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Si tratta, quello di Piercarlo Jorio sulla cultura alpina, di un testo che non ha la pretesa – a detta dello stesso Autore – dell’assoluta scientificità o esattezza filologica, ma questo sembra essere proprio il pregio di un libro preso direttamente dalla cultura – orale – popolare alpina, che sta via via svanendo, o forse non è già del tutto svanita, cultura che le vecchie generazioni, anziani e bambini, un tempo, in stalla, la sera, si tramandavano di bocca in bocca, in un continuo, naturale cullarsi degli animi – dei più piccoli – nelle certezze di riferimenti affettivi pressoché eterni, i valori dei nonni, dei padri, che l’attuale frenetica velocità – e anonimia – dei tempi di produzione tecnologici dei Nostri giorni tendono a cancellare, in nome di un’identità non più affettivo-orale-famigliare, ma tecnologica, pressoché demandata alla memoria silicica, microchippata, dei computer. Oggi, i supporti delle Nostre credenze sembrano essere più solidi, ma in verità sono molto – più – virtuali ed effimeri dei supporti orali con cui si sono tramandate queste credenze.
Qui Jorio riporta una vasta casistica di leggende e storie alpine, di un mondo che vede nel Medioevo la culla di tutte le più oscure, terrifiche mitologie, inconscio di massa, infanzia dell’Uomo, nel passaggio dal Paganesimo al Cristianesimo, in quelle remote zone delle Nostre Alpi che, un tempo, erano difficilmente raggiungibili, e quindi isolate, e più facilmente generative di superstizione per chi le abitava. Un testo che ci può ricordare un Tolkien o “Il regno segreto” di Kirk, ampiamente descrittivo, corredato da un supporto iconografico degno di nota.
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