fanciulla cominciò gli studi letterari. Ma era il tempo della rivalità in Italia fra Carlo V e Francesco I,  e il barone dovette andare in esilio a Parigi portando con sé Scipione.  Isabella, rimasta con la madre e con gli altri fratelli,  dei tangheri, nel castello isolato, consumò la sua adole­scenza ad aspettare invano dal padre un messaggio che la portasse in Francia e l’introducesse alla brillante corte del Re.

Ha una speranza, tuttavia.  Nel non lontano castello di Bollita (oggi Nova Siri), viveva un gentiluomo spagnolo, Don Diego Sandoval de Castro,  governatore di Cosenza, anche lui poeta.  Ma un giorno che Don Diego le aveva inviato attraverso il precettore dei Morra un’epistola o altre poesie, i fratelli di Isabella intercettarono la lettera, uccisero il messaggero, pugnalarono la sorella e tesero al gentiluomo un’imboscata mortale.

Nel dramma di questa poetessa, assassinata a venticinque anni, sussiste il dramma dell’intero Sud.

STORIA DEI GIORNI NOSTRI

La scoperta della radioattività è attribuita al fisico Henri Bequerel che la indìviduò nel 1896. Due anni dopo, Pierre e Marie Curie scoprirono il radio. I Curie otten­nero nel 1903  il Premio Nobel per la fisica. Dopo la morte di Pierre, sua moglie fu incaricata a succedergli nell’insegnamento alla Sorbona.  Nane Curie riuscì nel 1910 ad isolare  il radio metallico,  cioè allo stato puro. Questa importante scoperta le valse nel 1911 il Premio Nobel per la chimica.

Questa donna eccezionale, oltre che una grande scienzia­ta, fu, tra le pareti domestiche, una donna semplice, una madre attenta ed affettuosa.

Soltanto con la rivoluzione industriale la donna si affiancò all’uomo nel lavoro fuori casa,  adibita a compiti di scarsa responsabilità. Il  lavoro femminile, per molto tempo, fu mal retribuito rispetto a quello maschile. Durante la Prima Guerra Mondiale  la donna sostituì in parte l’uomo impegnato al fronte e diede prova in fabbrica di saper assolvere compiti di notevole impegno.

Con l’avvento della dittatura fascista, il lavoro femmi­nile fu in tutti i modi boicottato. Il diritto al lavoro per le donne venne addirittura negato per legge.  Il ruolo che il regime assegnò alla donna era quello di fare figli, molti figli,  per il rinvigorimento e l’ac­crescimento della stirpe.  Nonostante questa battuta d’arresto, la donna lavoratrice è andata acquistando, dalla caduta del fascismo ad oggi, una sempre più viva coscienza della propria dignità, dimostrando in ogni campo qualità intellettuali e operative diverse, ma non certo inferiori a quelle dell’uomo.

Dopo la caduta del fascismo,  il quale aveva arrestato anche il movimento di emancipazione femminile,  il pro­blema si ripropone in tutta la sua urgenza con la pro­clamazione della repubblica,  ed un primo risultato si ottenne nel 1945 quando un decreto di Umberto di Savoia concesse alle donne il diritto di voto.

Conclusione:

“E’ tempo  per tutti dì  tornare  alla madre, tornare a sapere  che siamo nati  tutti da una donna, che non è Dio ma una donna in carne  ed ossa che con il suo amore ci insegna ad amare e con la sua morte ci  insegna a morire e niente più ci promette e niente più ci dà. Solo  così forse torneremo a sapere di quante cose abbiamo veramente bisogno. E solo da questa conoscenza riguadagnata che  ci possiamo ridomandare  chi siamo,  che  cosa vogliamo.  Da qui  potremo riguadagnare l’orrore per la catena di montag­gio, per il lavoro notturno, per le  condizioni estreme in cui tante creature sono costrette  a vivere senza finalmente poter pensare che  il denaro sia l’unico rimedio possibile.” (Alessandra Bacchelli)

DIRITTO DI FAMIGLIA

Con la riforma del diritto di famiglia del 1975 è stata abolita la figura del capofamiglia e la donna e l’uomo hanno pari diritti e doveri.

La famiglia è uno dei  luoghi  in cui è  più difficile far valere i  propri diritti per  i legami affettivi tra  le persone: è  importante capire che ognuno ha dei diritti e dei doveri come persona che vanno rispettati.

Ogni decisione  che riguardi la coppia ed  i figli va, ad esempio, presa di comune  accordo, senza prevaricazioni   (dove   abitare,   come educare i figli, ecc.). Non sussiste più il  capofa­miglia e  la potestà  spetta  ad entrambi  i coniugi e non più solo al padre. Tra i  coniugi c e quindi una completa parità.

E’ importante  che le  donne conoscano  i  loro diritti per poterli esercitare anche se  incon­trano resistenza all’interno della famiglia.

Per questo  è  importante  non  confondere  gli affetti con i diritti.

LAVORO E PARITA’

Donne  e  uomini hanno  diritto  a  parità  di trattamento e dì possibilità nel lavoro.

Questo vuol  dire  che  le  donne non devono diventare come gli uomini per lavorare. In base alla legge di parità (n.903/77) le donne hanno diritto a non essere penalizzate  a causa  del sesso. La legge si applica a tutti i dipenden­ti, donne e uomini.

In questo momento in cui parrebbe che di grandi battaglie non ce ne siano da fare, esiste una battaglia più raffinata che è quella di avanzare delle ipotesi di presenza e di costruzione del tutto nuove,  di una costruzione della relazione uomo-donna all’interno della Famiglia, all’interno della Società,  all’interno della Chiesa,  che ci permetta veramente di essere in pienezza, non perché lo vogliamo, ma proprio perché il mondo lo consideriamo come dice la “mulieris dignitatem” “maschi e femmine Dio li creò”, il mondo non è nè maschile nè femminile ma di tutti e due. Nei programmi futuri,  come prospettiva, ci sarà quello di un incontro meditato tra tutte le donne per fare il punto della situazione sui grandi problemi che ci muovono e ci devono vedere protagoniste.

L’altro sarebbe quello di portare avanti alcuni discor­si, come la differenza sessuale, che possono originare dei modi diversi di porsi delle donne.

C’è ancora uno scavo culturale da fare: bisogna guardare alle giovani generazioni che rischiano di non avere dei piani di formazione che tengano conto di questa storia, di questi anni vissuti e di questi cambiamenti.

Due considerazioni ci sembrano importanti da ribadire:

le donne,  lungo il percorso della loro evoluzione si sono scavate cunicoli con fatica, pur di arrivare ad affermarsi come persone e come identità soggettive, ed anche se lunga rimane la strada da percorrere per sco­prire una precisa identità,  non verrà meno il  loro entusiasmo ed il loro impegno.

Per questo le donne hanno ancora bisogno di ritrovarsi per riaffermare la loro presenza e confrontarsi con esperienze che vivono ogni giorno.

©, 2003

 

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