CHI E’ IVANA LEONE? omaggio ad Alda Merini
Giuseppe Marotta, abile e prolifico scrittore napoletano degli Anni ’50, nato nel 1902, e scomparso nel 1963, diede il titolo di “A Milano non fa freddo” a uno dei suoi più celebri lavori. Quella dell’immediato dopoguerra, era ancora la Milan dal coeur in man, che in molta agiografia ancora si ritrova, ma forse non più nei fatti. Lo dico da milanese, e quindi, forse con l’occhio di chi a Milano ci è abituato, e non è più tanto disposto a coglierne la bellezza e i doni.
Non è di questo avviso Ivana Leone, salernitana classe 1987, salita a Milano col suo bagaglio di attese, speranze, naturali e sacrosante ambizioni, voglia di vivere e di potersi esprimere. Per quella che è.
Per quella che una giovane donna è, e vuole affermare di sé, compresa la voglia di anticonformismo, la voglia di Vita in senso alto e compiuto, non semplicemente riferibile alla spinta all’affermazione professionale, quanto a quel vivere che è il senso di un cammino che si rinnova ad ogni passo, con le sorprese e le quotidiane lotte da affrontare, per non ritrovarsi alla sera, a dirsi, oggi come ieri, e domani come oggi. Una domanda di Poesia, se per poesia intendiamo, oltre che lo scrivere versi, anche lo stare al mondo, con gli altri, e tra gli altri, con quella disponibilità all’imprevisto, e al doversi districare in maniera sempre creativa di fronte alle difficoltà, senza doversi per forza uniformare per tirare avanti in maniera più facile e indolore.
La Poesia è anche una risposta al dolore, alle avversità, una parola che si rinnova, che non si adagia su se stessa, che non cerca certezze, ma interroga sempre la Vita. E in questo interrogare continuo la Vita, si mette a volte in pericolo, ma il Poeta, è anche coraggioso, altrimenti, è solo un Cantore del Potere, come sempre ce ne sono stati, poeti-per-modo-di-dire.
Quello che Ivana chiedeva a Milano, era la possibilità di Vivere, e non solo di Sopravvivere, fuori dagli schematismi di un lavoro retribuito, di una abitazione, di una normale e routinaria esistenza che corresse su binari prestabiliti.
Ivana ha anche rinunciato a un lavoro ben retribuito, che però le spegneva questa richiesta Assoluta e sincera di Vita, e ha preferito intraprendere la carriera dell’insegnamento, molto più scomoda, meno retribuita, meno prestigiosa rispetto a quel primo lavoro che ha lasciato, ma che le dà ogni giorno motivo di tenersi su quella soglia di incertezza, che è l’ambito della Poesia e dei rapporti umani, che, nella Scuola di oggi, sono a volte molto difficili, e richiedono molta presenza di spirito, iniziativa personale, coinvolgimento coraggioso e in prima persona. La domanda, in lei, sorse con il fatale incontro con la Poesia di Alda Merini, motivo del suo primo viaggio a Milano, e successivo argomento della sua Tesi di Laurea.
Il mare, l’Infinito, il cielo terso e il rumore delle onde… ricordi indelebili di una vita passata al Sud, ma qui a Milano riattivati dalla vista di un giardino oltre una cancellata, o di una siepe fiorita in mezzo al traffico, infine, dei Navigli, che per sempre legheranno Ivana ad Alda Merini.
Cosa hanno di speciale, agli occhi di Ivana Leone, i vecchi Navigli milanesi? Hanno l’immagine delle scritte fatte col rossetto, sui muri, da Alda Merini, l’anticonformismo di una vestaglia strappata con cui la Merini non nascondeva il proprio corpo, motivo per cui era stata internata in manicomio. Figura scomoda per la sua famiglia che, prima della Legge 180, aveva avuto la possibilità di allontanare Alda dal tetto coniugale, con una semplice segnalazione alle Autorità giudiziarie, perché, prima che Franco Basaglia riformasse il procedimento del ricovero psichiatrico, bastava una telefonata a chi di dovere, per fare internare anche un proprio famigliare che non si volesse più avere fra i piedi.
Restano fisse in Ivana le parole della Merini, come quelle di una sorta di guida interiore, capaci anche di dirigere i suoi interessi verso chi soffre, verso gli adolescenti ospedalizzati per gravi motivi di salute, che di recente Ivana ha iniziato a seguire, dando loro lezioni pomeridiane e sostegno morale.
Forse, negli occhi dei sofferenti, Ivana riscopre le parole della poetessa, così forti del proprio coraggio di affermare se stessa, ma al tempo stesso così fragili, di fronte a un Mondo spesso ignorante ed arrogante. Ignoranza e arroganza, prese isolatamente e una alla volta, le si potrebbe ancora ancora sopportare, ma quando viaggiano a braccetto, sono davvero nefaste e inaccettabili.
Così, ci sono quelle passeggiate lungo i Navigli, i tramonti verso Porta Genova che tingono di sentimento i tuoi stessi pensieri:
Quanta presunzione
ho visto
negli occhi di chi si atteggia
a maestro di virtù.
Quanta arroganza
quanta ignoranza
ormai
in quell’ animo perduto.
Perduti, sono coloro che giudicano senza prima essersi guardati dentro. E’ molto difficile non giudicare, ma farlo senza avere autocritica, è facile ed è molto praticato. Credo che Ivana ami di Alda Merini quel coraggio con cui la poetessa dei Navigli palesava la propria Anima, senza curarsi dell’effetto che le sue parole e i suoi comportamenti avevano sulle persone. Il giudizio non la toccava più di tanto, Alda Merini nutriva verso le idee comuni il distacco di una Principessa, forse questo era stato il vero motivo della sua emarginazione. Non si tollerano nell’Altro Virtù e Nobiltà, quando non le si possiede, e lo si bolla per questo come “folle”.
Ivana Leone ha dedicato ad Alda Merini il libro:
FORZA E LIBERTA’ attraverso Alda Merini (Largo Libro editore, 2019), un augurio a tutte le lettrici, soprattutto alle Donne, di riprendere coraggio, di autodeterminarsi, al di là delle sbarre e delle possibili, a volte inevitabili, angustie di una vita che impone un ruolo talora non desiderato.